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Internazionalismo, come affrontare la crisi globale, i conflitti e le guerre del XXI secolo?

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Ancora sulla guerra russo-ucraina 


Che dicono la storia e la teoria marxista

di Paul Le Blanc, da tempestmag.org

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Intellettuali ucraini solidali con il popolo palestinese 

Noi, ricercatori ucraini, artisti, attivisti politici e sindacali, membri della società civile, siamo solidali con il popolo palestinese che, da 75 anni, sopporta e resiste all’occupazione militare israeliana, alla separazione, alla violenza coloniale, alla pulizia etnica, all’espropriazione delle terre e all’apartheid. 

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Quando “il nemico del mio nemico” non è mio amico 


Da Hamas palestinese ad Azov ucraino e all’EOKA di Cipro…

di Yorgos Mitralias

Lo spunto per quanto segue è stato l’importantissimo testo della giovane ucraina Hanna Perekhoda “Se in nome della ‘pace’ tradiamo gli ucraini, come i palestinesi…”, in cui – per dirla con le sue parole – cerca di vedere “le strutture che permettono di non ‘esotizzare’ la Palestina, ma di renderla potenzialmente paragonabile ad altre situazioni di oppressione coloniale e di legittima resistenza portata avanti comunque da organizzazioni di estrema destra ultra-reazionarie”

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Palestina e Israele verso una prospettiva devastante

di Fabrizio Burattini


L’esercito israeliano ha organizzato un assedio medievale alla Striscia di Gaza, niente cibo, né carburante, né acqua per i 2 milioni e mezzo di abitanti. Le incursioni dei bombardieri martellano senza tregua il lembo di territorio palestinese e anche il Libano meridionale per impedire anche da quel confine le infiltrazioni di militanti armati. Nel frattempo l’IDF, l’esercito di Israele, sta facendo convergere verso Gaza il grosso del suo potenziale distruttivo nella prospettiva di un’invasione di terra.


Il fallimento dell’apparato israeliano


Si tratta di una “punizione collettiva” in aperta violazione del diritto internazionale. L’assedio e i bombardamenti causeranno la morte di malati e feriti negli ospedali a causa della mancanza di energia elettrica e di rifornimenti, un vero e proprio “crimine di guerra”.


Nel frattempo il governo sionista afferma di aver ripreso totalmente il controllo delle città del Sud attaccate nei giorni scorsi dai militanti di Hamas, che hanno clamorosamente smentito, agli occhi del mondo e soprattutto agli occhi della popolazione israeliana, la tanto decantata onnipotente infallibilità dell’apparato militare e di intelligence sionista, la sua illusione di controllo totale, la sua iper-sorveglianza informatica. 


E’ stato il più significativo fallimento militare e di intelligence di Israele dalla guerra dello Yom Kippur del 1973. Ma, più che un fallimento dell’intelligence, è l’incapacità e la non volontà di comprendere che un popolo non può sopportare stoicamente e passivamente decenni di occupazione.


Le complicità internazionali


Lo schieramento occidentale partecipa attivamente alla “punizione collettiva”: il commissario dell’Unione Europea Oliver Varhelyi ha detto la UE ha già sospeso “tutti i pagamenti” ai palestinesi a causa della “portata del terrore e della brutalità” dell’offensiva di Hamas contro Israele.


In vari paesi d’Europa (Italia compresa), le prese di posizione contro Israele e il suo governo, anche quelle che solo cercano di “contestualizzare” le azioni dei palestinesi nel quadro della ultracinquantennale e brutale occupazione sionista, vengono bollate come “filoterroriste” e a volte danno perfino luogo ad indagini giudiziarie.


L’epiteto di “terrorista” è un comodo espediente propagandistico, da sempre usato da chi opprime contro chi lotta contro l’oppressione: venne usato contro il movimento per la liberazione dell’Algeria dal colonialismo francese, contro i vietnamiti che lottavano contro l’esercito USA di Johnson e di Nixon, contro i curdi che lottavano e lottano per la loro dignità nazionale, contro Nelson Mandela nella sua lotta contro l’apartheid sudafricana.


Lo usava l’impero austro-ungarico contro gli eroi del Risorgimento italiano. Lo usavano i nazifascisti contro i Partigiani. Ed è da sempre usato contro i palestinesi, sia negli anni Settanta, al tempo della loro radicale lotta “laica”, sia oggi nell’epoca dell’egemonia islamista sul movimento nazionale.


Washington ha comunicato che sosterrà il governo di Benjamin Netanyahu in ogni azione che deciderà di intraprendere e Joe Biden ha promesso ad Israele “tutti i mezzi adeguati di sostegno”, una Israele che, secondo il presidente USA, avrebbe tutto il “diritto a difendere se stesso e il suo popolo, punto e basta”. Biden e la UE, dunque, confermano di essere (quali che siano i “colori” dei governi) attivi protagonisti nel sostegno all’oppressione del popolo palestinese.


Una solidarietà che sconfessa la “normalizzazione di Abramo”


Nel mondo arabo ed islamico si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà con Gaza e con il popolo palestinese, sconfessando tutte le operazioni di “normalizzazione” dei rapporti con Israele assunte in questi ultimi anni da numerosi governi, come gli “Accordi di Abraham” stipulati lo scorso anno tra il Bahrein e il governo sionista. 


Per anni, il premier di estrema destra Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro nessuna concessione. Gli Accordi di Abraham hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante questa solidarietà sia stata per anni solo di facciata. L’alta probabilità che a quegli accordi stesse per aderire anche l’Arabia “saudita” potrebbe aver contribuito a spingere Hamas all’azione.


Si sta aprendo, dopo lo scoppio su larga scala della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, un secondo fronte di orrore, una nuova guerra gravida di tutte le sue terribili conseguenze immediate e di tutte le sue ripercussioni future. Gli eventi di questi giorni, così come l’iniziativa di Putin di quasi 20 mesi fa, stanno cambiando per sempre la vita del mondo e di noi tutti.


L’isteria collettiva di Israele


Quanto a Israele, non si tratta solo di Netanyahu e dei suoi partner. Si sta creando un clima di isteria che non ha precedenti in un paese che è da sempre tenuto insieme dal mito sionista di Israele come “luogo di rifugio sicuro per gli ebrei”


Sono sempre più numerosi gli israeliani che affermano che è giunto il momento di sradicare completamente Gaza, invocando in sostanza il genocidio. Persino i media meno guerrafondai, i giornalisti e i politici israeliani più equilibrati invocano massacri a Gaza.


Sui social circolano post di questo tono: “Spianare Gaza”, “Questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “Stanno uccidendo intere famiglie”, “Non c’è spazio per parlare con costoro”, “Perché ci sono ancora edifici in piedi a Gaza?”, “Gaza va rimandata all’età della pietra”, “Occorre liberarci anche degli arabi in Israele”.


Su quest’ultimo punto, ricordando che ci sono circa 2 milioni di cittadini israeliani arabi, concentrati soprattutto nelle “città miste” (Lyd, Akka e Be’er Sheva), circolano perfino messaggi che invitano gli ebrei a linciare gli arabi a vista, risvegliando il timore non solo di un nuovo conflitto ma anche quelli di una guerra totale tra cittadini ebrei e palestinesi in Israele, con coloni suprematisti ebrei pronti a lanciare nuovi pogrom contro i civili palestinesi in Cisgiordania. Si profila una nuova Nakba.


Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani avevano marciato per la “democrazia e l’uguaglianza” e molti avevano persino dichiarato di voler rifiutare il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di Netanyahu e del suo governo, ignorando però che quello stesso governo è stato crudelmente autoritario nella perpetuazione di un’occupazione militare illegale e disumana. Oggi molti di loro hanno annunciato l’interruzione delle proteste e la loro disponibilità ad unirsi nella guerra con Gaza.


L’ipocrisia dell’opinione pubblica internazionale


Il mondo è scosso non perché ci siano dei morti, oramai forse oltre duemila morti, in grandissima parte civili.


I morti civili, comprese donne, bambini, vecchi inermi sono la ricorrente “normalità” per i palestinesi. Quei morti dalla pelle scura sono percepiti dall’opinione pubblica internazionale e descritti dai media occidentali come “meno umani”, considerati un neanche tanto imbarazzante “effetto collaterale” del “mantenimento della sicurezza” nel bastione sionista, ritenuto la testa di ponte dell’Occidente nel caotico “mondo arabo”.


Il mondo è stato e continua ad essere complice della disumanizzazione attiva degli abitanti di Gaza, persone da sempre collettivamente private dei propri diritti umani fondamentali.


Ora il mondo è profondamente scioccato non per il numero delle vittime, ma a causa di una disorientante novità: le vittime di questa guerra non sono solo palestinesi, sono anche dei “nostri”. In questo mondo di “noi” e di “loro”.

 

Sabato 7 ottobre è accaduto a qualche centinaio di israeliani quel che sta accadendo all’intero popolo di Gaza da decenni, nell’indifferenza della “comunità internazionale”. Il terrore che gli israeliani hanno provato in questi giorni è stata ed è l’esperienza quotidiana di vita di milioni di palestinesi da decenni sotto il regime militare nella Cisgiordania e a Gaza.


Le disperate ragioni del popolo palestinese


Perfino nei parametri “normali”, la vita quotidiana a Gaza si era gravissimamente deteriorata negli ultimi sedici anni di assedio israeliano: circa il 97% dell’acqua della Striscia è considerata non potabile, oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, l’80% dipende dagli aiuti stranieri, il futuro della maggior parte dei giovani è buio, con il 64% di disoccupazione giovanile.

 

Da anni le famiglie di Gaza, comprese quelle del “ceto medio”, vivono con la costante e inquietante preoccupazione di avere sempre pronti accanto a sé, nel caso di necessità di fuga e di esodo, l’essenziale per sopravvivere (medicinali, documenti, caricabatterie per cellulari, effetti personali, kit per l’igiene…).


La maggior parte dei palestinesi residenti a Gaza sono rifugiati, nell’esperienza di un esilio perpetuo, iniziato con la perdita delle loro case ancestrali, quando vennero espulsi dalle forze sioniste e israeliane nella Nakba del 1948. 


Nel 2018 e nel 2019, lo ricordiamo, decine di migliaia di palestinesi hanno protestato a mani nude davanti ai fili spinati che circondano la Striscia, in quella che è stata definita la Grande Marcia del Ritorno, quando l’esercito ha ucciso centinaia di persone. Sono ferite fisiche e psicologiche che non sono guarite e che non possono guarire.


L’attacco di sabato 7 ottobre viene dopo una serie di intensi mesi di violenza da parte dello stato israeliano e dei coloni nei territori occupati, che hanno giocato un ruolo considerevole nel condurci alla crisi attuale. I palestinesi avevano lanciato l’allarme, avvertendo che il blocco, il persistente impoverimento, le ripetute aggressioni israeliane e la frammentazione delle loro comunità avrebbero portato a un’esplosione. 


I palestinesi di Gaza vivono da decenni nella più grande prigione a cielo aperto della terra, dove la concentrazione di popolazione è la più alta del mondo, tenuti come animali dietro recinti, senza acqua pulita, elettricità, senza speranza e senza dignità, in uno stillicidio di bombardamenti criminali che ogni volta hanno causato centinaia e migliaia di vittime.


E la Cisgiordania non è da meno: solo nel 2022, 146 palestinesi di Cisgiordania, il più delle volte inermi, sono stati uccisi dai soldati e dai superarmati coloni israeliani. Una vera e propria interminabile “pulizia etnica”.


L’esercito israeliano fa regolarmente irruzione nelle città e nei campi profughi palestinesi, mentre i coloni godono di piena libertà nella creazione di nuovi avamposti illegali e nel lanciare pogrom nelle città e nei villaggi palestinesi, con i soldati che li scortano, colpendo e spesso uccidendo i palestinesi che tentano di difendere le proprie case. 


Nei giorni di festività islamica, gli estremisti ebrei profanano la spianata della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici integralisti, razzisti e semifascisti, in spregio alle convenzioni internazionali. 


Senza dimenticare che il governo israeliano di estrema destra, razzista e suprematista ha fatto della colonizzazione il primo punto del suo programma di governo, con una spettacolare accelerazione delle operazioni di colonizzazione, di pulizia etnica e di repressione contro il popolo palestinese. Cosa che nei fatti ha reso del tutto illusoria la stessa prospettiva dei “due popoli e due stati”.


Ciò che il mondo non capisce è che il popolo palestinese ha il diritto di utilizzare la resistenza armata nella lotta per la libertà e di difendersi dall’aggressione israeliana. In effetti, molti di coloro che attualmente condannano gli attacchi di Hamas contro i civili sono stati terribilmente silenziosi mentre Israele ha commesso crimini indicibili contro il popolo palestinese, compresa l’imposizione di ripetute “punizioni collettive” contro i residenti di Gaza. Qualsiasi analisi o commento che non riconosca questa realtà non è solo vuoto, ma anche immorale e disumanizzante.


La vita dei palestinesi è da decenni, da oltre tre generazioni, compartimentata, controllata, sotto sorveglianza, sottoposta ad umiliazioni quotidiane e ad arresti arbitrari, a torture e ad abusi, all’insolenza dei coloni e all’atteggiamento complice dei soldati. 


È impossibile capire quello che sta succedendo oggi a Gaza senza tenere conto di questo. Un popolo innamorato di una libertà che gli viene quotidianamente negata, a cui viene cancellata ogni prospettiva, più volte costretto a concessioni umilianti nei ripetuti “accordi” (da Oslo in poi), regolarmente non rispettati dagli israeliani, è inevitabilmente spinto alla resistenza con ogni mezzo.


La “dottrina della sicurezza” di Israele ha sempre richiesto (più per necessità politiche che per motivi militari) un rapporto sproporzionato tra vittime israeliane e palestinesi: per ogni soldato o civile israeliano ucciso politici e generali israeliani hanno sempre chiesto almeno 10 teste palestinesi. 


Ora, con questa “logica”, migliaia di donne, di bambini e di uomini a Gaza potrebbero pagare quel prezzo con la propria vita.


I “campismi” a confronto


A sinistra, la denuncia del doppiopesismo dell’Occidente, di un Occidente che in Ucraina sostiene il popolo contro l’aggressione russa mentre in Medio Oriente sostiene l’oppressione israeliana contro i diritti e la dignità dei palestinesi, è inficiata alle basi dal doppiopesismo simmetrico della sinistra campista che nella vicenda ucraina ha sposato le tesi dell’aggressore russo. 


E a ribaltare un’oggettiva visione del mondo contribuisce anche il presidente ucraino Zelensky, con il suo vergognoso e assurdo parallelo tra Ucraina e Israele e la Russia a Gaza. Paragonare la povera prigione a cielo aperto di Gaza alla Russia imperialista non ha assolutamente senso.


Se Zelensky sostiene il “diritto di Israele a difendersi”, noi dobbiamo fare esattamente il contrario: denunciare il neofascismo al potere a Mosca allo stesso modo del neofascismo al potere a Tel Aviv, sostenere la legittima lotta del popolo palestinese contro la dominazione coloniale e l’espropriazione da parte dello stato sionista allo stesso modo di come sosteniamo la legittima lotta del popolo ucraino contro la dominazione coloniale e l’espropriazione da parte dello stato della “Grande Russia”. 


Si tratta di un sostegno al popolo palestinese che non implica nessun sostegno politico ad Hamas più di quanto il sostegno al popolo ucraino implichi un sostegno politico a Zelensky.


L’assurdo parallelo “campista” tracciato dal presidente ucraino diventa una trappola mortale quando ad usare il campismo è la sinistra.


L’internazionalismo non può essere solidarietà con gli stati: è solidarietà con i popoli che lottano per i loro legittimi diritti, in Ucraina, in Palestina, nel Xinjiang, nel Sahara occidentale, ovunque gli sfruttati e gli oppressi resistono ai loro sfruttatori e oppressori. 


Non ci può essere pace senza prospettive politiche, e non ci possono essere prospettive politiche senza sanzioni contro Israele così come sono necessarie le sanzioni contro Putin per porre fine ai loro regime oppressivi e per far loro rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU, con la fine delle loro occupazioni, dei loro progetti coloniali e della loro analoga negazione dei diritti dei popoli palestinese e ucraino.


L’unica via per la pace è la fine di ogni colonizzazione in Palestina come in Ucraina, di ogni oppressione e di ogni suprematismo razzista, che sia quello “bianco” statunitense, quello sionista, o quello della “grande russo” di Putin e Dugin.


Allontanarsi da questa linea di principio è una ricetta per il disastro…

Ucraina, la guerra durerà… e durerà anche la solidarietà

di Bernard Dréano, del collettivo francese della Rete di Solidarietà con l’Ucraina (RESU), del CEDETIM (Centro studi e iniziative di solidarietà internazionale) e dell’AEC (Assemblea dei cittadini europei), dal n. 24 dei Cahiers de l’antidote

Le piogge autunnali stanno per iniziare, e con esse la Rasputiza, come si dice nella regione, quando il fango ostacola i movimenti delle truppe, prima che arrivi l’inverno. Questo significherà l’abbandono dei grandi sfondamenti offensivi che le truppe ucraine speravano?… Se mai ci hanno sperato, perché è apparso subito evidente che la “controffensiva” ucraina, annunciata ufficialmente per il giugno 2023, non era, o non poteva essere, simile ai movimenti dell’estate 2022 a est di Kharkiv e poi nella regione di Kherson. Oggi la guerra è soprattutto una guerra di logoramento.

In ogni caso, questo significa – e purtroppo c’era da aspettarselo – che la guerra andrà avanti per molto tempo. Non è forse iniziata nel 2014 e poi, dopo il fallimento della guerra lampo di Putin per conquistare Kiev, si è evoluta in un remake del 1914-18 (e un po’ del 1939-45 con il bombardamento russo delle città di retrovia…).

In questa configurazione, chi beneficia del tempo?

Putin conta sulla stanchezza degli ucraini, ed è vero che la popolazione ucraina è stanca, che il numero delle vittime è alto… tuttavia la determinazione delle/degli ucraine/i rimane intatta e nessuno in Ucraina immagina di rinunciare alla liberazione dei territori occupati. 

Putin conta indubbiamente molto di più sulla stanchezza dell’Occidente, che continua, per vari motivi, a centellinare o limitare le sue forniture di armi. Soprattutto, si aspetta molto dall’ascesa delle forze populiste e di estrema destra in Europa e negli Stati Uniti, e dal loro successo nelle prossime elezioni. 

Conta anche sul sostegno materiale dei cinesi e dei nordcoreani e approfitta della riluttanza dei paesi del Sud a seguire le ingiunzioni arroganti dell’Occidente, così rapido nel difendere l’Ucraina attaccata, ma altrettanto rapido nel deludere altri popoli attaccati, o addirittura nel contribuire ad affogarli, come ad esempio in Palestina…

Ma il tempo è davvero dalla parte del dittatore russo? Le perdite dell’esercito sono elevate e il morale è basso. Sebbene il Cremlino sia riuscito a mitigare l’impatto delle sanzioni occidentali e a tenere a galla l’economia (con gli idrocarburi), il paese sta diventando sempre più povero economicamente e ancora più povero intellettualmente. 

Il regime si sta irrigidendo in una corsa a capofitto zarista-stalinista-fascista, ma la repressione non sta spazzando via le reti e i gruppi contro la guerra, né sta convincendo le masse riluttanti e poco entusiaste.

In ogni caso, la solidarietà deve adattarsi al fatto che siamo, purtroppo, coinvolti in una tragedia che durerà a lungo. Su scala internazionale e europea, la RESU mira a sostenere la resistenza del popolo ucraino e il movimento russo contro la guerra in tutta la sua diversità, con l’obiettivo specifico di aiutare i movimenti progressisti in Russia e Bielorussia, e naturalmente in Ucraina: sindacalisti, politici, femministe, ambientalisti, difensori dei diritti, ecc. 

Tanto più che sono soggetti a una costante e crescente repressione in Russia e Bielorussia. Nel contesto ucraino, che rimane più democratico nonostante lo stato di guerra, questi movimenti devono anche fare i conti con gli effetti deleteri delle politiche neoliberiste avviate dal governo ucraino o imposte da governi o organismi occidentali in materia di sanità, istruzione, diritto del lavoro e politiche ambientali, ecc.

Alcuni movimenti progressisti europei o internazionali continuano apparentemente a ignorare i movimenti ucraini da un lato e quelli russi e bielorussi dall’altro, preferendo limitarsi, in nome del “pacifismo” o del “non allineamento”, a rifiutare la solidarietà e spesso anche ad adottare un atteggiamento comprensivo nei confronti degli argomenti dello stato russo. 

Fortunatamente le cose stanno cambiando, anche se lentamente, come dimostrano il voto su una mozione di solidarietà all’ultimo congresso della centrale sindacale britannica, il TUC, e le numerose iniziative e prese di posizione locali da parte di sindacati, associazioni e autorità locali in molti paesi, non solo europei, lontano dagli sguardi dei media dominanti e dalla retorica e dalle meschine rinunce dei governi.

La delegazione sindacale internazionale di solidarietà a Kiev

Micromega non deve morire


Sono molti anni che leggo Micromega. Forse decenni. 

Sono stato un lettore affezionato del sito. Della versione cartacea – lo confesso – sono stato un acquirente irregolare, anche se ricordo alcuni numeri veramente memorabili. Uno fra tutti quello “speciale” di 5 anni fa per il cinquantenario del 1968, o quello prima per il quarantennale. 

E, nella totale unanimità della politica istituzionale, ricordo gli articoli contro lo sfregio dell’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione.

Poi, quasi due anni fa, ho trovato un nuovo motivo di sintonia. La posizione nettamente favorevole alla resistenza del popolo ucraino contro la criminale invasione russa scattata il 24 febbraio del 2022. Una solidarietà che andava controcorrente forse ancor più che altre battagle del passato. Perché ora, nel campo progressista e di sinistra, dobbiamo assistere, da 18 mesi a questa parte, ad un ipocrita pacifismo che non riesce a nascondere la condivisione, in tutto o in gran parte, delle “ragioni” dell’aggressore.

E la mia sintonia si è tradotta perfino in una seppur sporadica collaborazione.

Così, oggi, quando mi è capitato di leggere l’editoriale appello di Paolo Flores d’Arcais che preannuncia una probabile chiusura di quella quasi quarantennale esperienza editoriale, ho avuto un sussulto: ecco, è un’altra parte della storia della nostra sinistra che se ne va. Occorre impedirlo.

Ovviamente ho preso i miei impegni (limitati per ovvi motivi di budget peronale ma per me significativi) e invito tutte le lettrici e i lettori di questo blog a fare altrettanto (o se possono anche di più), sottoscrivendo l’impegno ad abbonarsi e comunque a sostenere il collettivo editoriale compilando il form apposito.

Mircomega non deve morire.

Qui potete leggere l’editoriale appello di Paolo Flores d’Arcais, storico direttore ed editore di Micromega.

Ucraina, Emma Igual, volontaria internazionalista, presente!


Comunicato di “Sotsialny Ruh” (Movimento sociale)

“Sotsialny Ruh” (Movimento sociale) rende omaggio a Emma Igual, attivista internazionalista spagnola e volontaria umanitaria, uccisa da una granata russa sabato 9 settembre nei pressi di Bakhmut.

Due volontari stranieri sono stati uccisi e altri due gravemente feriti dal fuoco dell’artiglieria russa. Secondo le dichiarazioni dei ministeri degli Esteri ucraino e spagnolo, i deceduti erano la cittadina spagnola di origine ebraica catalana Emma Igual e il canadese Anthony Ignat

I feriti sono il medico tedesco Ruben Mavik e il volontario svedese Johan Mathias Thyr. Il loro veicolo umanitario è stato attaccato dalle truppe russe nella regione di Donetsk, sulla strada tra Sloviansk e Bakhmut.

Il mondo ha perso uno dei suoi eroi nella lotta per i diritti umani e la dignità. Emma Igual era una volontaria in prima linea, che forniva aiuti umanitari alla popolazione di Bakhmut e dei villaggi circostanti. Direttrice e cofondatrice dell’organizzazione no-profit Road to Relief, è diventata la prima vittima catalana ufficialmente confermata dell’invasione russa dell’Ucraina. La missione della sua iniziativa è evacuare i civili dalla zona del fronte e fornire aiuti umanitari alle persone colpite dalla guerra in Ucraina. 

Emma Igual, 32 anni, era un’attivista di Joves Ecosocialistes, un’organizzazione con sede a Barcellona. La sua organizzazione ecosocialista ha rilasciato una dichiarazione in cui ricorda che Emma era un membro attivo dal 2015. Emma è stata un vero esempio di internazionalismo, portando avanti i suoi sforzi in collaborazione con altri attivisti per aiutare i più bisognosi. 

In passato, aveva svolto attività di volontariato nei campi profughi in Myanmar (Birmania) e in Grecia, anche durante la crisi dei rifugiati nel Mediterraneo nel 2016-2017, per poi dedicarsi ad aiutare le vittime dei conflitti militari, in particolare in Ucraina.


Le condoglianze alla famiglia e agli amici di Emma Igual sono state espresse da funzionari sia di Madrid (rappresentanti del governo del PSOE al potere e della piattaforma di coalizione di sinistra Sumar) sia di Barcellona (la Generalitat de Catalunya e il suo presidente Pere Aragones, in rappresentanza di ERC, la sinistra repubblicana catalana).

Si sono dichiarati pronti a fornire tutta l’assistenza necessaria in questo momento difficile. La Spagna ha inoltre espresso ancora una volta la più ferma condanna dell’aggressione russa.

Il Movimento Sociale condanna questo brutale atto di violenza contro una missione umanitaria e porge le proprie condoglianze alle famiglie delle vittime.

Ucraina-Russia, otto verità

Contrastare le illusioni complottiste sulla guerra russo-ucraina


di Yorgos Mitralias


In un momento in cui il tentativo di colpo di stato di Yevgeny Prigozhin e la successiva brutale eliminazione di Prigozhin stesso e degli altri leader dell’esercito privato della Wagner danno luogo a una valanga di commenti stravaganti tutti complottisti e cospirativi in varia misura, non c’è niente di meglio che attenersi ai fatti e alle prove, che abbondano in questa guerra russo-ucraina. Quindi, per aiutara a trovare la strada in questo labirinto da incubo, diamo un’occhiata ad alcune di queste sconvolgenti verità…


1. Innanzitutto, se oggi parliamo delle conseguenze catastrofiche di questa guerra, che dura ormai da 18 mesi, lo dobbiamo al presidente ucraino Volodymir Zelensky. E perché? Perché è stato lui a cogliere di sorpresa tutti, non solo gli strateghi del Cremlino ma anche gli alleati occidentali, Stati Uniti in testa, quando, all’indomani dell’invasione del suo paese da parte dell’esercito russo, ha scelto di rimanere in patria e di combattere fino in fondo, rifiutando la proposta del presidente Biden di esfiltrazione dall’Ucraina con la sua ormai storica frase: “La battaglia si combatte qui, in Ucraina. Ho bisogno di armi, non di un taxi”. 


Quello che è successo dopo ha dimostrato che la scelta di Zelensky di resistere è stata pienamente condivisa dalla stragrande maggioranza dei suoi compatrioti, compresi i cittadini di lingua russa. Ecco perché la presunta “passeggiata” dell’esercito russo si è rapidamente trasformata in una disfatta e perché non è riuscito a conquistare Kiev e il resto dell’Ucraina in 3-4 giorni, come avevano previsto il Cremlino e la NATO. E perché gli alleati occidentali, sotto la pressione dell’opinione pubblica, sono stati costretti a cambiare radicalmente i loro piani e ad aiutare l’Ucraina a difendersi.


2. Tuttavia, per l’Occidente, “aiutare l’Ucraina a difendersi” non ha mai significato aiutare l’Ucraina a battere la Russia. Come abbiamo scritto lo scorso febbraio, “predicando – in un modo o nell’altro – la necessità di ‘non umiliare Putin’, la maggior parte di queste proposte di pace sono condizionate dalla necessità delle grandi potenze occidentali di non tagliare i legami con la Russia, il suo mercato e le sue materie prime. Ecco perché gli aiuti militari offerti dai paesi occidentali all’Ucraina ricordano impercettibilmente quelli offerti dai paesi del “socialismo reale” al Vietnam che combatteva contro l’aggressione americana: abbastanza per non essere sconfitti, ma non abbastanza per vincere…”


È per questo che gli aiuti militari occidentali, e soprattutto americani, agli ucraini sono sempre stati dati con parsimonia e dopo molte tergiversazioni, impedendo all’esercito ucraino di approfittare delle successive vittorie intorno a Kharkiv (settembre 2022) e poi a Kherson (novembre 2022), per sferrare un colpo a un esercito russo sull’orlo del collasso.


3. Non a caso, già nel giugno 2022, avevamo notato che “le ‘stranezze’ di questa guerra non hanno fine”. Ad esempio, come spiegare il fatto – senza precedenti nella storia del mondo – che i due paesi in guerra non hanno gli stessi diritti e quindi non combattono ad armi pari? In altre parole, mentre uno (la Russia, l’aggressore) ha diritto a una forza aerea, l’altro (l’Ucraina, il difensore) non ce l’ha. Che una (la Russia) ha il diritto di monopolizzare i cieli sull’altra (l’Ucraina), mentre l’altra – che di fatto è quella che si difende – ha solo il diritto di essere sommersa di bombe e missili dal cielo. Inoltre, mentre la Russia può avere e usare armi pesanti di ogni tipo senza alcuna restrizione, l’Ucraina, che si sta difendendo, può usare solo armi “difensive” e non “offensive”. Inoltre, mentre la Russia può bombardare l’Ucraina sparando cannoni e missili dal territorio russo e bielorusso, all’Ucraina è espressamente vietato rispondere colpendo obiettivi all’interno della Russia e della Bielorussia, ecc. ecc. Purtroppo, 18 mesi dopo, questo testo è ancora di grande attualità…


4. La ragione principale del costante rifiuto dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, di dare all’Ucraina tutto ciò di cui ha bisogno per vincere questa guerra è che la priorità assoluta dei leader americani è quella di fare tutto il possibile per affrontare il loro principale, se non unico, concorrente e avversario, cioè la Cina! Ecco perché gli Stati Uniti hanno sempre voluto non solo non aprire un secondo fronte contro la Russia, ma anche chiudere il capitolo della guerra russo-ucraina il più rapidamente possibile, costringendo Kiev, se necessario, a cedere la Crimea in cambio di una pace, per quanto fragile. In altre parole, fare l’esatto contrario di quanto sostenuto da tutti coloro che attribuiscono ai leader americani l’intenzione di prolungare la guerra in Ucraina all’infinito…


5. È solo la sua guerra contro l’Ucraina, e non gli intrighi e le altre “trame” dell’Occidente, a destabilizzare il potere finora piuttosto stabile del presidente Putin. Ad esempio, se non fosse stato per questa guerra e per la sua disastrosa conduzione, Yevgeny Prigozhin non avrebbe mai immaginato di guidare un piccolo esercito di alcune migliaia di suoi mercenari, supportati da circa 400 veicoli blindati e altri mezzi militari, a marciare su Mosca, contro lo Stato Maggiore dell’esercito russo e persino contro il Cremlino! 


E non sono chiaramente i “complotti” della NATO i responsabili della brutale eliminazione dei tre principali leader di Wagner, né delle successive – non meno brutali – epurazioni di decine di alti ufficiali e generali russi, né della proliferazione di eserciti e altre milizie private, né della deriva sempre più autoritaria, repressiva, antidemocratica e dittatoriale dell’assediato regime di Putin. 


Dopo aver inventato di sana pianta una guerra coloniale del tutto inutile contro l’Ucraina in nome delle tradizioni e delle ambizioni imperiali della loro “Grande Russia”, Putin e i suoi complici stanno ora pagando il prezzo delle loro manie di grandezza imperialiste: il loro potere sta entrando in una crisi terminale, la loro Federazione Russa è ora minacciata dal collasso e, soprattutto, una guerra civile caotica e terribilmente pericolosa si profila all’orizzonte…


6. Ovviamente, la mancanza di motivazione da parte di alcuni (i russi) e l’eccesso di motivazione da parte di altri (gli ucraini) spiegano in parte il fallimento dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Tuttavia, questo fallimento rimarrà un mistero finché non terremo conto delle tradizionali carenze dell’esercito di questa Russia così a lungo presentata come “la seconda potenza militare del mondo dopo gli Stati Uniti”


Operando secondo il modello sovietico dell’era staliniana, cioè altamente centralizzato, non incoraggiando l’iniziativa tra i suoi ufficiali, mancando di sottufficiali, trattando i suoi coscritti in modo bestiale e agendo secondo piani preconcetti applicati alla lettera, l’esercito russo è minato dall’interno da una diffusa corruzione a tutti i livelli e soprattutto dalla cieca obbedienza che i suoi soldati sono obbligati a mostrare verso i loro superiori. 


Le conseguenze sono disastrose: la realtà non sale in cima alla gerarchia perché viene sistematicamente nascosta ai superiori che vogliono sentire solo “buone notizie”. È per questo che decine di generali russi che hanno osato dire la triste verità sono stati immediatamente rimossi dai loro incarichi (ad esempio l’architetto dei rari successi russi durante la guerra, il generale Sourovikin, molto brutale ma anche molto competente) e sostituiti da altri che nascondevano la loro incompetenza dietro il loro servilismo.


Inoltre, è stato proprio questo comportamento servile a persuadere l’onnipotente FSB (il controspionaggio russo) a convincere Putin a lanciare l’invasione dell’Ucraina, presentandogli un’immagine della realtà ucraina (militare, sociale e politica) che era l’esatto contrario di ciò che l’esercito russo ha incontrato sul campo, con i risultati catastrofici che tutti conosciamo… (si veda a questo proposito l’eccellente libro del colonnello Michel Goya e di Jean Lopez “L’ours et le renard. Histoire immédiate de la guerre en Ukraine”, pubblicato da Perrin).


7. Tuttavia, questi clamorosi fallimenti da parte dell’esercito russo non devono farci credere che la fine di questa guerra sia vicina, tanto più che l’esercito russo si è nel frattempo ripreso e, approfittando della mancanza di risorse degli ucraini che non hanno potuto sfruttare le vittorie dello scorso autunno, ha rafforzato le sue difese ovunque. 


Quindi, ancor più che in passato, ci troviamo di fronte alla domanda che è stata fondamentale fin dall’inizio di questa guerra: quale sostegno dare alle vittime di questa aggressione, affinché possano difendere efficacemente il diritto all’esistenza della loro nazione, del loro stato e dei loro cittadini. Perché dovremmo farlo?


Perché il presidente/dittatore Putin, che ha voluto e scatenato questa palese aggressione armata, ha avuto il merito di spiegare pubblicamente, in più occasioni, in modo dettagliato e molto chiaro, l’obiettivo della sua guerra: cancellare dalla faccia della terra, una volta per tutte, lo stato ucraino e tutto ciò che ricorda l’Ucraina, perché, secondo lui, né la nazione ucraina né gli ucraini sono mai esistiti.


8. La risposta, la nostra risposta, deve essere chiara e categorica: fare di tutto per sostenere gli ucraini di fronte alle pressioni e ai ricatti degli “amici” occidentali che cercano solo di difendere i propri interessi imperialisti. Soprattutto, dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare gli ucraini a sconfiggere il “grande nemico russo” che è determinato a sterminarli. Ciò significa armare adeguatamente gli ucraini, affinché possano almeno combattere ad armi pari. Perché tutto si deciderà sul campo di battaglia. Tutto il resto sono solo discorsi indecenti, ipocriti e in malafede