Russia, l’attentato di ieri

Non sappiamo, ovviamente, su che basi l’intelligence americana lo scorso 7 marzo abbia chiesto agli americani presenti in Russia di stare alla larga da raduni e spettacoli, avvertimento etichettato come “propagandistico” dal Cremlino ma che invece si è tragicamente avverato nell’assalto al “Crocus City Hall”.

La capitale russa fu già teatro a cavallo del cambio di secolo di altre stragi, allora oscuramente legate al conflitto russo-ceceno, che costò almeno centomila morti civili e la città di Gorzny ridotta in macerie.

Finora, l’unica rivendicazione arrivata è quella dell’Isis Khorasan, la brigata islamica concorrente e nemica dei Talebani con basi in Pakistan e in Afghanistan. Questa rivendicazione, se confermata, desciverebbe la strage del teatro moscovita come una vendetta per le vittime della repressione cecena o per i tragici bombardamenti russi in Siria a sostegno del dittatore Assad o forse la vedrebbe legata alle vicende delle repubbliche caucasiche post-sovietiche.

Né è da escludere un legame con il risentimento nazionale di alcune regioni periferiche povere e musulmane della Federazione dove il Cremlino ha forzosamente reclutato carne da macello da inviare al fronte ucraino.

Ma è certo che il bersaglio più ovvio, e anche più strumentalizzabile a fini interni da parte del regime russo, è quello dell’Ucraina.

Non a caso, i media russi filogovernativi, nonostante la rivendicazione islamista, all’unisono, probabilmente su sollecitazione del governo, enfatizzano non meglio precisate “tracce” del coinvolgimento ucraino sull’attacco terroristico.

A sostegno di questa ipotesi, il Servizio di sicurezza federale russo (FSB) e poi il presidente Putin nel suo “discorso alla nazione” hanno affermato che i quattro principali sospettati dell’attacco avevano pianificato di fuggire in Ucraina, dove avrebbero avuto “contatti appropriati” e hanno fatto sapere che i sospettati sono stati arrestati nella regione russa di Bryansk mentre appunto si dirigevano verso il confine ucraino.

E il vice-presidente della Commissione di sicurezza, Medvedev, ha affermato che se il sanguinario assalto al “Crocus” rivelasse una regia ucraina, “andremmo a Kiev a prendere Zelensky”.

Le autorità ucraine, da parte loro, hanno categoricamente negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco terroristico, accusando le autorità russe di tentare di alimentare “l’isteria antiucraina nella società russa”.

E’ certo, come sostiene Yurii Colombo, storico corrispondente da Mosca del Manifesto, in una videointervista del sito ticinese Naufraghi/e, che l’attentato si colloca al culmine di un “crescendo” putiniano che va dalla “misteriosa” morte di Navalny al plebiscito elettorale per il quinto mandato presidenziale di Putin, fino alla strage di ieri. 

Peraltro, in questo crescendo c’è anche la recentissima scelta del Cremlino di ammettere l’ovvietà, quello che tutti (compresi i russi) sapevano e cioè che in Ucraina non è in corso una “operazione militare speciale” ma una vera e propria guerra, anche se finora chi lo diceva o lo scriveva finiva direttamente in prigione.

Quello che possiamo certamente dire e che tutto ciò conferma che Putin con la sua guerra “grande russa”, e con lui Netanyahu con la sua inumana rappresaglia, Trump con il suo “Make America Great Again” e tanti altri politicanti con le loro farneticanti elucubrazioni, vogliono ridurre il mondo ad uno schema binario: “o noi o loro”. Una eclissi della ragione che nel caso specifico dell’autocrate russo vuole rendere eterna la sua “travolgente” vittoria elettorale.

Con ciò non vogliamo affatto assolvere (cosa che non abbiamo mai fatto in questi due anni di guerra putiniana) l’Occidente “democratico” dalle sue schiaccianti responsabilità, la Nato che ha lucidamente approfittato della follia di Putin per incamerare Svezia e Finlandia, il presidente francese Macron che, vestito da pugile, parla di entrata in guerra, e, soprattutto i commercianti di armi, i mercanti di morte di ogni bandiera per i quali ogni guerra diventa occasione di ulteriore arricchimento. 

E la “guerra che viene” cancellerà i vergognosi doppiopesismi uguali e simmetrici dell’Occidente e della sinistra putinian-pacifista, che sogna di un “mondo multipolare” che dovrebbe salvificamente prendere il posto del caos globale in cui viviamo da anni.

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