Argentina, 100 giorni di Milei

Tre mesi di furia mentre il paese vive sull’orlo dell’abisso

di Pablo Stefanoni, da opendemocracy.net

Il 10 dicembre, nel 40° anniversario del ritorno dell’Argentina alla democrazia, è arrivato alla Casa Rosada l’economista Javier Milei, un “anarco-capitalista” che ha espresso scetticismo nei confronti della democrazia e che continua a considerare lo stato una “organizzazione criminale”.

Milei si preoccupa di mostrare che il suo arrivo al potere non solo non lo modera, contrariamente a quanto accade di solito, ma alimenta ancora di più le sue ansie “rifondative”. Una sorta di “Atlas Shrugged” rioplatense (il riferimento è al romanzo distopico in tre volumi scritto da Ayn Rand, ndt), che recupera le immagini del capitalismo eroico del romanzo del 1957, insieme a visioni messianiche della politica che lo portano a paragonarsi a Mosè; o a paragonare la sorella Karina a Mosè e a riservarsi il ruolo del fratello e “traduttore” di Mosè, Aronne.

Un presidente-troll

Per Milei, la rifondazione nazionale comporta la fine di “100 anni di collettivismo” che avrebbero deviato il paese dal destino tracciato dai liberali del XIX secolo, portandolo a diventare un’enorme “villa miseria”. Significa anche porre fine alla “casta” politica – ha persino fatto rivivere lo slogan “Che se ne vadano tutti”, cantato nelle strade durante la rivolta sociale del 2001 – anche se il suo governo è pieno di politici di carriera, tra cui l’ex candidato peronista alle presidenziali Daniel Scioli, che nel 2015 ha perso di stretta misura contro l’ex presidente conservatore Mauricio Macri (2015-2019) e che ora è segretario al Turismo, Ambiente e Sport.

Il deterioramento economico degli ultimi anni, con un’inflazione superiore al 100% all’anno e una povertà che ha superato il 40%, ha portato gli elettori a medio e basso reddito a fidarsi di questo discorso e a scegliere La Libertad Avanza, l’etichetta elettorale di Milei, con un misto di stanchezza per il conosciuto e speranza per l’ignoto. Allo stesso tempo, è difficile spiegare il risultato delle elezioni argentine senza tenere conto del clima globale, con l’ascesa di nuove destre radicali e di politici presumibilmente “anti-establishment”.

Milei ha assunto la presidenza in una cerimonia con le spalle al parlamento per ribadire la sua lotta contro la casta; e il suo recente messaggio alla nazione in occasione dell’apertura dell’anno legislativo ha mostrato il suo disprezzo per un parlamento in cui è in minoranza e dipende dalla destra di Proposta Repubblicana (Pro), il partito di Mauricio Macri, e dall’opposizione “dialogante”, che comunque lui non smette di insultare.

“Non c’è spazio per i tiepidi”, ha detto il presidente della Camera dei deputati, Martín Menem, del partito di Milei e uno dei parenti dell’ex presidente neoliberale Carlos Menem (1989-1999) che fanno parte del nuovo partito di governo.

La furia di Milei è aumentata questo mese quando la maggioranza del Senato ha respinto il suo decreto di necessità e urgenza (DNU) emanato a dicembre – che abroga o modifica circa 300 leggi per deregolamentare l’economia – anche se questa decisione non ha alcun effetto legale a meno che anche la Camera dei deputati non voti per respingerlo.

Il presidente ha ripubblicato un messaggio con l’elenco dei senatori che hanno votato contro la DNU, con ogni nome affiancato dalla sigla HDRMP (hijos de remil puta). Aveva anche minacciato di “pisciare” sui governatori dopo il fallimento della sua “legge omnibus” – con più di 500 articoli e poteri speciali per il presidente – alla Camera bassa, e aveva definito il parlamento come un “nido di topi”.

Dipendente dai social network, Milei agisce come un vero e proprio presidente-troll, sulla scia di Donald Trump, sostenuto da eserciti di seguaci – organizzati e spontanei – che lanciano violente guerriglie virtuali e fanno circolare un lessico volto a squalificare l’opposizione, spesso sotto forma di meme.

“No la ven” (gli oppositori non vedono la realtà), “lágrimas de zurdos” (i sinistrorsi piangono per la perdita dei loro privilegi) o “las fuerzas del cielo” (le forze del cielo su cui si reggerebbe il governo), insieme a una varietà di altri meme in cui Milei viene presentato come un leone ruggente o un supereroe.

Milei, approfondendo il suo lato mistico, ripete una citazione dal Libro dei Maccabei che afferma che, in battaglia, la vittoria non dipende dal numero di soldati, ma dalle forze del cielo. Vicino all’organizzazione chassidica Chabad Lubavitch, pur non essendo ebreo, twitta spesso messaggi biblici in ebraico per ribadire che non sta guidando un governo ordinario, ma una rivoluzione che va oltre i confini terreni.

Guerra culturale

Dal suo ingresso in politica nel 2021, dopo essersi fatto conoscere come eccentrico panelist televisivo ossessionato da John M. Keynes – un nome che lo fa letteralmente impazzire – Milei ha iniziato a incorporare il linguaggio della “destra alternativa”. Dapprima ha denunciato la presunta onnipresenza del Forum di San Paolo – una sempre più debole rete di partiti latinoamericani di sinistra – da posizioni complottiste, e infine è diventato un crociato contro il “marxismo culturale”.

In questo contesto passa alla denuncia del riscaldamento globale come invenzione socialista e collega il “femminismo radicale” e l’ambientalismo con un piano di riduzione della popolazione planetaria attraverso l’aborto e la decrescita.

Milei presenta le sue politiche come una vendetta anti-progressista. La chiusura dell’Istituto nazionale contro la discriminazione, la xenofobia e il razzismo e dell’agenzia di stampa statale Télam, i tagli ai finanziamenti per il cinema argentino e il Consiglio nazionale per la ricerca scientifica e tecnica sono celebrati come vittorie contro il marxismo culturale, che provocano “lacrime a sinistra”.

Persino il licenziamento dei lavoratori viene celebrato dai militanti libertari, spesso davanti ai cancelli delle istituzioni “cancellate”. “La crudeltà è di moda”, ha detto lo scrittore Martín Kohan. Una crudeltà che si mescola alla trasgressione caratteristica delle reti sociali e della nuova destra.

Anche il protocollo “anti-picchetti” – che criminalizza i blocchi stradali – adottato dalla ministra della Sicurezza Patricia Bullrich, battuta nel voto alle ultime elezioni, viene vissuto in questo modo. “Falco” della destra tradizionale, che già occupava lo stesso posto nel governo Macri, Bullrich è un personaggio chiave del governo e ha fatto del pugno di ferro contro la criminalità e la protesta sociale il suo marchio di fabbrica.

Se l’anarcocapitalista Milei parlava in modo critico delle “forze repressive dello stato”, il presidente Milei avalla le minacce di repressione del suo ministro.

L’ultima provocazione è stata quella di sostituire, l’8 marzo – mentre decine di migliaia di donne marciavano a Buenos Aires per la Giornata Internazionale della Donna – il Salón de las Mujeres Argentinas nel palazzo del governo con il Salón de los Próceres (la “sala dei notabili”, ndt).

Il pantheon pluralista, che comprendeva donne di diverse storie e ideologie, è stato così sostituito da ritratti di eroi, tutti maschi, tra cui i tradizionali “padri fondatori” con figure come il controverso ex presidente Menem, che ha imposto un programma di privatizzazione radicale negli anni ’90, ma che per Milei è un altro eroe.

La responsabile di questo cambiamento è Karina Milei, sorella del presidente, da lui soprannominata “il Capo” e attuale segretario generale della presidenza. “Un’idea arcaica ed escludente di nazione… con l’odore della naftalina”, ha sintetizzato il famoso storico Roy Hora.

Di fronte alle critiche di misoginia, Milei risponde rivendicando le donne che occupano posizioni nel suo gabinetto: Bullrich, il ministro degli Esteri Diana Mondino, il ministro Sandra Pettovello, che dirige il ministero del Capitale umano, che ha assorbito i portafogli dell’istruzione, del lavoro, delle politiche sociali, delle donne e dei diritti umani, e sua sorella Karina, figura centrale dell’amministrazione.

Alla lista si può aggiungere anche la vicepresidente Victoria Villarruel, un’avvocata che difende, o almeno giustifica, gli ufficiali militari condannati per crimini contro l’umanità commessi durante l’ultima dittatura (1976-1983), ma il cui stile e i cui interessi sono in perenne contrasto con Milei e il suo entourage.

Questa battaglia culturale inserisce Milei nella tribù globale degli ultras politici. Egli ritiene che l’Occidente sia in pericolo perché ha abbandonato le idee di libertà, come ha sottolineato davanti al World Economic Forum di Davos, che considera un club di socialisti.

Nel 2013 è diventato un seguace della versione più radicale della scuola austriaca di economia, quella di Murray Rothbard, ed è diventato un’icona della destra libertaria, ma il suo anti-progressismo lo collega anche ai settori più reazionari.

Per questo è stato uno degli ospiti dell’ultima Conservative Political Action Conference (CPAC) negli Stati Uniti, dove ha incontrato Donald Trump senza riuscire a nascondere la sua eccitazione. Milei ha anche fatto visita al primo ministro italiano di estrema destra Giorgia Meloni – nello stesso viaggio in cui ha cercato di riconciliarsi con Papa Francesco, che aveva definito “il rappresentante del maligno sulla Terra” – e ha stretto legami con la famiglia Bolsonaro. Ha ricevuto anche molti elogi da Elon Musk, con il quale condivide un odio viscerale per la giustizia sociale.

Motosega e frullatore

Milei ha fatto campagna elettorale con una motosega per simboleggiare la riduzione della spesa pubblica che, ha promesso, avrebbe colpito solo la “casta”.

Ma il suo programma d’urto è stato di tale portata che lo stesso Fondo Monetario Internazionale (FMI) gli ha raccomandato di non trascurare le famiglie lavoratrici e i più vulnerabili, per paura di un’esplosione sociale. A gennaio, la povertà riguardava già più del 57% della popolazione, secondo l’Osservatorio del debito sociale argentino dell’Università Cattolica.

Più che la motosega, Milei ha usato il frullatore (per la liquefazione della spesa pubblica): ha mantenuto le voci di bilancio del 2023 senza considerare l’inflazione al 20,6% a gennaio e al 13,2% a febbraio (un dato celebrato dal governo per una presunta tendenza al ribasso).

Le pensioni hanno visto il loro potere d’acquisto ridursi del 30%. La riduzione delle prestazioni sociali, la paralisi delle opere pubbliche, il taglio dei trasferimenti alle province e il rinvio dei pagamenti del debito spiegano l’avanzo finanziario che il governo celebra ma che diversi economisti vedono con scetticismo, soprattutto in termini di sostenibilità.

Questi 100 giorni sono stati segnati da tensioni con i governi provinciali, dato il rifiuto dell’amministrazione federale di trasferire loro alcuni fondi fiscali. Ma nel caso della provincia di Buenos Aires, la più popolosa del paese e governata dal peronista Axel Kicillof, Milei ha appoggiato l’appello alla “ribellione fiscale” – in sostanza, il rifiuto di pagare le tasse – lanciato dal deputato José Luis Espert, un alleato del governo.

Ma la strategia di Milei di soffocare finanziariamente le province per apportare modifiche radicali allo stato federale è a doppio taglio, e basta ricordare le violente esplosioni sociali provinciali degli anni Novanta.

“Forza Toto [Antonio Caputo, ministro dell’Economia]. Il deficit 0 non è negoziabile”, ha scritto Milei su X. Da parte sua, Caputo ha assicurato che “non esiste un precedente mondiale di riduzione del deficit di cinque punti in un mese, e questo dimostra l’impegno del presidente”.

Sebbene Milei ritenga che tutte le tasse siano un furto e che evaderle dovrebbe essere un diritto umano, sta cercando di aumentarne diverse, estendendo anche la cosiddetta imposta sul reddito (sui salari) che l’ex ministro dell’Economia e candidato alla presidenza Sergio Massa aveva ridotto l’anno scorso, durante la campagna elettorale.

L’economia sarà la chiave

La battaglia culturale serve a coagulare e intrattenere la base di Milei, ma il presidente ha vinto le elezioni perché ha convinto il 30% dell’elettorato al primo turno e il 55% al secondo che la sua ricetta avrebbe risollevato il paese dalla crisi e lo avrebbe proiettato in un promettente futuro di libertà e abbondanza. E sarà su questo terreno che si definirà il suo futuro – e la sua capacità di costruire un blocco politico e sociale di sostegno che oggi gli manca.

La stabilità del governo è per il momento assicurata da un Partito Giustizialista (i peronisti) ancora malconcio per la sconfitta elettorale e per il forte rifiuto sociale di un peronismo dominante negli ultimi 20 anni, quello dell’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner, da un sistema politico che non è ancora riuscito a decodificare il “mileismo” e dal timore dell’opposizione “dialogante” che Milei capitalizzi in modo populista il rifiuto legislativo delle sue misure nelle elezioni parlamentari del 2025.

Nel frattempo, tutti si chiedono quanto durerà la fiducia sociale – che secondo i sondaggi sembra durare – nel presidente più inclassificabile e stravagante degli ultimi quattro decenni di democrazia in Argentina.

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