Cuba, la sinistra critica per un futuro neomarxista, decoloniale e democratico

intervista di Alexander Hall Lujardo a Raymar Aguado Hernández, una delle voci intellettuali più importanti della giovane sinistra cubana, da rebelion.org

La narrazione di Raymar Aguado Hernández riesce a trasmettere con radicale lucidità, critiche puntuali ai fatti che caratterizzano l’attuale scenario di colonialismo interno e di pragmatismo economico dell’isola.

Questa sistematizzazione della crisi da parte del Partito/Governo è il risultato della débacle seguita alla caduta del cosiddetto campo socialista europeo e alla divisione del pianeta in una lotta mortale combattuta in quella che allora era intesa come una battaglia campale tra due forme alternative di società: il socialismo e il capitalismo. 

A Cuba, la crisi del modello scelto dai leader ha portato all’emergere di misure tecnocratiche che hanno fatto riapparire le disuguaglianze, ritenute superate da gran parte della popolazione nazionale, grazie alle politiche sociali egualitarie della rivoluzione. 

Tuttavia, gli ideali della sovranità popolare, del potere operaio, della democrazia come piena socializzazione della ricchezza e dell’autogestione come forma di produzione dalle basi sociali sono stati frustrati, infranti dall’unipartitismo autoritario delle forze ribelli, che guidarono il processo di trasformazione e che hanno egemonizzato l’apparato statale per la riproduzione dei loro rapporti di forza di ispirazione guerrigliera e caudillista.

In questo senso, l’intervista che segue, improntata più all’analisi contestuale che al rigore che contraddistingue i grandi resoconti storiografici degli scienziati sociali, potrebbe essere intesa non solo come una dichiarazione di principi, ma anche come un manifesto programmatico che indica lo schema emancipatorio e le linee guida fondamentali che segnano il percorso teorico neomarxista, decoloniale e rivoluzionario, accompagnato da una prassi di giustizia, aspirando a posizionare un altro percorso davanti ai grandi paradigmi della disputa ideologica a Cuba, tra liberalismo politico e stalinismo post-totalitario, che oggi si pongono come le principali correnti di pensiero di fronte alla crisi sistemico-strutturale che la nazione caraibica sta soffrendo. 

D’altra parte, l’attuale posizione si inquadra in questa lotta per il rispetto delle libertà repubblicane, per giungere all’instaurazione di un’alternativa socialista democratico-popolare, basata sulla tradizione del pensiero patriottico cubano.

Negli ultimi anni molti giovani che credono profondamente nel socialismo, nell’antimperialismo e nella decolonizzazione sono stati messi agli arresti domiciliari e detenuti dal governo cubano. Perché un governo apparentemente socialista detiene giovani socialisti?

La Rivoluzione cubana è stata il punto di svolta più importante per la politica dell’America Latina in un contesto di incertezza dettato dalla “guerra fredda” e dalla polarizzazione dell’egemonia mondiale tra due segmenti cosiddetti “ideologici”; anche se sappiamo che la lotta è sempre stata geopolitica ed economica. Per decenni, il processo iniziato a Cuba nel 1959 ha rappresentato per molti fronti di lotta antimperialista della regione un punto di riferimento e un emblema molto importante.

La Rivoluzione cubana è stata vista da quasi tutta la sinistra mondiale come la materializzazione del sogno di giustizia per il quale la classe operaia aveva lottato così duramente e per il quale aveva sacrificato così tanto. E, sebbene non abbia mai goduto dell’appoggio di molti noti rivoluzionari e abbia perso gran parte della sua legittimità dopo il cosiddetto “Caso Padilla”, l’esodo di Mariel, le cosiddette “Causa 1 e 2” del 1989, la “Crisi del Rafting” e il “Malenconazo” del 1994, è arrivata ad essere nel XXI secolo, dopo la caduta del cosiddetto “socialismo reale” nell’Europa dell’Est, il presunto ultimo baluardo di resistenza all’espansione capitalista e neoliberale.

È molto triste, ma quella che a mio parere possiamo chiamare la Rivoluzione cubana in lettere maiuscole e senza toni propagandistici dottrinari, è morta nel 1976, quando sono state gettate le basi della centralizzazione statalista, della sovietizzazione accelerata; Dopo l’approvazione della Costituzione della Repubblica, si ufficializzò il ruolo guida del Partito Comunista di Cuba (PCC) e la riduzione politica a partito unico, nonché l’investitura presidenziale di Fidel Castro, il quale, pur avendo sempre avuto apertamente in mano il potere politico dell’isola, assunse una posizione che simbolicamente godeva di maggiore rilevanza, visto che rimase per 32 anni in carica come primo ministro della Repubblica.

È stato un periodo di censura ricorrente e di violenza istituzionale, che ha avuto la sua genesi nel 1959, attraverso eccessi, separazioni dal lavoro, violazione dei diritti umani (di cui il miglior esempio sono le Unità Militari di Aiuto alla Produzione, le UMAP, veri e propri campi di concentramento forzato per persone la cui proiezione non corrispondeva all’archetipo del cosiddetto uomo nuovo socialista), annullamento politico dei settori di opposizione e marcato autoritarismo da parte dell’amministrazione governativa. L’impatto della Rivoluzione sulla vita cubana è innegabile e molti settori sociali svantaggiati hanno sentito il beneficio di un processo che, secondo Fidel, è nato “dagli umili, per gli umili e con gli umili”.

La dinamica nazionale cambiò completamente in quegli anni. Molto è stato fatto e realizzato a beneficio del popolo, molto è stato trasformato dalla Rivoluzione nel cuore di un paese depredato e impoverito durante il periodo coloniale; condannato alla disuguaglianza e all’esclusione nella Repubblica. Ma, allo stesso tempo, si cominciarono a gettare le basi per ciò che in seguito si sarebbe rivelato l’esatto contrario. Gli esempi non mancano, ma i discorsi di Fidel di quegli anni, i suoi abusi di potere e la sua posizione antidemocratica sono molto rivelatori, come si evince da episodi come il discorso alla Biblioteca Nazionale del 1961, la cui conclusione è passata alla storia con il titolo “Palabras a los intelectuales”.

Anni dopo arrivò il sofferto “Periodo Speciale” (1990-1994), un periodo di totale penuria. A causa della sua dipendenza dalle potenze del blocco “socialista”, Cuba fu immersa in un periodo che mise a nudo l’arbitraria gestione economica e produttiva che la dirigenza del paese aveva scelto. Senza il Consiglio di Mutuo Aiuto Economico (CAME), senza l’URSS, senza gli alleati commerciali e senza il cosiddetto “capezzolo russo”, l’isola era in piena desolazione. Fu lì che la leadership del governo cubano – sempre più centralizzata e totalitaria – concepì l’idea funzionale e conveniente di aprirsi agli investimenti stranieri, allo sfruttamento transnazionale, al turismo e a tutta una serie di misure che annunciavano apertamente una più profonda transizione verso il neocapitalismo di stato. Tale processo, la cui genesi risale allo stesso 1959, configurava una nuova ri-stratificazione oligarchica che sarebbe sfociata in monopoli aziendali nelle mani dell’élite militare.

Gli anni successivi dimostrarono quanto tali misure fossero lontane dal procurare benefici al popolo; al contrario, contribuirono, sempre più alla luce del sole, a dare potere a una classe dirigente dell’isola, dove la divisione tra gestione militare e imprenditoriale era inesistente. In questo ambito si sono distinte joint venture, gruppi imprenditoriali come GAESA e personalità come Julio Casas e Luis Alberto Rodríguez López-Calleja. A quegli anni, e a tutto il mandato presidenziale di Raúl Castro (2006-2018), risalgono anche le tanto discusse Linee guida di politica economica e sociale approvate al VI Congresso del PCC, dove il cambiamento anche del discorso è stato molto evidente.

Queste dinamiche economiche e produttive avevano già raggiunto un certo splendore negli anni della normalizzazione delle relazioni tra i governi statunitense e cubano, durante il periodo di Obama, che ha dato impulso alla proprietà privata, al lavoro autonomo e a un numero ancora maggiore di investimenti stranieri, soprattutto nel settore turistico. Questo ha generato un divario sociale molto più significativo, soprattutto tra le popolazioni vicine ai centri turistici e ai luoghi di interesse, come Varadero, Trinidad o L’Avana, e altre regioni più remote dove il presunto “progresso” di quel periodo non è arrivato nemmeno lontanamente. 

La narrazione di quegli anni fu segnata dall’apparente apertura allo “sviluppo”, alla “prosperità”, e non pochi placebo per il popolo lasciarono il potere politico e i suoi alleati opportuni, per non dire opportunisti, con la tipica formula romana del pane e del circo, al fine di rafforzare le alleanze che avrebbero portato alla nascita di empori commerciali; alcuni dei quali ancora attivi.

Allo stesso modo, mentre si investivano milioni di dollari per riparare il centro storico dell’Avana Vecchia e per costruire alberghi sulla costa settentrionale, milioni di cubani sopravvivevano in abitazioni fatiscenti, in case plurifamiliari, nel cosiddetto “arriva e occupa” e molti altri in ripari dalle condizioni disumane. Mentre L’Avana veniva venduta come una Città delle Meraviglie e Cuba come un paradiso turistico nei Caraibi, la maggior parte della popolazione cubana sperimentava enormi gradi di impoverimento e il divario di classe tra settori specifici che beneficiavano di queste politiche economiche inique e il restante 99% della popolazione nazionale si allargava sempre di più.

Poi è arrivato Trump alla Casa Bianca con le sue 243 misure coercitive unilaterali; nel 2018 si è assistito alla rappresentazione di un presunto cambio generazionale nella leadership del governo cubano, nel 2019 si è svolta la storica marcia dell’11 maggio in cui l’attivismo LGBTIQ+ è sceso in piazza chiedendo un’assunzione di responsabilità da parte del governo, è stata approvata una nuova costituzione, nel 2020 è arrivata la pandemia di Covid-19, sono state adottate misure arbitrarie in materia economica che hanno provocato un’ecatombe sull’isola, come la cosiddetta “Tarea Ordenamiento”, si è vissuta una crisi paragonabile a quella degli anni ’90. Mentre il popolo chiedeva sempre di più i propri diritti e il proprio benessere, i margini di mobilità a Cuba si sono ristretti sempre di più in tutti i settori, la protesta davanti al Mincult del 27 novembre 2020 ha avuto luogo e si è iniziato a percepire un momento storico diverso. 

Si arriva così all’11 luglio 2021 e alle più grandi manifestazioni popolari della Cuba post-59′, dove il potere politico ha tirato fuori il suo volto dittatoriale, reprimendo i manifestanti, perseguitando chiunque dissentisse e mettendo in campo un intero sistema di violenza politica che persiste.

E così arriviamo ai giorni nostri, dove, come molte altre appartenenze politiche, i giovani antimperialisti, socialisti e decolonialisti sono repressi, violati e insultati da un potere politico che afferma di seguire le idee di Marx, del socialismo e dell’antimperialismo. Ma è chiaro che questo non è altro che un discorso dottrinario.

Le numerose misure a danno della classe operaia cubana, che si trova in un notevole stato di precarietà; lo sfruttamento umano dei lavoratori, l’apertura all’ingerenza di investitori stranieri di comodo che applicano a Cuba le loro formule estrattive, l’instaurazione di una casta politico-militare-affaristica che funziona come padrona del paese e accumula enormi somme di denaro, l’appoggio incondizionato del discorso ufficiale a potenze imperialiste e autoritarie come la Russia e la Cina, nonché le formule repressive applicate dall’alto per costringere il popolo e mantenere il potere in un paese in rovina, sono chiari esempi di come la politica del governo cubano sia nemica del marxismo, del socialismo e di qualsiasi formula anti-egemonica che non serva i suoi interessi.

Il discorso propagandistico che vendono può ingannare, ma la realtà è innegabile: chiunque si opponga alla gestione politica portata avanti dal governo cubano – che è capitalista e totalitaria – rischia di essere vigliaccamente represso, indipendentemente da quanto si sia marxisti, si abbracci il socialismo e si condanni la politica estera, ad esempio, degli Stati Uniti.

Come giovane socialista a Cuba, che cosa hai da dire al mondo che crede che si debba sostenere pienamente e acriticamente il governo cubano o che si debba abbracciare la politica iperconservatrice di una parte della diaspora cubana?

La scena politica cubana è eccessivamente mediatizzata e spesso è un circo di estremi. È molto comune che, all’interno delle narrazioni prevalenti, che sono quella ufficiale che risponde al governo e quella presentata come “opposizione”, che comprende solo i settori tradizionali della destra cubana convenzionale, qualsiasi posizione che non si riconosca con queste linee o che sia semplicemente e arbitrariamente associata, per screditarla, alla parte “nemica”, finisca per essere annullata. In questo senso, la sinistra critica cubana è totalmente invisibile, ignorata e messa in discussione, e allo stesso tempo repressa e vessata dall’apparato statale.

La grande menzogna costruita dal potere politico, e di eredità sovietica, di dipingere il governo cubano come socialista o continuatore dell’eredità marxista ha creato un’atmosfera di generale rifiuto di questa prassi filosofica. Allo stesso tempo, l’indottrinamento nelle scuole, attraverso il quale è stata diffusa questa menzogna, ha costretto molte generazioni ad associare Cuba al socialismo, il socialismo alla scarsità, la scarsità a Fidel Castro e Fidel Castro a Karl Marx; lo stesso è accaduto in URSS. Questo ha causato molti danni. Anche nel mio caso, rifiuto di essere etichettato con categorie come “comunista”, perché mi ricorda Stalin o il PCC e i loro molteplici oltraggi alla vita e agli oppressi.

In questo senso, accade che il governo ti dica che il “socialismo” è il suo e che la sinistra critica è la bugiarda che sostiene la destra, e dall’altra parte la destra ti dica che facciamo il gioco del governo o che vogliamo lasciare Cuba in miseria. Sono tutti colpi epistemologici, violenza culturale e indottrinamento. È molto difficile vivere in questo scenario e mantenere una posizione coerente con i propri ideali, i propri studi e le proprie aspirazioni future, la propria idea di paese; per questo molti mollano, e poi li ritroviamo con discorsi a favore di una parte o dell’altra. La verità è che la sinistra critica ha un compito politico titanico, perché si scontra con due grandissime potenze, senza avere nemmeno l’1% delle risorse a disposizione del neoliberismo proposto da una parte o dello stalinismo a cui si aggrappa l’altra. Come Paco de Lucía, ci troviamo nel mezzo.

In questo preciso momento, potrei dire che stiamo soffrendo di più la violenza governativa, credo che non ci siano dubbi, perché in un certo senso è facile ignorare gli insulti che provengono dai portavoce dell’altra parte, ma in momenti precedenti e in possibili scenari futuri, la storia era e sarà diversa. La violenza ideologica nel tessuto politico cubano, soprattutto negli spazi virtuali, è troppo grande. Questo è molto pericoloso, perché qualsiasi idea di democrazia futura viene calpestata e si tratta semplicemente di abbracciare l’ideologia del vincitore, come sta accadendo ora. 

L’indottrinamento politico è una delle cose più terribili che il popolo cubano ha subito negli ultimi decenni, da qualunque parte provenga, perché nella maggior parte dei casi si basa su un’idea violenta ed escludente, dove l’individualismo e la sottomissione a un potere ideologico dominante sono la chiave. Così, cose essenziali come il benessere popolare, la conquista di diritti per tutti, l’orizzontalità e la costruzione di un paese equo in cui i suoi abitanti abbiano una vita dignitosa, vengono lasciate fuori dal dibattito.

La richiesta di una militanza di parte che risponda all’una o all’altra parte è solo un modo per ridurre arbitrariamente lo spettro politico cubano e lasciarlo alla mercé dei media. Esiste un intero universo di realtà e di militanza al di là di Díaz Canel, del dogma di Fidel e del PCC o di Marcos Rubio, Otaola e della NED. La costante invisibilizzazione del resto delle posizioni critiche dimostra che la questione non riguarda il miglioramento dell’isola, ma la disputa sul potere strategico di chi domina “La chiave del Golfo”. La sinistra critica a Cuba non aspira al potere, ma a porre rimedio a una serie di mali che affliggono la nostra terra, a combattere le disuguaglianze, a lottare contro l’autoritarismo e lo sfruttamento e a cercare, insieme a tutto il popolo, di realizzare una Cuba più giusta.

Non potrò mai stare dalla parte di un governo che reprime il suo popolo, che lo rende più precario e ingrassa certe tasche, che viola i diritti della gente, che maltratta e inventa una storia di giustizia sociale, così come non starò mai dalla parte di chi vuole trasformare Cuba in un paradiso neoliberale, un parco giochi di interessi egemonici ed estrattivi sotto i dettami del capitale, dove c’è una presunta democrazia e un falso regno delle opportunità mentre ciò che appartiene al popolo viene goduto dal padrone. Non potrò mai sostenere un progetto per un paese in cui i diritti delle donne non vengono affrontati, in cui l’eliminazione del razzismo non è tra gli obiettivi fondamentali, in cui la lotta per i diritti della dissidenza di genere non è in cima all’agenda, in cui i diritti della maggioranza non sono in cima alla lista.

In quale Cuba mi piacerebbe vivere? Questo non mi è chiaro, su alcune cose potrei discutere. Ma una cosa che so per certo è che la Cuba a cui aspiro non è quella che abbiamo ora e che i poteri politici impongono, né quella che l’altra parte egemonica vende come la migliore.

Gran parte della sinistra mondiale elogia Miguel Díaz-Canel per aver guidato una marcia per la Palestina nelle strade. Perché le marce per la Palestina sono permesse, ma anche le critiche più elementari sono totalmente criminalizzate a Cuba?

Il potere politico cubano è ipocrita, lo è sempre stato. Questo è uno dei suoi principali strumenti di dominio. Vende al mondo un’immagine che non è reale, in cui si suppone che difenda la giustizia e combatta tutti gli atti di violenza. È così che per decenni ha ingannato gran parte della sinistra internazionale, che ha accettato di conoscere Cuba solo da ciò che il governo rendeva pubblico. Solo nel 2018 c’è stato libero accesso a Internet, e dico libero perché ci sono molte restrizioni economiche, tecnologiche e persino di censura governativa che non permettono alle persone a Cuba di accedere liberamente al web. Da allora le cose sono un po’ cambiate.

Prima, pochissime informazioni su ciò che stava accadendo raggiungevano il resto del mondo senza essere supervisionate dal potere politico, quindi capisco che molte persone in tutto il mondo erano cieche rispetto a ciò che stava accadendo nel nostro paese. Guardare i documentari finanziati dal governo sulle pietre miliari rivoluzionarie come le brigate Henry Reeve, l’Operazione Miracolo, il massiccio sostegno a Fidel, la “gioia” del popolo cubano, ecc. dava un quadro molto diverso da quello che non mostravano: l’impoverimento, la precarietà, le condizioni di vita spaventose, la repressione politica. È stato molto facile per la sinistra antimperialista innamorarsi di questo, o di Fidel e dei suoi discorsi all’ONU, al vertice di Rio, della sua “aura rivoluzionaria che combatte il più grande impero della modernità”. Tutte idee che sono davvero molto ben vestite. Anche se ci sono stati innegabili successi nella battaglia anticoloniale, compresa la rottura con l’URSS.

Oggi chi si lascia ingannare è disinformato, opportunista o cieco. Da tempo è stata tolta la maschera al potere totalitario che governa Cuba ed è stata messa sul tavolo del dibattito internazionale, anche da sinistra, grazie al lavoro di importanti intellettuali e attivisti antistalinisti. Ora molto è stato svelato, ci sono molti media alternativi al governo, e anche se alcuni di essi non sono sempre fedeli alla realtà, altri fanno un lavoro serio e impegnato, indipendentemente dal loro colore politico. Anche i poteri politici hanno esaurito gli strumenti per giustificare i loro oltraggi, i soliti mantra, come il discorso della piazza assediata o dell’ultimo bastione antimperialista del mondo, sono diventati zoppi e polverosi, e sono diventati solo un altro mezzo per autoscreditarsi.

Nel caso del sostegno al popolo palestinese. Non è meno vero che il governo cubano si è storicamente posizionato a fianco di varie cause giuste, tra cui quella palestinese. Questo non lo esime minimamente dalle atrocità e dalle colpe che ha commesso in altri casi, soprattutto quando questo sostegno è spesso selettivo, di comodo e rimane solo parole che coprono il suo vero volto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. 

Oltre al sostegno che in molti casi è stato dato ad altri popoli o governi con interessi economici o politici molto forti. Un chiaro esempio è il vergognoso silenzio seguito alle violenze del governo iraniano contro il suo popolo, in particolare contro le donne che reclamavano i loro diritti. Non una sola voce ufficiale ha condannato gli omicidi e gli altri crimini commessi dal governo israeliano; al contrario, vediamo come Miguel Díaz-Canel e altri rappresentanti politici dell’isola inneggiano alle “magnifiche” relazioni bilaterali. Lo stesso è accaduto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e più recentemente con la criminalizzazione dell’attivismo LGBTIQ+ da parte dello stato russo. Come cittadino cubano mi vergogno indescrivibilmente.

Elencare tutte le incoerenze dell’ufficialità e dei suoi portavoce sarebbe estenuante, gli esempi sono molti, dove, in molti casi, dietro il bene che il governo cubano può o non può aver fatto, c’era una ricompensa puntuale. Questo, ovviamente, non vale per tutti i casi; la solidarietà di Cuba con gli altri popoli è innegabile, anche se, ovviamente, non è merito del suo governo, né di Fidel, come la propaganda ufficiale continuamente spaccia. Parafrasando un caro amico: la violenza interna che legittima il governo cubano non toglie nulla ai suoi successi in politica estera. È una verità che non si può ignorare, ma è sempre necessario analizzarla con la lente d’ingrandimento.

Pur essendo un convinto sostenitore della causa palestinese e condannando quotidianamente il genocidio commesso dallo stato di Israele e dai suoi alleati occidentali contro quel popolo, non ho partecipato alla marcia che tu citi. Attività di questo tipo vengono organizzate in continuazione dai poteri politici per ripulire la propria immagine agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Quella marcia, ridicolmente simbolica, minimale e ipocrita, è stata organizzata dalle organizzazioni politiche, che a Cuba sono controllate dallo Stato, ed è stata sorvegliata dai suoi organi repressivi, che si sono assicurati che tutto ciò che avveniva fosse conforme al copione che era stato stilato. Questa “marcia” non era lunga nemmeno un chilometro, da Calle G a La Piragua, lungo il Malecón. Mentre nel mondo il popolo, spontaneamente e senza organizzazione repressiva, marcia per ore e giorni e affronta il potere che cerca di metterlo a tacere, a Cuba il potere politico organizza una marcia di pochi minuti, meticolosamente programmata, con un orario di inizio e di fine. Mi è sembrata una presa in giro, un’altra vergogna.

Mentre la gente marciava sul Malecón, per propria convinzione o perché ricattata sul posto di lavoro o nel centro educativo, centinaia di persone erano dietro le sbarre, ingiustamente condannate con l’accusa di sedizione, disordine pubblico o attentato, per aver manifestato, chiedendo i propri diritti, l’11 luglio 2021, giorno che ha visto la più grande escalation repressiva degli ultimi decenni a Cuba. La sinistra critica, e in questo caso io, sostieniamo incondizionatamente la causa del popolo palestinese e condanniamo con tutte le nostre forze il sionismo e l’imperialismo occidentale, ma non mi schiererò mai con l’ipocrisia del governo cubano, che pretende di sostenere altri popoli mentre reprime e viola il proprio.

A questo proposito, vorrei anche sottolineare che molti attivisti dell’opposizione al governo si sono schierati contro qualsiasi sostegno dell’isola al popolo palestinese, sostenendo che ci sono già abbastanza problemi a Cuba per preoccuparsi di altri orizzonti; qui sono ovviamente contro gli attivisti dell’opposizione che sostengono il genocidio, perché la loro posizione è già vergognosa. Sono anche contrario a questa formula. La smania di molti attori politici cubani di credere che il contesto nazionale sia paragonabile a quello di altri popoli come la Palestina, oltre a essere infame, è criminale. L’opposizione cubana deve liberarsi del mito che Cuba sia l’ombelico del mondo – per quanto Fidel Castro abbia cercato di convincerci del contrario – la solidarietà tra i popoli è un obbligo di giustizia.

Quali sono le vostre richieste al governo cubano?

Non faccio richieste al governo cubano. Combatto il governo cubano, così come combatto e mi oppongo a qualsiasi organismo repressivo, escludente e sfruttatore che esista. Diciamo che ho molti nemici, il governo cubano è solo uno di questi; per fortuna ci sono più alleati e la mia voglia di fare del bene.

Lascia un commento