Per il tribunale di Brescia scioperare è un reato di estorsione

Il Tribunale di Brescia ha condannato in primo grado la coordinatrice del SiCobas di Brescia Laura Raffelli, il coordinatore di Milano Alessandro Zadra ed altri sette lavoratori iscritti a quel sindacato, per gli scioperi in Penny Market di Desenzano del Garda (BS) del 2018-2019.

Il capo di imputazione è quello di estorsione da parte dei due coordinatori, con una pena di 2 anni e 6 mesi, che mosso in assenza di reali presupposti lascia basiti e amareggiati per la gravità con cui vengono messe sotto la lente d’ingrandimento della repressione le lotte sul lavoro.

7 operai vengono invece condannati per boicottaggio ai danni dell’azienda con pene dai 4 ai 6 mesi. Condanne che di certo non ci lasciano stupiti considerando che il SiCobas si muove in direzione ostinata e contraria alla strada della giustizia borghese, ma che rappresentano un attacco generale alla classe operaia in Italia su larga scala. Ancora una volta le procure attaccano il diritto di sciopero, e ancora una volta viene usata l’accusa di estorsione per definire le più banali prassi di trattativa e dialettica sindacale.

Le maglie della repressione si erano già allargate nel 2020 quando 8 tra i lavoratori, e 2 di questi ancora assunti nell’impianto, avevano ricevuto un divieto di dimora dal comune di Desenzano proprio per aver partecipato alla lotta che metteva in luce il sistema di iper-sfruttamento nei magazzini del supermercato.

Nel 2018 furono proclamati lo stato di agitazione e gli scioperi a seguito dei licenziamenti che investirono 11 operai su 20 assunti dalla “Servizi Associati soc. coop.”. La cooperativa da un giorno all’altro mise in piedi una condotta antisindacale licenziando in tronco gli iscritti al SiCobas, per un non meglio precisato calo della produttività prodotto dagli operai nel magazzino.

All’epoca dei fatti, senza ricevere alcuna comunicazione ufficiale né una lettera di contestazione o un richiamo, gli operai furono cacciati dal posto di lavoro direttamente dal guardiano dei cancelli, che consegnò loro la lettera di “estromissione dalla cooperativa” in qualità di soci-lavoratori impedendogli di svolgere il proprio turno.

Una condotta antisindacale che non ha fatto esitare il SiCobas a scioperare per ottenere il reintegro immediato di tutti i licenziati, a fronte di un procedimento aziendale che da un lato voleva eliminare gli elementi sindacalizzati nel magazzino e dall’altro assumere operai “vergini”, meglio se costretti subito a piegarsi ai tempi della produttività di Penny Market.

Ma ancora una volta i PM accusano il sindacato di “estorsione” e tentano di delegittimare il diritto di sciopero.

Ancora una volta si ripete la stessa scena di un copione che abbiamo già denunciato essere un teorema giudiziario infondato, e com’era stato per le vicende di Alcar Uno e Levoni, viene usato per ledere l’immagine del sindacato a colpi di accuse sensazionalistiche da prime pagine e di carattere intimidatorio verso i lavoratori che nonostante tutto continuano in massa ad unirsi alla nostra sigla e alla lotta operaia a distanza di anni.

L’estorsione stavolta verrebbe denunciata nel contesto di un paventato cambio appalto che, a detta dei PM, il SiCobas avrebbe favorito a tutti costi, usando la lotta sindacale per fare fuori la “Servizi Associati Coop.” in favore di un’altra azienda. Si nota come le accuse siano partite dai dirigenti aziendali, padroni evidentemente fin troppo infastiditi dalla determinazione con cui i lavoratori avevano ottenuto condizioni di lavoro dignitose, e preoccupati che il loro margine di mega-profitto dovesse giustamente entrare nelle buste paga a migliorare i salari.

Da ciò possiamo solo evidenziare (se ce ne fosse ancora il bisogno) come lo stato e i suoi apparati repressivi, traducano le leggi in una giustizia borghese scritta su misura dei padroni, e che nulla ha a che fare con i diritti sociali e con i diritti dei lavoratori. Di fatto tutte le comunicazioni riguardanti la vertenza in Penny Market avevano avuto come oggetto il reintegro degli iscritti al SiCobas.

Chi orchestra questi teoremi dovrebbe perlomeno ricostruire la vicenda e ricordarsi delle 11 famiglie prima lasciate per strada senza più un salario, poi caricate e sgomberate con la forza quando hanno chiesto a gran voce di riavere il proprio posto di lavoro. Le vicende che solo successivamente hanno interessato il cambio-appalto in Penny Market sono state un affare che non ha coinvolto il sindacato, ma che è stato usato dalla procura come motivo pretestuoso per accusarlo di qualcosa e attaccare ancora una volta il diritto di sciopero dentro e fuori dai luoghi di lavoro.

L’estorsione sembra ormai un articolo del codice penale utile a contrastare con un colpo di martello in tribunale le rivendicazioni sindacali, gli aumenti salariali, la sicurezza sul lavoro e il sacrosanto diritto di sciopero, quando la sola trattativa non serve a far rispettare i diritti sul lavoro. Non vengono mosse le stesse accuse contro le aziende e i dirigenti quando gli operai si infortunano sui luoghi di lavoro, quando perdono la vita e quando non riescono ad arrivare a fine mese per far fronte al caro vita e all’inflazione, e si vedono dimezzati il potere d’acquisto in favore degli affari del governo nel settore delle armi e dell’economia di guerra.

Tutto ciò, ad ogni modo, non arresterà mai la lotta operaia. Ogni colpo inflitto al SiCobas, dentro e fuori delle aule dei tribunali, lo spingerà a raccogliere nuove forze, a sprigionare nuove risorse e a mettere in piedi altre mobilitazioni. Nessuna condanna potrà fermare l’organizzazione dei lavoratori. Si preparano il grande sciopero nazionale del 30 aprile e la giornata di lotta in tutta Italia del 1° maggio.

Il sito del “Refrattario” si unisce alla solidarietà espressa alla compagna Laura, al compagno Alessandro e a tutti i lavoratori colpiti dalle condanne.

Se toccano uno toccano tutti

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