Archivi tag: Kagarlitsky

Russia, respinto l’appello di Kagarlitsky che resta in carcere

Comunicato stampa della Campagna di solidarietà internazionale per la sua liberazione

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Russia, Putin confonde il dissenso con il terrorismo

di Federico Fuentes, da Green Left

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Russia, Boris Kagarlitsky, solidarietà con i prigionieri politici di sinistra

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Boris Kagalitsky è in prigione

Firmiamo la petizione per la sua libertà

da freeboris.info

Noi sottoscritti siamo rimasti profondamente scioccati nell’apprendere che il 13 febbraio il dottor Boris Kagarlitsky (65 anni), intellettuale socialista russo di spicco e attivista contro la guerra, è stato condannato a cinque anni di carcere.

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Russia, sostegno ai prigionieri politici

Liberate Boris Kagarlitsky!

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Boris Kagarlitsky scrive dal carcere di Syktyvkar

Syktyvkar è il carcere dove dallo scorso 25 luglio è rinchiuso Boris Kagarlitsky


Premessa della direzione del carcere: Questo materiale è stato prodotto, distribuito e inviato dall’agente straniero Boris Yulyevich Kagarlitsky e riguarda le attività dall’agente straniero Boris Yulyevich Kagarlitsky 

di Boris Kagarlitsky, dal sito Rabkor

Leggendo le lettere che mi arrivano in carcere, mi rendo conto che il pubblico e i lettori di Rabkor si aspettano da me qualche grande lavoro teorico, qualche “trattato”.

Dovrei prendere esempio da altri intellettuali e rivoluzionari che hanno scritto libri eccezionali mentre erano in prigione. Mi ricordano Antonio Gramsci, mi hanno già regalato tre quaderni fitti. Gli esempi si moltiplicano: non solo Gramsci, ma anche Campanella, Morozov. E Chernyshevsky con il suo romanzo “Che fare?”.

Ma sono stati tutti dietro le sbarre per molto tempo. Io ho un altro tipo di tempo a disposizione. Se la storia si trascina, forse stimolerà la creatività. Ma finora sono giustificato dal fatto che non tutti i teorici famosi hanno composto le loro opere principali mentre erano in carcere. 

Sia Lenin che Lukács, sebbene imprigionati, hanno scritto i loro testi più importanti in libertà. Lenin, quando scrisse “Stato e rivoluzione”, era latitante, lavorava in una capanna, su dei ceppi, in un “ufficio verde”. 

Ma qui non ho né ceppi né verde.

Il lavoro mentale è a volte di osservazione, a volte di concentrazione. Qui c’è molto da osservare, ma è difficile concentrarsi. C’è tutto tranne la solitudine. L’isolamento è oggi considerato una forma di tortura e per molte persone lo sarebbe. Per un pensatore, invece, sarebbe un privilegio. Essere soli con sé stessi è un lusso.

Il posto più simile alla prigione nella “vita ordinaria” è un dormitorio o un appartamento comune. Non si tratta di rapporti con i vicini, ma del fatto che non ci si può allontanare da loro. “L’inferno sono gli altri”, scriveva J.-P. Sartre e ora mi rendo conto di quanto avesse ragione. 

Fuori dalla finestra la radio trasmette sempre. Quando improvvisamente tace, tutti iniziano a chiedersi: è successo qualcosa o la radio è sintonizzata? 

A volte, al posto della radio fuori dalla finestra risuonano le regole dell’ordine interno. Le impariamo a memoria.

E ci sono anche riparazioni nelle celle vicine. I lavori di ristrutturazione sono rumorosi e polverosi. La polvere non ci raggiunge, ma il rumore sì. Bussano, sbattono, trapanano, segano. Sembra che stiano finendo, però.

Serve anche un tavolo su cui lavorare. Ne abbiamo uno. Ma serve anche un tavolo per mangiare. Dobbiamo ammettere che il cibo è più necessario e importante. Tutti ne hanno bisogno e non occorre ispirazione. Occupa spazio e anche tempo. 

Scrivo in ginocchio, come lo scriba egiziano – la famosa statua (è al Louvre, credo). Ora capisco perché un tempo mi aveva colpito così tanto. Ho visto qualcosa di affine in questo scriba ma, a giudicare dai papiri sopravvissuti, gli scribi egiziani avevano una buona calligrafia. Io ho una calligrafia terribile, ne ho paura. I corrispondenti si chiedono se ho mai studiato medicina. Ma, onestamente, la calligrafia si può rovinare in altri modi.

Ho letto Mayakovsky. Lo invidio: trasformava in poesia qualsiasi sciocchezza quotidiana e fattuale. Io non posso farlo, se non altro perché non sono un poeta. Non ho mai scritto poesie, nemmeno in gioventù. Per la teoria servono altre fonti. E per il giornalismo servono impulsi esterni. Da dove li prendi? 

La televisione è piena di Skabeeva (Ol’ga Skabeeva, conduttrice televisiva, fanaticamente putiniana, ndt). Un laboratorio di pura volgarità. È noioso indignarsi e condannare. E banale.

Il principale tipo di creatività in queste condizioni sono le lettere e i saggi. Piccoli generi. Si può scrivere a intermittenza. Si può non scrivere affatto. Si può fare liberamente riferimento ad autorità e fonti senza verificare se stessi e giustificarsi con la soggettività: “Per quanto mi ricordo, Plekhanov ha detto…”.

E i corrispondenti sono piacevoli. Ricevo lettere di filosofia, storia, politica, attualità e poesia. Le lettere arrivano da tutta la Russia e dall’estero. Rispondere è quindi anche un compito creativo. E un compito letterario. Dopo tutto, bisogna scrivere non secondo un modello, cercando, se possibile, di non ripetersi, rispondendo a ciascuna di esse. A dire il vero, i modelli e i toni si sviluppano comunque. Qui non ho un editore o un critico. Ho solo un censore.

Non riesco a contare quante lettere ho scritto negli ultimi due mesi. E non è possibile salvare tutte le lettere degli altri, perché ho un intero archivio e nella mia cella le condizioni per smistare e conservare gli archivi non sono ottimali. 

Quindi, mi perdonino i corrispondenti le cui lettere non saranno salvate. Solo nell’archivio elettronico del Servizio Penitenziario Federale, lì sono in ordine, con date e numeri.

In generale, la corrispondenza è in aumento. E la cosa principale è che questo genere mi piace. È sottovalutato. Nell’edizione russa dei tre volumi delle “Opere scelte” di Gramsci, c’è un intero volume di lettere dal carcere. Sono un peccatore, mi è sempre sfuggito e ho iniziato subito a interessarmi del terzo volume, i “Quaderni dal carcere”. Quando uscirò, leggerò attentamente il secondo volume.

In generale, ho grandi progetti su ciò che farò dopo il mio ritorno. Ma non li scrivo, e non per superstizione. E’ solo che, a seconda del momento e delle circostanze del mio ritorno, i piani possono essere modificati. Ma in ogni caso, non intendo abbandonare la mia attività o i miei lettori. Potete starne certi, cari amici.

Giovedì 28 settembre alle 17:30 per la libertà di Boris Kagarlitsky

Com’è già noto alle lettrici e ai lettori di questo blog, il sociologo marxista russo, strenuo oppositore del regime di Putin e della sua politica antidemocratica e di guerra, Boris Kagarlitsky è stato arrestato dai servizi di sicurezza del Cremlino il 26 luglio scorso, con la fantasiosa accusa di “giustificare il terrorismo”.

Proprio qualche giorno fa il tribunale di Syktyvkar ne ha confermato la detenzione. 

E’ stato pubblicato un appello internazionale per la sua liberazione e per quella di tutte le altre migliaia di prigionieri politici detenuti nelle carceri russe. L’appello è stato sottoscritto da migliaia di personalità democratiche, tra le quali segnaliamo Jean-Luc Mélenchon, la storica svizzera Stefania Prezioso Batou, il filosofo sloveno Slavoj Žižek, Nadya Tolokonnikova, la componente del gruppo femminista punk russo Pussy Riot, il dirigente del partito laburista britannico Jeremy Corbyn, lo storico italo-francese Enzo Traverso, la docente di scienze politiche della Scuola normale di Firenze Donatella Della Porta, l’europarlamentare Miguel Urbán Crespo, la femminista indiana Kavita Krishnan, il filosofo francese Étienne Balibar, il politologo britannico Alex Callinicos, il regista britannico Ken Loach, il politologo anglo-pakistano Tariq Ali, l’attivista pakistano Farooq Tariq, l’attivista femminista e altermondialista Naomi Klein, l’accademico filippino Walden Bello, la studiosa indiana Jayati Ghosh, lo storico e critico d’arte russo Ilya Budraitskis

Per rivendicare la liberazione di Boris Kagarlitsky e di tutti gli altri prigionieri politici russi, è stato organizzato un presidio per giovedì 28 settembre, alle 17:30, a Roma, nei pressi dell’ambasciata russa (Metro Castro Pretorio) a cui hanno finora aderito La Comune, il Partito comunista dei lavoratori e Sinistra Anticapitalista.

Russia, intervista a Boris Kagarlickij

Questa intervista è stata realizzata a Mosca alla fine del mese di giugno, prima dell’arresto di Boris Kagarlickij 

Dal nostro corrispondente a Mosca

Boris Kagarlickij ha 65 anni e vive a Mosca. Già dissidente e imprigionato negli anni dell’Unione Sovietica, ha continuato ad essere attivo nella sinistra socialista e democratica russa. Oltre a scrivere moltissimi saggi, alcuni dei quali tradotti in Occidente, insegna alla Scuola di Scienze Sociali ed Economiche di Mosca e all’Istituto di Sociologia dell’Accademia delle Scienze russa.

Professor Kagarlickij, quanto è avvenuto lo scorso week-end in Russia era prevedibile?

Che la minaccia più terribile per l’attuale regime potesse essere una rivolta di “lealisti” io l’ho sostenuto, ma non solo io, già in primavera. Anche il tentativo di colpo di Stato contro Gorbaciov nell’agosto del 1991 non fu organizzato dagli oppositori del potere, ma dai suoi sostenitori, indignati dall’impotenza e dall’inefficienza della leadership dell’URSS. 

Non intendevano rovesciare Gorbaciov, ma far crollare il suo potere. 

Si tratta ormai di qualcosa che ciclicamente si ripete. Gli uomini di Prigozhin avrebbero potuto raggiungere Mosca e perfino occupare il Cremlino, ma non avevano nessuna seria prospettiva. 

Mussolini era già un politico influente (e soprattutto esperto) prima della marcia su Roma. Prigozhin è un signore della guerra con precedenti penali. I tecnocrati in politica e gli addetti alle pubbliche relazioni possono giocare con le parole quanto vogliono, ma qui non servono parole, bensì fatti, soluzioni pratiche. 

Cosa fare per il conflitto ucraino, per le sanzioni, per l’economia? Nessuno ne ha la minima idea. A differenza del Re d’Italia, che si ritirò, Putin, dopo qualche esitazione, si è opposto ai wagneriani, dichiarandoli traditori. 

L’insurrezione era quindi politicamente condannata, indipendentemente dall’evoluzione della situazione militare. Al di là dal destino di Prigozhin, stiamo assistendo al crollo del regime di Putin. 

Sarà sostituito da una versione russa di giunta militare, che tuttavia dovrà affrontare i problemi accumulati dal paese e iniziare a cambiare le cose. Ma purtroppo la questione della pace e della trasformazione sociale in Russia rimane oggettivamente in ritardo.

Ma non era veramente possibile un accordo tra Prigozhin e Putin?

L’accordo c’è stato alla fine. Dopotutto, non c’erano e non ci sono differenze politiche fondamentali tra i rivoltosi e le autorità, rappresentano due fazioni della stessa classe, di una semplice comunità che ha controllato il paese come se fosse cosa loro e lo ha portato allo stato attuale. 

È interessante notare che la base sociale di entrambe le parti in conflitto è estremamente limitata. Certo, c’è chi dice “Prigozhin verrà e metterà le cose a posto” e chi invita a stringersi attorno al presidente, ma la maggior parte della gente è profondamente indifferente a tutto questo.

La questione principale di cui tutti discutono ora è: di che cosa siamo stati testimoni in questi giorni? Com’è possibile che si verifichi una ribellione, che i suoi leader siano dichiarati criminali dal presidente e poi ci si disperda amichevolmente, come se nulla fosse accaduto?

Questo avviene normalmente tra i gruppi mafiosi quando si ridistribuiscono il mercato. Ecco la conclusione principale che si può trarre degli eventi degli ultimi giorni. Non esiste uno stato, ci sono fazioni che controllano il territorio, e che hanno sottomesso il resto delle istituzioni statali.

Prigozhin non poteva vincere, ma forse poteva negoziare qualcosa di più?

Rimane un mistero: cosa lo ha spinto a tornare indietro nel momento in cui si trovava letteralmente alle porte di Mosca e aveva percorso centinaia di chilometri senza incontrare alcuna resistenza? 

Anche dal punto di vista negoziale, stare alle mura del Cremlino sarebbe stato più vantaggioso. Invece il capo della Wagner ha sacrificato i suoi successi, l’appoggio dei suoi sostenitori e, tra l’altro, le sue strutture mediatiche, ormai completamente screditate, costrette al silenzio o a un brusco arretramento, senza nemmeno una spiegazione coerente dell’accaduto. 

Ovviamente, Prigozhin è stato semplicemente comprato. E data la portata degli eventi, non stiamo parlando di tanti soldi ma di somme astronomiche. Qualcosa che può avere a che vedere con gli interessi russi in Africa, qualcosa che Prigozhion conosce bene visto i suoi trascorsi in quel continente.

Cosa sta avvenendo quindi in profondità, nell’ élite russa?

Non solo i capi del potere russo sono completamente in confusione. Putin ha fatto il suo primo discorso e poi è scomparso, riapparendo solo dopo un paio di giorni, così come il ministro della difesa, Shoigu, e il capo di Stato Maggiore, Gerasimov. 

Dove erano finiti? In realtà nessuno ci sta raccontando quale è stata la vera storia di questi giorni. Quindi non siamo ancora alla fine di questa tragedia. Sta ancora succedendo qualcosa. E molti stanno zitti perché non sanno come finirà, chi vincerà e cosa succederà poi. 

Io penso che un ruolo importante lo stiano giocando ora i servizi segreti russi, il FSB. Stanno zitti anche loro, ovviamente, ma hanno iniziato ad agire. Sono loro che hanno stipulato l’accordo con Prigozhin, e non il presidente bielorusso Lukashenko, che è venuto poi. Tutti stanno zitti ma intanto l’Fsb sta manovrando.

Come ha percepito il popolo russo quanto è successo nell’ultimo week-end?

In linea di massima come uno spettacolo. A Rostov sul Don le lezioni di scuola sono state cancellate e le insegnanti si sono messe il vestito della festa per andare a fotografarsi accanto ai carri armati. 

I ragazzi si facevano i selfie con i mercenari di Prigozhin. Nessuno ha preso la cosa seriamente. Ancor più interessante è che nessuno è sceso in piazza per sostenere Putin. 

Dopo che ha parlato alla nazione e ha detto che era in corso un colpo di stato contro di lui, nessuno ha pensato di mobilitarsi. Di fronte a una minaccia contro lo stato nessuno e in nessuna città ha pensato di scendere in piazza. 

Nessuna manifestazione, nessun ha difeso lo stato! Lo ha sostenuto solo la burocrazia e neppure tutta la burocrazia. Ma nessuno al contempo ha sostenuto neppure Prigozhin e la Wagner. C’è stata solo una manifestazione in suo supporto a Rostov. 

Di 200 persone. Né Putin né Prigozhin sono stati sostenuti a livello popolare. Il popolo ha vissuto la cosa come qualcosa di estraneo, una lotta di potere sulla sua testa. La gente osservava e aspettava di vedere chi avrebbe vinto.

Recentemente è stato pubblicato l’ultimo saggio di Boris Kagarlickij “L’Impero della periferia”, una storia critica della Russia dagli esordi di Putin.

Russia, il processo a Boris Kagarlitsky fa parte di una nuova ondata repressiva

Boris Kagarlitsky nella “gabbia” del tribunale della città di Syktyvkar, il 26 luglio 2023Foto: IMAGO / ITAR-TASS


Le accuse inventate indicano un più forte giro di vite

di Lutz Brangschricercatore presso l’Istituto di analisi sociale critica della Fondazione Rosa Luxemburg, da rosalux.de

Il 25 luglio 2023 è stato aperto un procedimento contro l’intellettuale russo di sinistra Boris Kagarlitsky, noto a livello internazionale, per “giustificazione del terrorismo”

Il suo arresto ha scatenato una reazione inaspettatamente ampia in tutta la Russia. Rappresentanti di vari schieramenti politici, anche al di là della sinistra, hanno reagito al suo arresto e alla sua incriminazione. 

Tra questi, il Movimento socialista russo, i socialdemocratici della Russia, l’Unione degli autisti e dei corrieri, il portale mediatico Meduza, affiliato a Navalny, e il canale Telegram Nezygar, filo-Cremlino, e altri ancora. 

Né il Partito Comunista della Federazione Russa (CPRF) né i suoi alleati hanno rilasciato una dichiarazione.

L’indagine contro Kagarlitsky è stata avviata dai servizi segreti della Repubblica di Komi, nel nord-ovest della Russia, noti tra gli oppositori per il fatto che le loro azioni costituiscono spesso il punto di partenza per azioni simili in tutto il paese. 

Molti ora temono che una nuova e più intensa ondata di repressione possa essere in atto contro la sinistra in generale. Diversi altri attivisti di sinistra sono già stati interrogati in relazione all’indagine contro Kagarlitsky. Mikhail Lobanov e Yevgeny Stupin, altri due noti attivisti di sinistra, hanno già dovuto affrontare accuse altrettanto discutibili negli ultimi mesi. Ciò che unisce i tre è il desiderio di creare un ampio movimento di sinistra.

Come autore, studioso e attivista, Kagarlitsky si è confrontato per decenni con la natura del sistema politico russo e con le sfide che esso pone ai movimenti di sinistra del paese. È stato un dissidente di sinistra nell’Unione Sovietica, cosa che gli è valsa la condanna e il carcere. È stato politicamente attivo durante la perestrojka e nei primi anni ’90, lavorando per i sindacati e partecipando alla fondazione del Partito del Lavoro. 

In questo periodo è stato attivo anche nell’insegnamento e nella ricerca presso diverse istituzioni accademiche.

All’inizio degli anni 2000, ha svolto un ruolo di primo piano nella fondazione dell’Istituto per gli studi sulla globalizzazione e i movimenti sociali (IGSO) e della rivista Levaya Politika. In seguito, ha sviluppato un portale internet che comprende un sito web, YouTube e un canale Telegram chiamato Rabkor, dove si sovrappongono studi e attivismo politico. 

Il nome dice tutto: deriva dal nome delle persone che lavoravano come cosiddetti “corrispondenti dei lavoratori” nell’era sovietica, RABochy KORrespondenty. 

Era e rimane ben collegato a livello internazionale, come dimostrano le numerose reazioni al suo arresto da parte di vari movimenti di sinistra internazionali.

L’ampiezza dei suoi interessi e delle sue attività spiega certamente perché il suo arresto abbia attirato tanta attenzione. Anche per i gruppi che non condividono il suo approccio marxista, egli rappresenta un importante punto di riferimento per la sua opposizione analitica allo status quo in Russia. 

L’azione contro Boris Kagarlitsky può quindi essere vista come un altro colpo alle ultime possibilità di identificare e analizzare i problemi sociali del paese. L’azione ha messo in luce il livello di repressione quotidiana che gli oppositori alla guerra, le femministe, i sostenitori LGBT e gli attivisti dell’opposizione di varie convinzioni politiche devono affrontare oggi in Russia. 

La solidarietà con Kagarlitsky dovrebbe quindi includere anche i molti prigionieri politici e rifugiati in Russia e dalla Russia che non godono del privilegio di avere un nome famoso.

Russia, ancora sull'arresto di Boris Kagarlitsky

A colloquio con Ksenia, la figlia dell’oppositore russo di sinistra che rischia sette anni di carcere per aver “giustificato il terrorismo”

Il sito Meduza ha l’ha intervistata sulla vicenda

Boris Kagarlitsky con la figlia Ksenia 

La mattina del 25 luglio Boris Kagarlitsky, politologo, direttore della pubblicazione online Rabkor e uno dei più noti pensatori di sinistra in Russia, è stato arrestato con l’accusa di “giustificare il terrorismo”

Più tardi, quel giorno, la famiglia di Kagarlitsky ha scoperto che era stato trasferito a Syktyvkar, nella Repubblica di Komi (una repubblica della Federazione Russa, ndt). Lì, l’ufficio locale dell’FSB ha aperto un procedimento penale contro di lui, presumibilmente per un suo post del 2022 sull’esplosione del ponte di Crimea. 

Secondo quanto riferito, Kagarlitsky è stato inviato in un carcere di custodia cautelare per un periodo di due mesi. Se riconosciuto colpevole, rischia fino a sette anni di carcere. Meduza ha parlato con la figlia Ksenia Kagarlitsky per saperne di più sulle circostanze del suo arresto.

“Si può sempre trovare un crimine di cui accusare qualcuno”

“Noi [la famiglia di Boris Kagarlitsky] abbiamo capito che qualcosa non andava fin dal mattino”, spiega Ksenia, che ha raccontato che il padre non si è mai presentato all’aeroporto per prendere la madre. Ha anche smesso di rispondere alle telefonate. La famiglia temeva che potesse aver avuto un infarto o un ictus, ma anche che qualcuno [dei servizi di sicurezza] potesse averlo preso. “Abbiamo scoperto [del caso penale] dai notiziari”.

“Naturalmente siamo rimasti scioccati quando abbiamo saputo del caso penale”, dice Ksenia. “Boris è sempre stato attento a ciò che diceva e non ha mai detto nulla che potesse essere classificato come una giustificazione del terrorismo”.

Solo in serata hanno ricevuto notizie sulla sua posizione dal suo avvocato Sergey Yerokhov, che ha aiutato Kagarlitsky in precedenti occasioni. 

Secondo lui, Kagarlitsky era di buon umore. Ha anche detto che sono state prese alcune misure investigative, anche se non è ancora chiaro di cosa si tratti esattamente. Sul perché la Repubblica di Komi abbia deciso di aprire un caso penale, la famiglia non è sicura. Ksenia ha detto, scherzando, che forse qualcuno ai piani alti ha deciso che “i comunisti saranno perseguiti a Komi”.

Anche se è difficile spiegare la tempistica dell’arresto, Ksenia dice che potrebbe essere per bilanciare il recente arresto, il 21 luglio, dell’ex comandante dell’autoproclamata “Repubblica Popolare di Lugansk” Igor Strelkov, un noto ufficiale dell’esercito russo, di tendenze esplicitamente monarchiche, ritenuto responsabile dell’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines che nel 2014 provocò 298 vittime, che capeggiò i secessionisti del Donbass, ma che recentemente aveva aspramente criticato l’iniziativa bellica putiniana e che per questo è stato arrestato con l’accusa di “estremismo”. 

“Quando si arresta qualcuno di destra, poi si deve rinchiudere qualcuno di sinistra”. Aggiunge: “Ma questa è una teoria della cospirazione”. In generale, dice, chiunque abbia qualche risorsa mediatica e continui a vivere in Russia è a rischio. Mentre Kagarlitsky ha trascorso dieci giorni in prigione nel 2021, Ksenia dice di non aver sentito parlare di minacce nei suoi confronti da allora.

“Si può sempre trovare un crimine di cui accusare qualcuno. Possono incastrarti per qualsiasi cosa, trovare qualsiasi accusa e collegarla a qualsiasi incarico”, osserva Ksenia.

Per pagare il viaggio dell’avvocato di Kagarlitsky da Mosca alla Repubblica di Komi più volte al mese e i suoi servizi legali, la sua famiglia ha aperto un fondo di donazione. Stanno anche cercando un altro avvocato locale che li aiuti con il caso.

L’ultima volta che Ksenia ha parlato con suo padre è stato sabato, quando hanno discusso di un livestream con il politico Mikhail Pletnev che aveva ospitato quel giorno. Ksenia ha detto che era di buon umore, come sempre.

Per quanto riguarda il motivo per cui Kagarlitsky non ha mai lasciato la Russia nonostante le sue posizioni apertamente contrarie alla guerra e nonostante abbia trascorso più di un anno nella prigione di Lefortovo negli anni ’80, Ksenia dice che, dal suo punto di vista, la situazione è simile a quella di Navalny:

Navalny è tornato in Russia, dove era tutto molto triste e non c’era nulla di buono ad attenderlo, perché credeva che un politico russo dovesse stare in Russia. Forse non è il paragone giusto, ma credo che la situazione sia simile. Se sei coinvolto nella politica in Russia, […] anche solo come analista, dovresti essere nel paese per rimanere nel giro.

Quando gli è stato chiesto se Kagarlitsky avesse parlato dei suoi precedenti periodi di detenzione, Ksenia ha risposto che ha avuto problemi con tutte le amministrazioni russe. 

In epoca sovietica è stato imprigionato per “propaganda antisovietica” e sotto Eltsin è stato detenuto per essersi opposto al tentativo dell’allora presidente di sciogliere il Soviet Supremo. 

“Ogni volta, naturalmente, c’è stress, adrenalina, avventura. Credo che questa sia la vita dell’opposizione politica in Russia”.