Archivi tag: integralismo

Iran-Israele, attacco e contrattacco

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Turchia, la politica della sinistra

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Iran, il trattamento barbaro delle donne curde imprigionate

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Palestina, la solidarietà dei comunisti dell'Iran

 

 

Pubblichiamo, per l’importanza del luogo da cui proviene, la dichiarazione sulla Palestina del Partito Comunista Operaio dell’Iran – Hekmatist (la dichiarazione è del 10 ottobre e dunque le cifre non sono aggiornate ai dati odierni).

(Mansoor Hekmat, storico oppositore della monarchia Pahlavi e successivamente della Repubblica Islamica, è il fondatore del PCOI, ndt) 

 

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Quando Israele riteneva utile Hamas


 

Pubblichiamo, perché estremamente utile per capire il ruolo di Hamas nella Striscia di Gaza, l’articolo di Charles Enderlin, giornalista, autore di libri sul Medio Oriente, uscito su Le Monde il 3 febbraio 2006. Naturalmente le considerazioni di Enderlin vanno contestualizzate nella realtà di 17 anni fa, ma sono illuminanti per capire come l’oltranzismo israeliano e il fanatismo religioso di Hamas si siano nutriti a vicenda.

 

Solo alcune Cassandre isolate avevano avvertito che la politica israeliana stava contribuendo all’islamizzazione della società palestinese.


Già nel 1976, i leader israeliani non erano in grado di comprendere questa realtà. Shimon Peres era allora ministro della Difesa nel primo governo guidato da Yitzhak Rabin. Sperando in una vittoria dei candidati progiordani, permise lo svolgimento delle elezioni municipali in Cisgiordania il 12 aprile. Purtroppo per lui, il calcolo si rivelò sbagliato. L’elettorato votò massicciamente a favore dell’OLP e della sinistra laica palestinese.


Pochi giorni dopo, per favorire l’emergere di una nuova forza politica a Gaza, l’amministrazione militare israeliana approvò la creazione di una “Associazione islamica”, il cui scopo dichiarato era quello di diffondere la religione musulmana attraverso attività culturali e sportive. Il leader spirituale di questo movimento legato ai Fratelli Musulmani era uno sceicco quarantenne e infermo: Ahmed Yassin (nella foto in alto).


Era il preferito dei governatori militari, che venivano regolarmente a trovarlo. I generali gli spiegavano: “È meglio che i palestinesi preghino e non si occupino di politica!” L’arrivo al potere del partito Likud non cambierà l’atteggiamento benevolo di Israele nei confronti della Fratellanza musulmana.


Nel 1981, dopo l’assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat, le autorità egiziane espulsero decine di studenti palestinesi islamisti e Ariel Sharon, ministro della Difesa israeliano, permise loro di tornare e stabilirsi a Gaza. Questi studenti diventarono poi leader di Hamas e della Jihad islamica. 


L’anno successivo, Israele diede il via libera – e, secondo alcuni, un contributo materiale – alla costruzione dell’edificio dell’Associazione islamica, i cui membri saccheggiavano regolarmente gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese, gestita da Haïdar Abd Al-Shafi, vicino al Partito Comunista palestinese e all’OLP. La benevolenza israeliana si spinse fino a frenare l’opposizione agli islamisti. 


Gli studenti che osavano contraddirli nei dibattiti pubblici si ritrovavano dietro le sbarre. Questi studenti a Gaza erano guidati da Mohammed Dahlan, che successivamente diverrà il capo della sicurezza preventiva dell’Autorità autonoma. All’epoca era a capo del Chabiba, il movimento giovanile di Fatah a Gaza, e fu arrestato undici volte.


Il suo omologo in Cisgiordania è Marouan Barghouti, studente dell’Università di Bir Zeit. Anche lui trascorre regolarmente del tempo nelle carceri israeliane.


Nel 1984, i servizi di sicurezza israeliani ebbero una brutta sorpresa. Gli islamisti non erano religiosi innocenti. Durante una perquisizione nella casa di Ahmed Yassin, scoprirono decine di fucili d’assalto. Lo sceicco era passato alla fase successiva del suo progetto segreto: la formazione di cellule militari. Condannato a tredici anni di carcere, fu rilasciato nel maggio 1985 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Israele e l’organizzazione palestinese di Ahmed Jibril. L’accordo era stato negoziato da Yitzhak Rabin, allora ministro della Difesa…


Nel dicembre 1987 scoppiò la prima Intifada. I leader israeliani ritenevano che l’OLP potesse trarre vantaggi politici dalla rivolta e la priorità della repressione era quella di smantellare i comitati popolari di Fatah. Barghouti e Dahlan, considerati pericolosi agitatori, furono espulsi in Giordania. A Gaza, lo sceicco Yassin fondò Hamas, inizialmente ignorato dall’esercito israeliano. Fu arrestato solo l’anno successivo, dopo l’uccisione di un soldato rapito da parte del commando Ezzedine Al-Qassam, il braccio armato di Hamas, che all’epoca contava solo poche decine di combattenti.


Solo nel 1993 Israele cambiò politica e diede la preferenza a Fatah firmando gli accordi di Oslo. L’organizzazione di Yasser Arafat assunse il controllo, a tutti i livelli, dell’amministrazione autonoma in Cisgiordania e a Gaza. Funzionari dell’OLP fino ad allora esuli a Tunisi occuparono posizioni chiave, distribuendo funzioni e aziende produttive a persone a loro vicine. Hamas, che si opponeva a qualsiasi negoziato con Israele, decise di silurare il processo di pace con attacchi suicidi anti-israeliani particolarmente letali nel 1995 e nel 1996. 


Questi attacchi ebbero due conseguenze. L’opinione pubblica israeliana si spostò ed elesse Benyamin Netanyahu, candidato del Likud e principale oppositore degli accordi di Oslo, mentre l’esercito israeliano rafforzò la chiusura della Cisgiordania e di Gaza.


Per il palestinese medio, l’arrivo di Fatah al potere significava lunghe code ai posti di blocco, mentre i notabili locali distribuivano i benefici di una gestione opaca e gli israeliani intensificavano la loro colonizzazione. 


La popolarità di Hamas è aumentata ancor più rapidamente quando, nel 1997, dopo un monumentale errore del Mossad in Giordania, Benyamin Netanyahu liberò lo sceicco Yassin.


La svolta decisiva è avvenuta alla fine del 2000 con il fallimento del processo di Oslo e la seconda Intifada. Di fronte alla rivolta palestinese, l’esercito israeliano ha applicato nuove tattiche volte a “incidere nella coscienza” dei palestinesi che non avrebbero ottenuto “nulla con la violenza”


Le città furono chiuse ermeticamente, venne imposto il coprifuoco e il divieto di viaggiare. Allo stesso tempo, Tsahal, l’esercito israeliano, imponeva una continua pressione militare sull’Autorità Autonoma Palestinese e sui militanti di Fatah, con l’obiettivo di farli smettere di compiere attacchi.


Risultati: la popolazione della Cisgiordania e di Gaza dovette affrontare una crisi economica e sociale che non si vedeva dagli anni Cinquanta. Allo stesso tempo, Israele smantellò sistematicamente le istituzioni dell’Autorità palestinese senza aprire alcuna prospettiva politica. Lo stato ebraico e la comunità internazionale indebolirono notevolmente i servizi di sicurezza palestinesi, che avrebbero potuto ripristinare la calma se avessero avuto i mezzi per farlo.


A Gaza, secondo i servizi israeliani, Hamas è ora militarmente più potente della polizia di Mahmoud Abbas. Alcuni analisti dello Shin Beth e dell’intelligence militare avevano messo in guardia da tali conseguenze. Non sono stati ascoltati.


Nel febbraio 2006, di fronte a un Fatah logorato dal potere e dalla corruzione, gli argomenti di Hamas potevano solo convincere una popolazione dissanguata. Il processo iniziato nel 1976 è giunto al termine. Le politiche di tutti i governi israeliani e gli errori dell’OLP e di Fatah hanno dato il potere ai Fratelli Musulmani.