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Gaza, l’Ucraina e la sinistra internazionale traballante

di Yorgos Mitralias

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Grecia, dove vanno SYRIZA e il suo nuovo leader

di Antonis Ntavanellos, della direzione di DEA (Διεθνιστική Εργατική Αριστερά – Sinistra operaia internazionalista) e redattore della pubblicazione Ergatiki Aristera, da alencontre.org


Alle elezioni per la successione di Alexis Tsipras alla guida di SYRIZA, Stefanos Kasselakis (nella foto qui sopra) ha vinto con il 56% dei voti. Si tratta di una nuova “star” che non era membro del partito fino a poco tempo fa e non rivendica alcun legame con la sinistra politica organizzata, né con la sua storia né con i suoi obiettivi.


La sua rivale sconfitta, con il 44%, è Effie Achtsióglou. Ha guidato una coalizione di membri storici di SYRIZA, che provenivano principalmente dalla tradizione eurocomunista e che hanno scelto – dopo la capitolazione del 2015 – di rimanere in SYRIZA e di ricoprire il ruolo di ministri senior nel governo di Alexis Tsipras tra il 2015 e il 2019. Effie Achtsióglou è stata ministro del Lavoro ed Euclid Tsakalotos [che ha ottenuto l’8,78% dei voti al primo turno delle elezioni interne] è stato ministro dell’Economia nel governo che ha imposto e attuato il terzo memorandum di austerità.


Stefanos Kasselakis proviene da una prospera famiglia di imprenditori ed è cresciuto negli Stati Uniti, dove è stato coinvolto in attività commerciali (lavorando per Goldman Sachs o muovendosi negli ambienti di famosi armatori greci). Durante la sua permanenza negli Stati Uniti, sostiene di aver contribuito al CSIS (Center for Strategic and International Studies) e di essere stato attivo anche ai margini del Partito Democratico, facendo volontariato per conto di Joe Biden, allora membro del Congresso.


Poco prima delle cruciali elezioni del 2023, in cui SYRIZA ha conquistato 71 seggi a maggio e 47 a giugno, nell’ambito del piano di SYRIZA di espandersi verso il centro politico e di fornire un po’ di glamour nelle schede elettorali del partito, Alexis Tsipras ha chiesto a questo giovane promettente di occupare un posto onorifico ma ineleggibile nella lista della “circoscrizione nazionale”.


Kasselakis accettò l’invito e tornò in Grecia. All’epoca, nulla lasciava presagire gli eventi successivi, con la possibile eccezione degli stretti legami politici che Kasselakis ha rapidamente sviluppato con la cerchia di Alexis Tsipras.

Gli “assi vincenti” del nuovo leader…

Dopo la cocente sconfitta di SYRIZA nelle doppie elezioni del maggio-giugno 2023 (con un punteggio inferiore del 20% rispetto a quello di Nuova Democrazia e una chiara perdita di consensi all’interno della classe operaia), Alexis Tsipras è stato costretto per necessità a dimettersi [formalmente il 29 giugno], nonostante il suo iniziale tentativo di evitarlo.


Nelle elezioni interne al partito per la successione di Tsipras, Stefanos Kasselakis si è presentato come candidato, con l’arroganza di affermare di essere l’unico in grado di battere elettoralmente Kyriákos Mitsotákis. Perché questa affermazione? La risposta, nelle parole di Kasselakis, è sorprendente. Egli cita i seguenti fatti: “parlo l’inglese meglio di Mitsotakis, in matematica sono più bravo di Mitsotakis e ho più esperienza imprenditoriale di Mitsotakis”


La domanda che sorge spontanea è come un personaggio del genere abbia potuto imporre la sua leadership a un partito che si definiva ancora parte della “sinistra radicale”.


La stampa greca è piena di articoli che analizzano il “trionfo della post-politica”, dove una personalità “glamour” e abili tecniche di comunicazione possono eclissare i contenuti politici. Queste analisi rischiano di portare a conclusioni che si collocano nel regno del meraviglioso.


A mio avviso, esistono spiegazioni più semplici e concrete. Durante la campagna di Kasselakis è stato subito evidente che erano in gioco soldi, molti soldi. La campagna di Kasselakis è stata promossa da gran parte dei media greci. Per diverse settimane si sono coordinati per fare di ogni parola o gesto del giovane leader una notizia importante, annunciando in genere la sua vittoria. 


Ma questi elementi da soli non sarebbero stati sufficienti. La vittoria di Kasselakis è stata organizzata da una forza interna a SYRIZA: la cerchia dei collaboratori più stretti e fidati di Alexis Tsipras, alleati con gran parte dei politici socialdemocratici che hanno gradualmente aderito a SYRIZA dopo il 2015. 


Nikos Pappas (ex braccio destro di Tsipras), Giorgos Tsipras (cugino dell’ex primo ministro), Pavlos Polakis (cane da guardia ideologico-politico di Tsipras), l’ammiraglio Evangelos Apostolakis (ex consigliere di Tsipras incaricato dei suoi rapporti con le forze armate) e il socialdemocratico (più discreto) Christos Spirtzis compongono la cerchia di dirigenti che fino a ieri fungevano da guardia pretoriana di Tsipras e che ora sono i pilastri centrali del sostegno alla vittoria di Kasselakis.


Alexis Tsipras non è noto per la sua generosità, e nemmeno per il trattamento equo di coloro che lo hanno assistito. Il motivo per cui ha donato il suo partito a un uomo che pochi mesi fa era apparso come una cometa all’interno di SYRIZA rimane una domanda importante.


Un altro candidato alla leadership di SYRIZA, il socialdemocratico di vecchio stampo Stefanos Tzoumakas, che ha ottenuto solo il 2% circa dei voti, agendo come “elettrone libero”, ha fornito la risposta. Ha detto che Kasselakis è e sarà un “presidente di transizione”, suggerendo che la strada rimane aperta per il ritorno di Tsipras alla guida del partito. Questa risposta è in effetti fondata. Ma non è completa. 


La verità è che SYRIZA nel suo complesso è ora un “partito di transizione”. Alexis Tsipras ha chiaramente dichiarato il suo impegno nel progetto strategico di una ricomposizione che includa sia SYRIZA che il PASOK [dal maggio 2022, questo acronimo si riferisce al Movimento per il Cambiamento emerso dalla coalizione di quattro formazioni tra il 2017 e il 2018, tra cui lo storico PASOK], verso la fondazione di un ampio “campo” progressista che non includerà più alcun riferimento, simbolo o caratteristica (tantomeno la parola “sinistra”) che ricordi i grandi scontri politici del passato.

La lunga marcia di SIRIZA

È vero che SYRIZA ha già fatto grandi passi avanti in questa direzione. La sua politica di opposizione a Mitsotakis (2019-2023) ha reciso i legami tra la rivendicazione del potere governativo e la formulazione di una “narrazione” o di un seppur generico impegno a cambiare il mondo a vantaggio della maggioranza dei lavoratori.


Questa politica, promossa con il pretesto di rafforzare le prospettive elettorali di SYRIZA, si è rivelata disastrosa anche in termini elettorali. Ma la lezione tratta da questi apprendisti stregoni è che le ragioni della sconfitta sono da ricercare nei “fardelli” del passato, che hanno impedito a Tsipras di completare la svolta a destra verso il “campo democratico” in modo rapido e coerente.


In questo processo di cambiamento conservatore, i cambiamenti nelle abitudini e nelle pratiche organizzative non sono stati secondari. Quando Tsipras ha rivendicato per sé il privilegio di essere eletto direttamente dai membri e dai sostenitori del partito, ha compiuto un passo importante contro la tradizione di un partito strutturato che è una caratteristica della sinistra.


Oggi, 120.000-130.000 persone hanno partecipato al processo di elezione del presidente. L’unica condizione per partecipare era pagare 2 euro. Di questi, la maggioranza del 56% ha scelto come presidente del partito una persona le cui opinioni politiche rimangono del tutto ignote, anche se la sua biografia avverte che, se queste opinioni esistono, sono ostili a qualsiasi variante politica di sinistra.


Ma è anche vero che la trasformazione di SYRIZA non è completa. All’interno del partito, ci sono ancora membri la cui vita politica è legata alle tradizioni della sinistra, al movimento operaio e a una prospettiva socialista (almeno attraverso una strategia riformista, come obiettivo finale dopo molte “tappe” successive o un accumulo di riforme, ecc.).


La principale debolezza di queste correnti è la posizione assunta durante il periodo cruciale del 2015 e la loro tardiva, riluttante e timida differenziazione da Tsipras dopo il 2019. Ma hanno chiarito che non hanno intenzione di seguire un percorso che porterebbe a un Partito Democratico di stampo statunitense.


Il vero contenuto dell'”era Kasselakis” è la pulizia di SYRIZA da queste voci di opposizione. E questa pulizia non sarà limitata a singoli individui o a gruppi di membri. Comprenderà anche un inserimento ancora maggiore di parti dell’ideologia e della politica borghese nel DNA del partito. Il risultato sarà una trasformazione ancora più rapida dei legami di SYRIZA con la società, in direzione conservatrice, con i prevedibili effetti cumulativi. E ciò che emergerà all’orizzonte sarà un nuovo partito che dovrà semplicemente cambiare nome.


Tsipras ha scelto di tentare questa strada per procura, perché comporta conflitti e pratiche impopolari. Oggi non conosciamo ancora il calendario di questa “transizione”, non sappiamo nemmeno se il congresso di SYRIZA, previsto per novembre, avrà finalmente luogo. Ovviamente non sappiamo se, al termine della “transizione”, Kasselakis cederà la leadership o se si dimostrerà più resistente e minaccioso nei confronti del suo attuale mentore (Tsipras).


La mia opinione è che lo scenario più probabile sia un’accelerazione del declino di SYRIZA e la sua degenerazione in un insieme di politici centristi “democratici” di secondaria importanza politica.


Un terzo incomodo: il movimento sociale


Una cosa è certa: questo sviluppo non sarà definito solo dalla situazione all’interno del partito SYRIZA. Sarà influenzato, forse in modo decisivo, dalla possibilità di un ampio confronto tra il movimento sociale e il governo selvaggiamente aggressivo di Mitsotakis.


In Grecia, il ritorno alla normalità è tutt’altro che scontato. Come ogni anno, alla Fiera internazionale di Salonicco (9-17 settembre), Mitsotakis ha dovuto presentare le sue politiche economiche e sociali.


Tuttavia, il contesto era piuttosto difficile. Gli incendi e le alluvioni di quest’estate hanno distrutto più di 200.000 ettari di terreno [2.000 chilometri quadrati]. Gli ipocriti riferimenti di Mitsotakis al cambiamento climatico non sono stati sufficienti a rispondere alla rabbia suscitata dal collasso dei più elementari meccanismi di protezione civile, dopo molti anni di tagli ai finanziamenti pubblici e di limitazione dell’assunzione di nuovo personale.


Mitsotakis, memore del ritorno alla disciplina di bilancio a partire dal gennaio 2024, ha dichiarato che la politica del suo nuovo governo consisterà in “meno benefici” (sic!) rispetto al 2019-23 ma in “più riforme” (sic!).


Questi due aspetti rappresentano una sfida. I prezzi dei prodotti alimentari stanno battendo un record dopo l’altro. Le statistiche ufficiali sull’aumento dei prezzi si aggirano intorno al 12% su base annua e un recente studio pubblicato dall’Associazione greca dei consumatori afferma che una famiglia su due ha ridotto la spesa alimentare per poter pagare le bollette di elettricità e riscaldamento, che il 75% delle famiglie ha ridotto l’uso del riscaldamento e il 50% quello dell’acqua calda, che un terzo delle famiglie segnala problemi di salute legati alle condizioni abitative. Il salario orario minimo in Grecia è di 5,46 euro e il salario mensile minimo è di 778 euro. 


In questo contesto di estrema austerità, il governo sta mettendo un freno ai “benefici”, come gli aiuti limitati ai più poveri tra i poveri che consentivano un consumo minimo. Ancora più allarmante è la minaccia delle “riforme”: in un paese in cui la settimana lavorativa media è la più lunga d’Europa (41 ore), il ministro del Lavoro di estrema destra, Adonis Georgiadis, ha introdotto una legge che consente un aumento spettacolare delle ore lavorative: legalizza il lavoro 7 giorni su 7 e apre la strada a un orario giornaliero fino a 13 ore.


Il governo vuole introdurre un contratto a “zero ore”: il lavoratore assunto dovrà attendere la chiamata del capo quando lo riterrà opportuno, al massimo 24 ore prima di iniziare a lavorare, e sarà pagato solo il tempo effettivamente lavorato. Si parla anche di “lavoratori in prova”, assunti in “apprendistato” e licenziati dopo sei mesi senza indennizzo. 


Il tragico indicatore degli “incidenti” mortali sul lavoro testimonia l’esaurimento fisico e psicologico delle classi lavoratrici greche: il 2022 è stato un anno record con 122 morti sul lavoro. Nei primi 9 mesi del 2023, i decessi sono stati 135, il che fa pensare a una triste tendenza all’aumento…


È di fronte a questo tipo di “sfida” della “riforma” antioperaia dell’orario di lavoro che si è svolto il primo sciopero generale, giovedì 21 settembre, sotto il nuovo mandato di Mitsotakis iniziato il 26 giugno. Nonostante l’inerzia della burocrazia della Confederazione Generale del Settore Privato, lo sciopero ha avuto un notevole successo e, essendo stato organizzato poche settimane dopo la vittoria elettorale di Mitsotakis, potrebbe essere un avvertimento: questa volta non ci sarà un periodo di luna di miele.


Ai tempi del sistema politico bipartitico molto forte, quando Nuova Democrazia e PASOK avevano entrambi un grande potere politico, parlamentari esperti erano soliti dire che non era sufficiente che uno dei due fosse forte. Secondo loro, una condizione di stabilità del sistema era che il voto combinato dei due partiti principali si aggirasse intorno al 70-80% dell’elettorato, per garantire il ruolo sia del governo che dell’opposizione istituzionale.


Nel campo di Mitsotakis c’è attualmente una sensazione di invincibile supremazia, dovuta alla crisi dell’opposizione e di SYRIZA in particolare. Si tratta di un atteggiamento miope e arrogante. In realtà, la crisi dell’opposizione è un fattore di instabilità per il sistema. I lavoratori sono costretti a rendersi conto che le loro mobilitazioni sono l’unica forza di opposizione. In Grecia, questo fattore ha dimostrato in diverse occasioni di poter costringere Mitsotakis e Tsipras a cambiare, anche radicalmente, i loro calcoli politici.

Grecia, la destra, la sinistra e la catastrofe climatica

Tra il 4 e il 7 settembre la regione greca della Tessaglia è stata colpita da una spaventosa inondazione (quasi 1000 millimetri di acqua in tre giorni), causando una terribile devastazione e numerose vittime. L’inondazione della Tessaglia era legata al passaggio dell’uragano Daniel, lo stesso che con conseguenze ancor più devastanti e tragiche ha colpito la costa libica giorni fa. Pubblichiamo qui sotto l’intervento del nostro amico e compagno greco Yorgos Mitralias che denuncia tutta l’inadeguatezza della sinistra “radicale” greca di fronte a questa emergenza.

di Yorgos Mitralias

Il primo ministro greco Mitsotakis invoca – per l’ennesima volta – la crisi climatica come alibi per nascondere la sua responsabilità per le successive catastrofi naturali che hanno colpito la Grecia, e la sinistra greca, con alla testa la sinistra “radicale”, denuncia – anch’essa per l’ennesima volta – questo gioco di prestigio: il panorama politico che emergerà dalle rovine del prossimo “fenomeno meteorologico estremo” lo conosciamo già. 

Mitsotakis invocherà (di nuovo) il cambiamento climatico e ancora una volta ne uscirà indenne, poiché nella sua bocca, come in quella dei suoi avversari, questo “cambiamento climatico” è qualcosa di simile a un… fenomeno naturale, totalmente al di fuori del controllo degli esseri umani, che non possono farci nulla. 

Con l’inevitabile conseguenza che a loro non resta che subire fatalisticamente questo cambiamento climatico, limitando lo scambio di argomenti e accuse ai soliti… scarichi fluviali che non vengono ripuliti, alle infrastrutture che non vengono mantenute e all’insensibilità di chi è al potere, che se ne frega sistematicamente dei poveri martiri.

Naturalmente, tutto sarebbe completamente diverso e Mitsotakis non uscirebbe quasi indenne da questa nuova catastrofe naturale se la sinistra proponesse il seguente argomento: il cambiamento climatico che Mitsotakis invoca non solo non lo aiuta a sfuggire alle sue responsabilità, ma le aggrava terribilmente. Perché tutte le azioni di cui è già stato giustamente accusato sono semplici misfatti, rispetto al vero crimine che sta commettendo quando non solo non fa nulla per la crisi climatica, ma la aggrava costantemente con le sue politiche. 

E tutto questo di concerto e in piena collaborazione con i suoi amici capitalisti di tutto il mondo. I quali, con il loro sistema capitalistico, hanno creato e continuano ad aggravare la crisi climatica, al punto da renderla la più grande minaccia che la razza umana abbia mai affrontato nella sua storia.

Ma anche dicendo tutto ciò, un’organizzazione, un movimento o un partito non sarebbe di sinistra – e ancor meno radicale – se non sostenesse le sue parole con i fatti, le sue proposte con le sue critiche, per dimostrare in modo tangibile che la sua opposizione alla catastrofe climatica non è una parola vuota senza significato pratico. 

Ad esempio – e questo è solo uno dei tanti doveri fondamentali – chiedendo apertamente l’immediato abbandono e il divieto di tutte le esplorazioni e le ricerche di idrocarburi nel paese. E lottando per questo, mobilitando i cittadini, creando movimenti contro i combustibili fossili o partecipando attivamente a quelli già esistenti in Grecia e nel mondo.

Tuttavia, la cosa più importante – e così cruciale per il nostro futuro – che un collettivo di sinistra dovrebbe fare oggi è di natura diversa, qualitativamente diversa: convincere almeno gran parte della popolazione, e in particolare i salariati e gli oppressi, che al punto in cui siamo arrivati – non più con la catastrofe climatica galoppante, ma con la catastrofe climatica ormai scatenata – anche le misure più corrette e radicali proposte nel 1990, nel 2010 o addirittura… l’anno scorso, sono del tutto inadeguate, superate. 

D’ora in poi, l’unica risposta realistica ed efficace alla crisi climatica “dev’essere radicale – e cioè deve occuparsi delle radici del problema: il sistema capitalista, la sua dinamica di sfruttamento ed estrattivismo, il suo perseguire ciecamente ed ossessivamente la crescita”, il che implica che è impossibile affrontare la catastrofe climatica senza cambiare radicalmente sia il modo in cui produciamo che quello in cui consumiamo. 

In altre parole, non ci sarà salvezza se non cambieremo radicalmente il modo in cui la vita umana è organizzata e vissuta come l’abbiamo conosciuta finora. Questo sta accadendo in tutto il mondo, ma ciò non significa che non si debba cominciare per esempio dalla Grecia.

Se non facciamo tutto questo, cioè se continuiamo a ignorare le conclusioni e gli avvertimenti sul clima dell’IPCC e, soprattutto, quelli del movimento ecologista radicale internazionale, ma anche la realtà sempre più da incubo, allora le conseguenze saranno disastrose per la sinistra stessa e per quel poco di credibilità che le è rimasta. 

Primo esempio (tra i tanti): su quale base si dovrebbero pianificare le grandi opere di prevenzione e protezione dalle alluvioni difese da tutta la sinistra, se non si tiene conto della crisi climatica e dei relativi studi scientifici (ad esempio quelli dell’IPCC) sulla sua futura evoluzione e intensità? Se la crisi climatica non è altro che l'”alibi” di Mitsotakis, la conclusione logica dovrebbe essere che la progettazione di queste misure deve basarsi sui dati e sui modelli esistenti – che sono completamente obsoleti e quindi del tutto inutili – come, ad esempio, il Partito Comunista Greco (KKE) ha costantemente proposto.

Secondo esempio: sulla base di quali previsioni, se non quelle derivanti dallo studio scientifico della crisi climatica, il movimento antirazzista – e di fatto tutta la sinistra – dovrebbe organizzarsi per prepararsi ad affrontare la spinosissima questione dei milioni di “rifugiati climatici” nordafricani che presto attraverseranno il Mediterraneo, provocando inevitabilmente enormi sconvolgimenti nell’attuale equilibrio politico e sociale? 

Secondo le Nazioni Unite, sono già 884.000 i sopravvissuti alla mostruosa catastrofe causata dall’uragano mediterraneo Daniel in Libia, molti dei quali cercheranno naturalmente rifugio sulle sponde europee del Mediterraneo. In altre parole, innanzitutto in Grecia e in Italia, che, per chi non l’avesse ancora capito, si trovano proprio di fronte alla Libia. 

Ed è chiaro che presto ci saranno altrettanti, se non di più, “rifugiati climatici”, compresi i cittadini greci della Tessaglia, colpiti duramente da questo stesso uragano Daniel (oltre 830 mm di pioggia in 46 ore e oltre 1085 mm in tre giorni), perché ormai sappiamo che non solo la frequenza, ma anche l’intensità di quelli che chiamiamo “eventi meteorologici estremi” è in forte aumento. E questo senza considerare gli effetti distruttivi a lungo termine della crisi climatica, come la desertificazione, che sta già avanzando in Grecia, in particolare nella parte orientale di Creta e nel Peloponneso orientale…

Senza dimenticare le conseguenze immediate – e forse più prosaiche e comprensibili – della situazione attuale, dobbiamo notare che i grandi vincitori di questa storia che si ripete continuamente sono Mitsotakis e i suoi simili. E perché? Perché continueranno a non pagare il prezzo delle loro (enormi) colpe, sia alle urne che nella reputazione delle masse. E soprattutto, perché continueranno a non fare nulla per la galoppante crisi climatica che ci promette nuovi disastri di ogni tipo, ancora più grandi e frequenti. 

O peggio ancora, perché continueranno a fare di tutto per peggiorarla. E senza essere seriamente perseguitati da quasi nessuno, perché quasi tutti in Grecia, compresa la maggior parte delle organizzazioni e dei partiti di sinistra, o si dichiarano ardenti difensori dei combustibili fossili, o rimangono vistosamente in silenzio, evitando opportunamente di prendere posizioni che potrebbero rappresentare un problema per loro, oppure riconoscono l’esistenza della crisi climatica ma si astengono dal partecipare ai movimenti globali che la combattono, e difendono con le unghie e con i denti i “nostri” giacimenti di petrolio, che ancora non si trovano da nessuna parte, o, infine, arrivano a denunciare la crisi climatica come… “la più grande frode dell’imperialismo” (Sia detto tra parentesi, anche nella “sinistra” italiana ci sono espliciti negazionisti, ndt).

Se c’è un problema, non dovremmo cercarlo nella parte di Mitsotakis e dei suoi amici, che stanno solo facendo il loro lavoro di capitalisti in modo coerente, ma piuttosto nella parte della sinistra greca, che non sta facendo il proprio lavoro. Una sinistra greca che non prende a modello i movimenti ecologici radicali del “Nord ricco” (che detesta), ma anche quelli dei “los pobres de la tierra”, come la maggior parte dei milioni di membri del movimento contadino internazionale Via Campesina

Una sinistra greca che tace, finge di non capire, trascura la lotta contro la catastrofe climatica o addirittura arriva a dire – almeno alcuni dei suoi componenti – esattamente le stesse cose della reazione capitalista più estrema, delle multinazionali dei combustibili fossili e dei loro vari rappresentanti politici di estrema destra. 

In breve, sta disertando la lotta contro il problema esistenziale più grande, più urgente e più immediato che si trovano ad affrontare in particolare i lavoratori, i poveri e i popoli oppressi di tutto il mondo, cioè l’umanità stessa!

Con il tempo che scorre e il tempo perso che si misura ormai in decenni, la sinistra greca deve rendersi conto che è praticamente impossibile credere di poter sopravvivere senza offrire una risposta completa, chiara, credibile e tangibile allo tsunami della catastrofe climatica che sta ormai interessando ogni “dettaglio” della vita quotidiana delle persone. 

In altre parole, senza offrire un programma e, allo stesso tempo, una visione dell’organizzazione e degli obiettivi delle nostre società che siano alternativi all’attuale modello capitalistico, quello stesso modello che ha portato l’umanità sull’orlo della catastrofe.

Quindi, volente o nolente, la sinistra greca sarà molto presto costretta dagli eventi a partecipare al dibattito internazionale sui contenuti di questo “programma e visione alternativi”. E, naturalmente, a posizionarsi rispetto alla proposta alternativa di portata storica contenuta nel testo-manifesto “Per una decrescita ecosocialista” di Michael Lowy, Giorgos Kallis, Bengi Akbulut e Sabrina Fernandes, da cui il seguente estratto che chiude questo testo:

“La decrescita ecosocialista è una tale alternativa, direttamente opposta a capitalismo e crescita. La decrescita ecosocialista richiede l’appropriazione sociale dei principali mezzi di (ri)produzione e una pianificazione [economica] democratica, partecipativa ed ecologica. Le principali decisioni sulle priorità della produzione e dei consumi vanno prese dalle stesse persone, per soddisfare i veri bisogni sociali nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta. Questo significa che le persone, alle varie scale, esercitano direttamente il potere, determinando democraticamente che cosa bisogna produrre, come, e in che quantità. Decidendo inoltre come remunerare diversi tipi di attività produttive e riproduttive che sostengono noi ed il pianeta. Garantire un benessere equo per tutte non richiede crescita economica ma piuttosto di cambiare radicalmente come organizziamo l’economia e distribuiamo le “risorse”.

 

Ucraina-Russia, i tifosi di Putin in Grecia come da noi, contro gli ucraini e gli oppositori russi


Abbiamo in più occasioni denunciato l’atteggiamento di chiusura (che rasenta il razzismo) della sinistra italiana nei confronti degli ucraini (compreso nei confronti dei militanti della sinistra ucraina) e degli attivisti russi anti-Putin.

Oggi vogliamo dare notizia della denuncia fatta dall’attivista russo Artem Temirov attraverso il sito anarchico, cooperativo, indipendente e radicale Freedom (che gestisce la più antica pubblicazione anarchica della Gran Bretagna e la sua più grande libreria.

Artem Temirov racconta come lui e la sua compagna Yuliia Leites, attivista femminista ucraina, siano stati brutalmente messi a tacere durante un evento del partito greco MeRA 25 (per intenderci il partito fondato nel 2018 e diretto dall’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakīs).

Artem racconta “l’anno scorso io e mia moglie siamo arrivati in Grecia. Mentre io sono cittadino russo, mia moglie è cittadina ucraina. Lei ha lasciato Kiev una settimana dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia e io ho lasciato la Russia pochi giorni dopo perché era diventato pericoloso rimanere lì con una posizione contraria alla guerra, avendo entrambi sempre avuto posizioni di sinistra e antifasciste”. Oggi entrambi sono rifugiati politici in Grecia. 

Alla vigilia del primo anniversario della guerra, Artem e sua moglie sono stati invitati a un evento pubblico del partito politico greco MeRA 25 dal titolo “Dalla crisi alla guerra: un anno dopo”. Non conoscevano la posizione di MeRA 25 sulla guerra, ma erano incuriositi dall’elenco degli autorevoli oratori annunciati per l’evento: Angela Dimitrakakis (docente senior all’Università di Edimburgo), Amineh Kakabaveh (ex membro del parlamento svedese), Stathis Kouvelakis (ex lettore di teoria politica al King’s College di Londra) e Yanis Varoufakis (professore all’Università di Atene, segretario di MeRA 25, cofondatore di DiEM25 ed ex ministro delle Finanze).

Yanis Varoufakis allontana
Artem Temirov

Hanno ascoltato con attenzione gli interventi, riscontrando una lettura totalmente allineata al pensiero mainstream di sinistra: no all’invio di armi (“perché uccidono le persone”), no al sostegno alla resistenza ucraina perché così “si sostengono gli Stati Uniti”, la guerra è una guerra tra Russia e Stati Uniti. In particolare Stathis Kouvelakis ha riprodotto alla lettera i discorsi di Vladimir Putin: “il conflitto in Ucraina è una guerra imperialista tra la Russia e l’Occidente collettivo, guidato dagli Stati Uniti, che si svolge sul territorio ucraino” e sarebbe anche una “guerra asimmetrica” perché la Russia non possiede la stessa potenza militare degli Stati Uniti. Per Kouvelakis “la Russia non aveva altra scelta che agire contro l’Ucraina, poiché la NATO aveva pianificato di aumentare la sua presenza nella regione”

Il tutto condito dalla sottolineatura secondo cui “nel 2014 i nazionalisti hanno preso il potere in Ucraina e iniziato a opprimere la popolazione di lingua russa”. Dunque non si dovrebbero sostenere le richieste ucraine di “fine dell’occupazione dei territori e di ritorno ai confini internazionalmente riconosciuti, a partire dal 1991”.

Dopo gli interventi dei relatori, durante la sessione di domande e risposte, Artem si è alzato per iniziare ad esprimere il suo disaccordo, sottolineando di essere russo. 

Immediatamente e per tutta risposta, Angela Dimitrakakis, che peraltro conosceva sia lui che sua moglie, lo ha interrotto e ha chiesto: “Chi sei? Chi ti ha portato qui?”. Yanis Varoufakis gli ha dato del fascista e gli ha fatto spegnere il microfono. La moglie (unica cittadina ucraina presente in sala) e Artem sono stati allontanati con la forza dall’evento senza poter dire un’altra parola, mentre Varoufakis continuava a gridare che erano “fascisti”.

Artem, sul sito Freedom, si sorprende “per la non volontà di ascoltare due rifugiati provenienti dai paesi su cui si erano concentrate le due ore precedenti di discussione”. Si sorprende del fatto che “persone che si identificano come politici di sinistra e internazionalisti possano ripetere parola per parola la propaganda russa” e che “dopo un anno di guerra e numerose atrocità commesse, giustifichino pubblicamente l’invasione russa”

Come ovunque, anche in Italia in queste “iniziative per la pace” mancano le storie degli ucraini vivi, le loro opinioni, i loro bisogni, le loro aspirazioni, le loro voci e i loro punti di vista, che cosa pensano gli ucraini che stanno combattendo, e i civili che hanno scelto di rimanere nelle loro case, sapendo che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Che cosa pensano i russi oppositori di Putin.

Quegli oratori (e tanti altri come loro, anche qui in Itaiia) hanno facilmente privato la popolazione di uno dei più grandi paesi europei della soggettività politica, rinunciando a difendere i diritti umani, civili e politici di 43 milioni di persone. Dichjiarano apertamente che devono essere Putin e Biden a porre fine alla guerra e che la Russia e gli Stati Uniti devono trovare un accordo da imporre ai “nazionalisti ucraini”.

Varoufakis, Kouvelakis e compagnia (e come loro tanti dirigenti della sinistra italiana in tutte le sue numerose declinazioni) definiscono la loro posizione sulla guerra in Ucraina cancellando gli abitanti del paese che vive la guerra, le loro aspirazioni, ma applicando i loro astratti e incartapecoriti schemi geopolitici. Non hanno il coraggio di confessarlo (alcuni, meno ipocritamente lo dichiarano), ma per loro qualsiasi esito della guerra in cui la Russia vinca è preferibile alla vittoria dell’Ucraina, perché la vittoria dell’Ucraina non viene vista come la vittoria dei suoi abitanti, ma piuttosto come la “vittoria degli Stati Uniti”. Come afferma Artem, vedono “i paesi e il loro abitanti come semplici disegni su una mappa”.

Grecia, un disastro ferroviario terribile e annunciato

di Yorgos Mitralias


Quella che segue potrebbe essere una barzelletta macabra, ma è una storia molto reale e, soprattutto, emblematica di questa Grecia neoliberista e fatiscente della prima metà del XXI secolo. Le responsabilità della Troika UE/FMI. Il ruolo delle Ferrovie dello Stato italiane

Solo poche ore prima del terribile disastro ferroviario del 28 febbraio, il presidente del sindacato dei macchinisti greci Kostas Genidounias ha commentato la visita che il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis avrebbe fatto il 1° marzo, cioè il giorno dopo il disastro, al “Centro per il controllo remoto e la segnalazione della rete ferroviaria greca settentrionale” a Salonicco: “Ho appena letto su un sito web che Mitsotakis sarà domani al Centro per il controllo remoto e la segnalazione della rete ferroviaria greca settentrionale. Qualcuno sa dirci dove si trova il centro di segnalazione e telecontrollo e dove opera nella Grecia settentrionale? A Drama non c’è, dopo Platy fino a Florina linea unica, mentre verso Atene è tutto spento, dopo la tx1 rossa, in funzione Sindos, la linea per Strymonas una giungla. Cosa stiamo vivendo?”

Insomma, inaugurando la sua campagna elettorale, Mitsotakis voleva esibire l’ennesimo risultato del suo governo a Salonicco. Solo che questo risultato non esiste, è del tutto immaginario! E soprattutto che proprio la sua inesistenza ha causato il più grave disastro ferroviario (57 morti) della storia del paese!

Eccoci dunque al cuore di questa nuova tragedia greca, all’inesistenza di quella che è la più elementare garanzia di sicurezza per qualsiasi trasporto ferroviario. Ma per capire il motivo di questa stupefacente mancanza di un sistema di segnalamento, dobbiamo risalire alla privatizzazione delle ferrovie greche imposta dalla famigerata troika UE/FMI quando la Grecia è stata posta sotto amministrazione fiduciaria. Una privatizzazione che – come tutte le privatizzazioni di aziende pubbliche – aveva un solo obiettivo: privatizzare i profitti e socializzare le perdite dell’azienda. Questo ha significato offrire al settore privato, quasi gratuitamente, la gestione della rete ferroviaria, che genera profitti, e lasciare al settore pubblico le infrastrutture, che generano solo perdite!

Se ci fermassimo a questo richiamo, dovremmo concludere che l’unico responsabile del disastro ferroviario è lo stato greco, a cui appartiene l’OSE (Organizzazione delle Ferrovie Greche), che ha il diritto esclusivo di gestire l’infrastruttura, e quindi il sistema di segnalamento della rete ferroviaria. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Innanzitutto, l’acquisizione dell’esercizio delle ferrovie greche da parte del settore privato (nella fattispecie, il “Treno Ellenico” delle italiane Ferrovie dello Stato) è costato solo 45 milioni di euro, quando il suo valore reale era di oltre 300 milioni di euro! E come se questo scandalo non bastasse, lo stesso stato greco si è impegnato nel 2022 a sovvenzionare Hellenic Train con 50 milioni di euro all’anno per incoraggiarlo a gestire anche le linee non redditizie, compresa quella che collega Atene a Salonicco, che è più che redditizia! E l’ironia è che i governi greci che si sono succeduti hanno preteso di privatizzare le ferrovie… per non doverle più sovvenzionare!

Il risultato è sconcertante: dopo questa vera e propria svendita delle ferrovie greche, l’OSE è disorganizzata e costretta a operare drastici tagli al suo bilancio, il che significa più licenziamenti e meno assunzioni, meno formazione, meno manutenzione di attrezzature e infrastrutture e meno investimenti. E naturalmente non è un caso che il sistema di segnalamento ferroviario, che funzionava senza problemi fino al 2010, abbia cessato di esistere a partire da quello stesso fatidico 2010, che ha visto la comparsa della famigerata Troika e dei suoi memorandum, e l’inizio dell’amministrazione fiduciaria della Grecia. Tutto questo, unito alle successive sconfitte e frustrazioni del popolo e, soprattutto, al marciume del sistema politico, alla corruzione del personale politico e alla decadenza dello stato, che sono il risultato delle politiche neoliberiste perseguite da tutti i governi di destra (Nuova Democrazia), di sinistra (Syriza) e di centro-sinistra (PASOK) degli ultimi 40 anni, portano dritti a disastri come quello che abbiamo appena vissuto… e agli altri che seguiranno. Inevitabilmente…

Inoltre, abbiamo appena appreso che la guida alla cieca dovuta alla mancanza di un sistema di segnalazione non è prerogativa dei soli macchinisti greci. Infatti, i conducenti della metropolitana e della RER della capitale greca, approfittando del clamore suscitato dal disastro ferroviario, stanno denunciando che l’ultimo tratto della linea che porta all’aeroporto Venizelos di Atene è crudelmente privo di segnaletica (!) e che, in barba alle loro proteste, la società privata che lo gestisce fa finta di niente e lascia che ciò accada. Ovviamente, è un miracolo che non si siano ancora verificati disastri simili a quello del 28 febbraio nella capitale greca…

Dieci giorni fa, l’ultimo rampollo della venerabile dinastia politica dei Karamanlis, il ministro dei Trasporti Kostas Karamanlis, che si è appena dimesso, ha castigato in parlamento un deputato di Syriza per aver osato mettere in dubbio la sicurezza delle ferrovie greche. Karamanlis ha definito “vergognosa” e “ipocrita” la domanda del povero deputato di Syriza, prima di ricordare che il numero di incidenti ferroviari in Grecia è il più basso d’Europa. Il ministro non ha mentito, ma ha dimenticato di dire che la Grecia ha la rete ferroviaria meno sviluppata e densa d’Europa, che si riduce a quasi una linea, quella tra Atene e Salonicco.

In effetti, la maledizione delle ferrovie greche non è né nuova né vecchia. È molto più antica e ha fatto sì che il paesaggio ferroviario greco ricordasse il selvaggio West dei vecchi film americani, almeno fino a una ventina di anni fa. Vecchie locomotive, vecchie stazioni del XIX secolo, elettrificazione appena iniziata e non ancora completata nemmeno sulla linea Atene-Salonicco! Perché tutto questo? Perché all’inerzia e al conservatorismo della burocrazia statale greca si è rapidamente aggiunta l’ostruzione organizzata dalla “lobby dell’asfalto”, che ha fatto sì che il trasporto di merci – ma anche di passeggeri – sia sempre stato quasi monopolizzato in Grecia dagli autotrasportatori.

La nostra conclusione sarebbe quindi del tutto pessimistica se non fosse per il raggio di speranza rappresentato dalle massicce manifestazioni di una certa gioventù greca che sono iniziate all’indomani del terribile disastro ferroviario del 28 febbraio e che continuano fino ad oggi. Manifestazioni che tendono a diffondersi e che proclamano a gran voce che “la privatizzazione uccide” e soprattutto “i nostri morti prima dei loro profitti”! Forse, questa volta, la goccia di rabbia popolare farà ribollire la pazienza che dura da troppo tempo…