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Elezioni europee, un accordo tra 6 liste di sinistra

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Assuefazione alla disumanità e banalizzazione dell’antisemitismo 

Abituarsi a una realtà senza diritti né regole, dove regna la legge della giungla?

di Yorgos Mitralias

Mentre l’operazione di sterminio e pulizia etnica dei palestinesi di Gaza ha – giustamente – monopolizzato l’attenzione del mondo per settimane, poca o nessuna attenzione è stata prestata a uno dei suoi obiettivi cruciali, che è passato piuttosto inosservato: l’assuefazione delle nostre società e di ciascuno di noi, in altre parole dell’umanità intera, a una nuova realtà internazionale priva del diritto umanitario che regola i conflitti armati internazionali o interni dal 1949. 

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Francia, no alla criminalizzazione della solidarietà con i palestinesi 

L’orrore ha colpito il 7 ottobre e da allora la Palestina e Israele vi sprofondano ogni giorno di più. Uccisioni di massa di civili da parte di Hamas, dal massacro di Reim alle fosse comuni nei Kibbutz di Be’eri e Kfar Aza, crimini di guerra dello stato di Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza ed esazioni omicide da parte dei coloni in Cisgiordania: Palestina e Israele sono teatro di atrocità senza nome. 

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Francia, la criminalizzazione della solidarietà

Comunicato del Nouveau Parti Anticapitaliste

Dall’inizio dell’offensiva a Gaza, dieci giorni fa, il governo macronista ha scatenato un’offensiva senza precedenti contro i diritti e le libertà pubbliche, per impedire che la solidarietà con il popolo palestinese si esprima… Fino a che punto si spingerà?

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Francia, decine di migliaia contro le violenze e il razzismo, ma si rinfocola la polemica a sinistra

Le valutazioni, come al solito, sono contrastanti: tra 30.000 e 80.000 sono stati i manifestanti che sono scesi in piazza ieri, sabato 23 settembre, a Parigi e in numerose altre città francesi, rispondendo all’appello unitario lanciato settimane fa per una manifestazione contro la violenza della polizia, il razzismo sistemico e per le libertà civili. 

Il corteo parigino è partito verso le 15 dalla Gare du Nord, nel quadrante nordorientale della capitale francese, dietro lo striscione di apertura del “Coordinamento nazionale contro le violenze della polizia”, fitto di striscioni e di cartelli: “Tutte/i insieme contro le violenze e il razzismo”, “Né oblio né perdono”, “Polizia ovunque, giustizia da nessuna parte”, “Senza giustizia nessuna pace”, “In lutto e in collera”, “Giù le mani dai nostri ragazzi”, “Giustizia per Nahel” (in riferimento al diciassettenne Nahel Merzouk, ucciso a sangue freddo da due poliziotti ad un posto di blocco alla fine dello scorso giugno).

Altri spezzoni del corteo si concentravano su altre vittime del “razzismo sistemico” delle forze di polizia: “Verità per Othmane”. “per Alassane”, “per Mohamed”, “per Medhi”, “per Mahamadou”… con tanti cartelli sorretti dai familiari dei giovani uccisi. E c’era anche chi denunciava l’impunità degli assassini, come sosteneva la sorella di Mahamadou Cissé, ucciso con una fucilata meno di un anno fa a Charleville Mézières, nella regione delle Ardenne: infatti, l’uomo che l’ha ucciso, un ex militare, se l’è cavata con solo qualche giorno di prigione…


Perfino l’Ispettorato generale della Polizia nazionale riconosce che il ricorso alla forza (e anche alle armi da fuoco) è “in netto aumento”. Ma nonostante questo, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha scritto proprio alla vigilia delle manifestazioni una lettera di sostegno pubblico ai poliziotti, ai gendarmi e ai questori, chiedendo loro di “dare prova di una vigilanza particolare durante le manifestazioni, di proibirle, se necessario, e di segnalare gli slogan insultanti ed oltraggiosi verso le istituzioni della Repubblica, della polizia e della gendarmeria”.

Tanto che, a Grenoble, il questore ha vietato un presidio descrivendolo come “un assembramento anti razzista composto da persone razzializzate”.


Ai cortei hanno aderito La France Insoumise, il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), i verdi di EELV, i sindacati CGT, FSU e Sud-Solidaires, assieme ad altre 150 organizzazioni politiche, sindacali, associative, collettivi dei quartieri popolari…

Come abbiamo già riferito, il Partito comunista francese (PCF) non ha aderito all’iniziativa, cosa che ha alimentato una violentissima polemica a sinistra, tanto che la deputata LFI Sophia Chikirou, in una sua dichiarazione, ha paragonato l’attuale leader del PCF a Jacques Doriot, l’ex comunista che negli anni 40 passò a collaborare con gli occupanti tedeschi, accompagnandola con la foto di una t-shirts con la scritta “Tutti detestano Fabien Roussel”, ironizzando sullo slogan che falsamente il segretario del PCF aveva attribuito alla manifestazione del 23: “Tutti detestano la polizia”.

La cosa ha portato anche il Partito socialista (PS), che pure fa parte della NUPES, cioè dell’alleanza elettorale di sinistra costruita attorno a LFI che ha raccolto alle elezioni parlamentari dello scorso anno il 25,66% dei voti, a non partecipare alla manifestazione.

Francia, sempre più teso il confronto tra Mélenchon e il PCF


Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei


di Fabrizio Burattini


Forse non è noto a tutte/i, ma il riferimento francese del Partito della Rifondazione comunista non è “La France Insoumise” di Jean-Luc Mélenchon che del “Partito della Sinistra Europea” è solo “osservatore”, ma è il Partito Comunista Francese, che ne è ufficialmente membro.


Allora facciamo un po’ di chiarezza.


Fabien Roussel

E’ di dominio pubblico la tensione che regna da anni tra il partito di Mélenchon e il PCF diretto dal segretario Fabien Roussel e che si è acuita dopo il successo del primo nelle elezioni presidenziali di aprile 2022 (21,95%) e il magro risultato raccolto dal secondo (2,28%).

Tanto più se si tiene conto che una presentazione unitaria avrebbe consentito a Mélenchon di scavalcare Marine Le Pen (23,15%) estromettendola dal ballottaggio.


Ma la tensione non si basa solo su quell’occasione mancata. Roussel non digerisce il fatto che la crisi verticale del Partito socialista francese e la sua quasi sparizione sia stata capitalizzata dalla France Insoumise e non dal suo partito. Così, la presa di distanza del PCF da Mélenchon e dal resto della sinistra è diventata il tratto distintivo della politica dei comunisti d’Oltralpe da qualche tempo in qua.


Già durante il grande movimento sindacale e di massa contro la riforma delle pensioni il PCF aveva duramente stigmatizzato quei manifestanti giovani e non solo che reagivano duramente alle cariche della polizia. Si era dissociato dalle importanti manifestazioni spontanee che si sono prodotte quando il presidente Macron ha deciso di ignorare la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini e ha fatto adottare per decreto e senza votazione parlamentare la controriforma previdenziale.


In questi giorni, la sinistra nella sua quasi totalità sta costruendo la manifestazione del 23 settembre (appuntamento ore 14,30 dalla Gare du Nord fino alla Bastiglia) contro la violenza della polizia, il razzismo sistemico e per le libertà civili, a cui hanno aderito 160 organizzazioni (tra le quali LFI e il NPA, la CGT, FSU e SUD-Solidaires) ma dalla quale il PCF ha preso le distanze negando la sua adesione. Solo un paio di federazioni giovanili del PCF (delle Bouches du Rhône e della Loira) hanno formalmente aderito.

Il leader del PCF Fabien Roussel ha dichiarato: “Non parteciperò perché non me la sento di manifestare contro la polizia”; ha ammesso, bontà sua, dopo le decine di omicidi, spesso a sangue freddo, perpetrati da agenti contro giovani delle periferie, che “il razzismo esiste tra gli agenti di polizia, ma questa manifestazione sta prendendo una piega che non condivido, ed è per questo che non sarò presente”.


E non basta la questione della polizia a creare un fossato crescente tra il PCF e il resto della sinistra francese. Il segretario del PCF, senza considerare il clima islamofobico che il presidente e l’estrema destra stanno creando da tempo nel paese, ha espresso il suo assenso verso la decisione del governo Macron di vietare alle ragazze di indossare il velo nelle scuole.


Come se non bastasse, il segretario del PCF ha rilanciato la posizione del partito (tradizionale, ma messa in secondo piano negli ultimi anni) favorevole all’energia nucleare. “Il nucleare”, secondo lui, “fa risparmiare, è la questione centrale della ricostruzione della Francia, della nostra industria e della nostra lotta per un clima migliore”.


Per evitare di apparire inerte e filogovernativo, Roussel in alternativa alla manifestazione del 23 ha affermato di voler dare voce alla “rabbia dei francesi” e ha lanciato la proposta di “assediare le prefetture” in tutto il paese. Alle critiche di Jean-Luc Mélenchon, per un’iniziativa che ha ironicamente definito “violenta” e “personale”, visto che non è stata “discussa da nessuna parte, nemmeno nel PCF”, Fabien Roussel, altrettanto ironicamente, si è chiesto se Mélenchon fosse diventato “moderato politicamente” oppure si fosse “rammollito in testa”, alludendo evidentemente all’età del leader di LFI (72 anni).


Tanto che l’eurodeputata verde di EELV, presente al dibattito nel quale Roussel si è espresso così, ha dovuto commentare: “Si è fatto prendere un po’ la mano”.


Naturalmente Roussel (54 anni), che è molto più giovane di Mélenchon, guarda lontano, conoscendo le debolezze e le fratture interne alla NUPES e alla stessa LFI e constatando che, almeno per il momento, all’interno di quella formazione non emerge nessuna figura di ricambio per una leadership che difficilmente potrebbe ricandidarsi nelle presidenziali del 2027 quando Mélenchon avrà 76 anni.


Nelle sue dichiarazioni di qualche giorno fa al quotidiano Libération, Roussel ha detto: “È una questione di progetto per la Francia. Se mi trovassi ad affrontare Marine Le Pen al secondo turno, penso addirittura di poter essere in vantaggio… Forse alcuni elettori di destra voterebbero per me. Cosa che non farebbero con un Insoumis”.

Ecco, questo è il “partito fratello” di Rifondazione in Francia. Il PRC si appresta nel fine settimana (21-24 settembre) a tenere la sua festa nazionale a Bologna (Parco Cevenini, Via Domenico Biancolelli, Borgo Panigale). Chiedo e mi chiedo: “Che ne pensano i militanti e i dirigenti del PRC di queste posizioni del loro omologo transalpino?”.

Francia, appello unitario per la marcia contro le violenze della polizia


Uniti contro la violenza della polizia, il razzismo sistemico e per le libertà civili

Quasi 100 manifestazioni sono già in programma in tutta la Francia!

Appello congiunto, già firmato da quasi 150 organizzazioni.

L’omicidio di Nahel, ucciso a bruciapelo da un poliziotto il 27 giugno 2023 a Nanterre, ha evidenziato ancora una volta ciò che deve finire: il razzismo sistemico, la violenza della polizia e le disuguaglianze sociali che le politiche di Macron stanno approfondendo. Una politica neoliberista imposta da metodi autoritari, leggi sulla sicurezza e una dottrina di polizia criticata anche dai più alti organismi internazionali. Una politica regressiva che offre un terreno fertile all’estrema destra e calpesta sempre più le nostre libertà civili, il nostro modello sociale e il nostro futuro di fronte al collasso ecologico.

Le prime vittime di queste politiche sono le persone che vi abitano, soprattutto i giovani dei quartieri popolari e dei territori d’oltremare, che stanno sopportando tutto il peso del peggioramento delle disuguaglianze sociali in un contesto economico di inflazione, aumento degli affitti e dei prezzi dell’energia e politiche urbanistiche brutali. Le riforme di Macron stanno esacerbando la povertà, in particolare restringendo l’accesso alle prestazioni sociali. La scandalosa riforma dell’indennità di disoccupazione ne è un esempio lampante, mentre la precarietà del lavoro è in aumento.

Le rivolte nei quartieri popolari possono essere analizzate solo in questo contesto generale. Gli abitanti di questi quartieri, e in particolare le madri single, sono spesso lasciati a sopperire alla mancanza di servizi pubblici, la cui distruzione sta accelerando ogni giorno.

Allo stesso tempo, tutta una serie di atti violenti vengono perpetrati contro la popolazione: la delocalizzazione e la distruzione di posti di lavoro, l’evasione e la frode fiscale, gli stili di vita ecocidi degli ultra-ricchi, i super-profitti delle multinazionali e i metodi di produzione iper-inquinanti responsabili della crisi climatica. E lo stato permette loro di farla franca! Inoltre, le popolazioni razzializzate e/o appartenenti a classi sociali svantaggiate, i quartieri popolari, le aree rurali e suburbane impoverite e i territori d’oltremare sono vittime di violenza istituzionale e sistemica, in particolare da parte della polizia.

La politica repressiva dello stato è stata ulteriormente rafforzata dall’ultimo rimpasto ministeriale, che ha esteso le competenze del ministero dell’Interno agli affari urbani, ai territori d’oltremare e alla cittadinanza. La repressione si sta diffondendo con sempre maggiore intensità, con la violenza della polizia e il divieto di manifestare contro il movimento sociale e ambientalista, come durante la lotta contro la riforma delle pensioni, rifiutata dalla grande maggioranza dei lavoratori e dai loro sindacati, e a Sainte-Soline. La libertà di associazione, sia direttamente che indirettamente, è sempre più minacciata.

Questa situazione è tanto più preoccupante in quanto la polizia sembra sfuggire al controllo del potere politico. Dalle dichiarazioni faziose di alcuni sindacati di polizia dopo l’omicidio di Nahel a quelle del Direttore generale della polizia nazionale e del Prefetto della polizia di Parigi, nonché del ministro degli Interni, è la polizia che oggi mette in discussione lo stato di diritto, invece di porre fine all’impunità degli autori della violenza poliziesca.

I nostri sindacati, le associazioni, i collettivi, i comitati di quartiere della classe operaia, i comitati delle vittime della violenza della polizia e i partiti politici stanno lavorando insieme a lungo termine per far convergere la giustizia antirazzista, sociale, ecologica e femminista e per porre fine alle politiche securitarie e antisociali.

La crisi democratica, sociale e politica che stiamo attraversando è molto grave.

Non possiamo accettare altre morti come quella di Nahel, né altri feriti vittime della violenza della polizia.

Vi invitiamo a scendere di nuovo in piazza sabato 23 settembre, a organizzare manifestazioni e altre iniziative in tutto il paese, a stare insieme contro la repressione della protesta sociale, democratica ed ecologica, per la fine del razzismo sistemico e della violenza della polizia, e per la giustizia sociale e le libertà civili del clima e delle donne.

Chiediamo risposte immediate e urgenti:

  • l’abrogazione della legge del 2017 sull’allentamento delle norme sull’uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine;
  • una riforma profonda della polizia, delle sue tecniche di intervento e del suo armamento;
  • la sostituzione dell’Ispettorato generale della polizia con un organismo indipendente dalla gerarchia della polizia e dal potere politico;
  • la creazione di un dipartimento dedicato alle discriminazioni che colpiscono i giovani all’interno dell’autorità amministrativa presieduta dal Difensore dei diritti umani e il rafforzamento delle risorse per la lotta al razzismo, anche nella polizia;
  • un ambizioso piano di investimenti pubblici nei quartieri popolari e in tutto il paese per ripristinare i servizi pubblici e il finanziamento di associazioni e centri sociali.

Firmatari

Collettivi/comitati dei quartieri popolari, delle vittime delle violenze poliziesche 

  • Afrofem Marseille 
  • Anti-Racisme 94
  • Citoyennes du Monde
  • Collage Féministe Stains 
  • Collectif des Musulmans Végétariens d’île de France 
  • Collectif isérois de solidarité avec les étranger.es et le migrant.es (38)
  • Collectif Justice et Vérité pour Yanis
  • Collectif Justice pour Claude Jean-Pierre
  • Collectif les Sentinel’les – Quartier des Sentes, Les Lilas, 93
  • Collectif Malgré Tout
  • Collectif Stop Uwambushu à Mayotte (CSUM)
  • Collectif Stop Violences Policières à Saint-Denis
  • Collectif Vérité et justice pour Adama
  • Comité Justice pour Alassane
  • Comité justice pour C&J
  • Comité Justice pour Othmane
  • Comité local SDT Villefranche sur Saône 
  • Comité Vérité et Justice pour Mahamadou
  • Comité vérité et justice pour Safyatou, Salif et Ilan
  • Coordination iséroise de solidarités avec les étranger.es et migrant.es (38)
  • Coordination nationale “Marche 40 ans”
  • Coordination nationale contre les violences policières
  • Coordination pour la Défense des habitants des Quartiers Populaires
  • ECRIS 94 – Ensemble Contre le Racisme l’Islamophobie et le sexisme 94
  • Forum pour un autre Mali
  • Garde Antifasciste 53
  • Gilets jaunes Marseille Centre
  • Justice pour Nahel
  • Le CERCLE 49
  • Le Mouvement des mères isolées
  • Les Insurgés (Collectif de Gilets Jaunes)
  • Maison du Peuple en Colère 
  • Mémoire en marche Marseille
  • Peuple Révolté 
  • Syndicat des quartiers populaires de Marseille

Organizzazioni sindacali 

  • CGT
  • CSE Le clos St jean
  • FIDL
  • FIDL 93 SEINE SAINT DENIS 
  • FSE
  • FSU
  • La Voix lycéenne
  • MNL
  • SNES
  • SNPES-PJJ/FSU
  • Solidaires 38
  • Solidaires 56
  • Solidaires 85
  • Syndicat de la magistrature
  • Syndicat des avocats de France
  • UD CGT 22
  • UD CGT46
  • UNEF
  • Union étudiante
  • Union locale CGT Ales 
  • Union syndicale Solidaires

Associazioni e altri collettivi 

  • Alternatiba
  • Alternatiba Paris
  • Amis de la Terre France
  • ANV-COP21
  • APEL-Egalité
  • Association de veille écologique et citoyenne (Nantes)
  • Association Intergénérationelle de la Rabière (AIR-37)
  • Association Nationale des Pieds Noirs Progressistes et Amis (ANPNPA)
  • Association Naya(37)
  • Association Nouveaux Souffle pour l’Insertion Sociale et Professionnelle (ANSIP-37)
  • Association Stop Aux Violences d’État
  • ATMF
  • Attac France
  • CAD
  • Citoyennes en lutte Ouistreham
  • Collectif du 5 novembre
  • Collectif National pour les Droits des Femmes (CNDF)
  • Collective des mères isolées
  • Comité d’Action Interprofesionnel et Intergénérationnel d’Issy les moulineaux (CAIII) 
  • Conseil Démocratique Kurdes  de Bordeaux 
  • Coudes à Coudes
  • Dernière Rénovation
  • Droit Au Logement (DAL)
  • FASTI
  • Fédération des Tunisiens pour une citoyenneté des deux rives (FTCR)
  • Fédération nationale de la LIbre Pensée
  • Femmes Egalité
  • Femmes Plurielles
  • Flagrant Déni, média engagé dans la lutte contre l’impunité policière https://www.flagrant-deni.fr/
  • Fondation Copernic
  • Gisti
  • Greenpeace
  • Jeunesse des cités tase
  • L’ACORT
  • La Relève Féministe
  • La Révolution est en marche
  • LDH Tarbes Bagnères de Bigorre
  • Le GRAIN
  • Les Effrontées
  • Les marcheurs de 83
  • Les Marmoulins de Ménil
  • Les Mutin.e.s
  • Marche des Solidarités
  • Memorial 98
  • Mouvement pour une Alternative Non-violente (MAN)
  • Mouvement Utopia
  • MRAP
  • Observatoire national de l’extrême-droite
  • ODED32
  • OXFAM 06
  • Pas peu fièr-es
  • Planning familial
  • Queer Asso
  • Réseau d’Actions contre l’Antisémitisme et tous les Racismes (RAAR)
  • Réseau Hospitalité
  • SOS racisme
  • SOS Racisme Lyon
  • Soulèvements de la Terre
  • Tous Citoyens !
  • UJFP
  • XR Extinction Rebellion France

Organizzazioni politiche 

  • Boissy Insoumise
  • EELV
  • ENSEMBLE
  • Fédération Libertaire de Lorraine
  • FUIQP
  • GA Insoumis de Montréjeau/Gourdan
  • GA LFi Pays de Gex
  • Gauche Écosocialiste
  • GDS
  • Génération.s
  • Jeune Garde Antifasciste 
  • Jeunes Communistes des Bouches du Rhône
  • Jeunesse Communiste de la Loire
  • La Gauche Ecosocialiste
  • Les Jeunes Écologistes
  • LFI
  • Nouvelle Donne
  • NPA
  • PCOF
  • PEPS
  • PG
  • Place Publique
  • POI
  • Rejoignons nous
  • REV
  • Solidaires par Nature 
  • UCL
  • Vivre Ensemble Solidaires en Métropole Tourangelle (VESEMT-37)

Francia, nel mirino dei neofascisti la libreria del NPA

Comunicato – 21 agosto 2023

Nel week end scorso, la libreria parigina La Brèche, legata al Nuovo Partito Anticapitalista, è stata presa di mira dall’estrema destra.

Sui muri esterni sono stati spruzzati graffiti antisemiti e sessisti che definiscono l’NPA un “puttana per ebrei”, una “puttana di Soros”, firmati da due gruppuscoli fascisti (GUD e Zouaves Paris).

Questo danneggiamento fa parte di una lunga serie di attacchi ai movimenti sociali da parte di gruppi di estrema destra, tra cui aggressioni violente ad attivisti e attacchi alle sedi di associazioni e partiti politici, nonché alle librerie, come il recente attacco a una libreria autogestita a Montreuil.

Quest’anno, gli stessi gruppi neonazisti hanno anche commesso una serie di attacchi sessisti, razzisti e LGBTIfobici.

I neonazisti stanno mettendo le ali, sostenuti dai discorsi d’odio di Zemmour, Le Pen e compagnia, ma anche da tutti gli ideologi, gli editorialisti e gli altri estremisti di destra che hanno accesso permanente ai media mainstream.

E il minimo che si possa dire è che personaggi come Macron, Darmanin e compari non stanno facendo nulla per arginare questo fenomeno, anzi. Moltiplicando le politiche razziste e antisociali mutuate direttamente dal discorso e dal programma dell’estrema destra, il governo sta contribuendo allo sviluppo dell’estrema destra.

L’NPA condanna il danneggiamento della libreria La Brèche.

Le scritte di cattivo gusto ricordano cosa sia fondamentalmente l’estrema destra: razzista, antisemita, sessista, omofoba, disgustosa e pericolosa.

È l’intera sinistra sociale e politica ad essere stata presa di mira di recente e spetta quindi a tutta la sinistra sociale e politica costruire, in modo unitario, la necessaria risposta antifascista.

Contro i gruppi di estrema destra. Contro Le Pen e Zemmour. Contro il razzismo, l’antisemitismo, il sessismo e l’omofobia. Contro tutti coloro, compresi quelli al governo e i cosiddetti partiti “repubblicani”, che abbracciano e banalizzano le idee dell’estrema destra. 

Per i nostri diritti, la nostra solidarietà, le nostre lotte collettive, i nostri luoghi di espressione. No pasarán!

Africa, quando il cortile dietro casa torna a ribellarsi

Sui colpi di stato in Mali, Burkina Faso e Niger

In un’area dal ruolo geopolitico chiave e ricca di giacimenti di uranio, tornano a farsi sentire proclami anticoloniali e ultimatum imperiali. Mentre la Francia si ritira, Russia e Cina avanzano.

 
di Daniel Gatti, da brecha.com.uy
 
Il 26 luglio, un Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) ha rovesciato il presidente del Niger Mohamed Bazoum, appena una settimana prima che il paese africano celebrasse il 63° anniversario dell’indipendenza dalla Francia. 

Una “nuova indipendenza” dalla stessa potenza è stato uno degli slogan dei ribelli, che hanno immediatamente denunciato gli accordi di sicurezza con Parigi, chiesto il ritiro della base aerea e dei circa 1.500 militari francesi di stanza nel paese e sospeso le esportazioni di uranio verso l’ex metropoli coloniale.
 
La Francia ha risposto che avrebbe ignorato queste decisioni (“solo il governo legittimo del Niger può prenderle”, ha dichiarato il ministero della Difesa) e che avrebbe mantenuto la sua base e le sue truppe. Ha inoltre annunciato la sospensione dei cosiddetti aiuti allo sviluppo. L’UE nel suo complesso ha fatto lo stesso, così come gli Stati Uniti, che sono anche l’altro paese che mantiene basi militari e truppe (1.000 soldati) in Niger. 

Commentando la cessazione della cooperazione statunitense, il presidente della giunta nigerina, il generale Omar Tchiani, ha ironizzato: “Che si tengano gli aiuti e li diano ai milioni di senzatetto negli Stati Uniti, perché la solidarietà comincia in casa”. Sommati, gli “aiuti allo sviluppo” occidentali rappresentano ancora una grande percentuale del PIL nigerino, che è tra i più bassi al mondo. Usati come leva per esercitare pressioni sul governo, gran parte di essi sono stati destinati a progetti che hanno avvantaggiato principalmente le aziende occidentali; altri aiuti si sono persi nei meandri della corruzione o sono andati alle élite locali.

L’Africa divisa di fronte al colpo di stato 

Alcune scene all’indomani del colpo di stato sono state quelle di uno sradicamento post-coloniale, con un’evacuazione frettolosa e disordinata dei cittadini dal potere dominante (Parigi è rimasta tale in Niger, come in gran parte dell’Africa dopo la decolonizzazione negli anni ’60 e ’70). 

E ci sono state altre scene: folle riunite a sostegno del rovesciamento di Bazoum – presidente in carica dall’inizio del 2021 dopo elezioni denunciate all’epoca come fraudolente – attacchi all’ambasciata francese, innalzamento di bandiere russe. 

Nelle capitali dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti le reazioni sono state unanimi: si tratterebbe dell’ennesimo colpo di stato del tipo che si ripete periodicamente nell’Africa mal governata e ingovernabile, e di un attacco intollerabile alla stabilità e alla pace nella regione, che favorirebbe l’ascesa del jihadismo.
 
Il presidente francese Emmanuel Macron, con i suoi consueti toni monarchici e persino imperiali, ha dichiarato che Parigi “non tollererà alcun attacco ai suoi cittadini e ai suoi interessi” e, qualora si verificasse, la sua reazione sarà “immediata e implacabile”

La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) era divisa tra una maggioranza di paesi disposti a intervenire militarmente per reintegrare il deposto Bazoum (con Nigeria, Benin, Costa d’Avorio e Senegal come punte di diamante) e una minoranza contraria alla guerra. Tra questi ultimi Paesi, il Mali e il Burkina Faso – ex colonie francesi che recentemente hanno espulso nuovamente le truppe francesi dal loro territorio in seguito a colpi di stato militari – hanno dichiarato che, se ci fosse un intervento contro il Niger, lo prenderebbero come una dichiarazione di guerra contro di loro. 

La Guinea e, al di fuori dell’Ecowas, il Ciad e l’Algeria, anch’essi un tempo colonizzati da Parigi, hanno appoggiato l’abbinamento. Il Sudafrica, esterno alla comunità ma grande potenza regionale, si è posto nel mezzo, in una sorta di “né intervento né colpo di stato”.
 
La data dell’ultimatum è passata, ma finora non sono state dispiegate truppe nell’area. Lunedì 7, il governo di Macron aveva nuovamente avvertito il CNSP nigeriano di “prendere sul serio” la possibilità di un intervento e il Niger, che ha chiuso il suo spazio aereo, ha denunciato che c’era già una decisione di “invadere” il paese. Un giorno dopo, Radio France International ha riferito che la forza d’intervento comprenderà circa 25.000 uomini, metà dei quali provenienti dalla Nigeria, che la comanderà. 

Ma, allo stesso tempo, la diplomazia era al lavoro. Martedì 8, i funzionari della giunta nigeriana hanno ricevuto a Niamey Victoria Nuland, sottosegretario di stato per gli Affari politici, il numero due della diplomazia statunitense. “È stata una conversazione estremamente franca ma molto difficile, con pochi progressi. Abbiamo dato loro diverse opzioni per il ritorno all’ordine costituzionale, ma ho avuto l’impressione che non le abbiano prese in considerazione”, ha detto. 

L’Ecowas si riunirà giovedì 17 agosto nella capitale nigeriana Abuja per “riesaminare la situazione”.

Neocolonialismo e jihadismo

Le manifestazioni a sostegno del golpe a Niamey sono state organizzate da un movimento chiamato M62, che riunisce diverse centrali sindacali e una ventina di organizzazioni della società civile nigerina che, pochi mesi prima della rivolta, avevano già chiesto lo smantellamento delle basi militari straniere. “Il nostro movimento”, ha dichiarato Abdourahmane Ide, membro della direzione dell’M62, al quotidiano italiano Il Manifesto del 1° agosto 2023, “è nato qualche anno fa per protestare prima contro il governo di Mahamadou Issoufou e poi contro quello di Bazoum, per la sua politica economica e soprattutto per la presenza di soldati stranieri nel paese. Dopo la fine dell’operazione Barkhane in Mali [nel 2022], diverse migliaia di soldati francesi sono arrivati in Niger per unirsi a quelli già presenti, cosa per noi inaccettabile”.

Ide ha spiegato che l’esercito nigerino è sufficiente per “far rispettare la sicurezza nazionale” e che, quando si tratta di combattere i fondamentalisti islamici di Al Qaeda, dello stato Islamico e di Boko Haram, che si sono diffusi in tutto il Sahel, l’operazione francese Barkhane si è rivelata totalmente inefficace. 

In Niger, Burkina Faso e Mali c’è persino chi ritiene che le truppe francesi siano complici del jihadismo e che lo abbiano usato come copertura per perpetuare la loro presenza in queste terre e saccheggiarne le risorse”, ha scritto Rémi Carayol, un giornalista che a marzo ha pubblicato su Le Monde Diplomatique un’ampia inchiesta sugli interventi militari francesi nel suo cortile africano, Le Mirage sahélien: la France en guerre en Afrique (“Il miraggio saheliano: la Francia in guerra in Africa”).

A pensarla così è Alassane Sawadogo, coordinatore del Fronte burkinabé per la difesa della patria. “Come si spiega che, con i mezzi a loro disposizione, i francesi non siano riusciti a sconfiggere i gruppi armati”, si chiede, durante gli otto anni dell’Operazione Barkhane? L’anno scorso il Mali ha accusato la Francia di armare i jihadisti alle Nazioni Unite, ha ricordato Carayol. 

Senza arrivare a tanto, l’Ide nigeriano pensa anche che la lotta al fondamentalismo musulmano sia stata un’ottima scusa per francesi e americani “per creare basi militari in Niger con la complicità dei governi nazionali e per saccheggiare le risorse del sottosuolo”, ha dichiarato a Il Manifesto. Ha aggiunto che il suo movimento mira a “collaborare con il Mali e il Burkina Faso che, da quando hanno espulso i francesi [tra l’anno scorso e quest’anno] e si sono alleati con i russi, hanno visto migliorare le loro condizioni di vita. I russi non ci hanno sfruttato come i francesi, e per combattere il pericolo del fondamentalismo islamico è anche più conveniente affidarsi a loro” che agli occidentali.

In Mali, Burkina Faso, Guinea e Repubblica Centrafricana, sono soprattutto la Russia, ma anche la Cina, ad aver sostituito Francia e Stati Uniti come potenze egemoniche, dal punto di vista economico, commerciale e militare. I paramilitari russi di Wagner si muovono liberamente in questi paesi e starebbero svolgendo un ruolo centrale nella lotta al jihadismo. 

Secondo il canale televisivo arabo Al Jazeera, la giunta nigeriana ha chiesto formalmente aiuto a Wagner in caso di attacco occidentale. Carayol non crede, tuttavia, come non credono diversi ricercatori africanisti consultati dal portale francese Mediapart, che dietro il colpo di Stato in Niger ci sia Mosca. Anche se gli fa comodo.

Lampadine francesi e nigerine

Arginare l’influenza russa e assicurarsi il controllo di ricchezze come l’uranio, molto più di qualsiasi preoccupazione per il “consolidamento della democrazia” nella regione, sono tra i principali fattori che incoraggerebbero un intervento militare contro il Niger, condotto e ordinato da paesi occidentali e attuato da soldati africani. Il Niger è il settimo produttore mondiale di uranio, metallo fondamentale per il funzionamento delle centrali nucleari, essenziali per l’approvvigionamento energetico di paesi come la Francia, la cui matrice energetica è essenzialmente nucleare (70%).

Fino a poco tempo fa, il Niger era il primo fornitore di uranio della Francia (nel 2022 è stato soppiantato dal Kazakistan, primo produttore mondiale di uranio) e il quarto fornitore dell’Unione Europea. 

Una società francese (Orano, ex-Areva) controlla la produzione del minerale sul suolo nigeriano. Fino al 2014, in base agli accordi di “cooperazione” firmati tra Parigi e Niamey, la società pagava solo una royalty del 5,5% sull’uranio prodotto nelle miniere nigeriane. Da allora, paga il 12%. 

Una cifra comunque irrisoria per un’azienda il cui reddito è più del doppio di quello del Niger, un paese in cui meno del 20% della popolazione ha accesso all’elettricità, ma il cui uranio contribuisce ad accendere una lampadina su tre in Francia. 

Ciliegina sulla torta: quando i prezzi dell’uranio sul mercato internazionale scendono, Orano interrompe la produzione. La storica francese Camille Lefebvre, direttrice di ricerca presso il Centro nazionale di ricerca scientifica di Parigi, specializzata nell’occupazione coloniale del Niger alla fine del XIX secolo, ha dichiarato a Mediapart che la Francia si preoccupa ben poco delle conseguenze ambientali e sanitarie di questa operazione mineraria, di cui è la principale beneficiaria.

Gli accordi anti migranti

Da quando è stato eletto presidente, Mohamed Bazoum è stato un fedele alleato dell’Occidente, e in particolare della Francia, ha scritto lo specialista d’Africa Philippe Leymarie su Le Monde Diplomatique mercoledì 2

Dopo la rottura del Burkina Faso e del Mali con Parigi, il Niger era finora, insieme al Ciad, l’unico dei dieci paesi della regione del Sahel ad essere favorevole alla permanenza delle truppe francesi. 

Con la liquidazione, lo scorso novembre, dell’Operazione Barkhane, istituita nel 2014 da Parigi per combattere l’insurrezione islamista nell’area, Niamey era diventata il cuore di una sorta di Barkhane 2, con la sua base aerea da cui decollavano droni e jet da combattimento e con i suoi 1.500 soldati. 

Il Niger era anche un solido alleato economico dell’Occidente, uno status che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva espressamente riconosciuto a Bazoum lo scorso dicembre. E, per l’Unione Europea, era un paese chiave nei suoi sforzi per contenere l’immigrazione africana ai suoi confini. 

Oggi in Niger – “paese di arrivo, transito e partenza di rifugiati”, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni – sono presenti circa 300.000 rifugiati, provenienti soprattutto dalla Nigeria. 

Per l’UE si tratta di tenerli lontani dal suo “cortile di casa”, e a tal fine ha firmato con Niamey lo stesso tipo di accordi che ha firmato con altri paesi al di fuori della Fortezza Europa.

L’impero che non vuole morire

Dopo aver perso, una dopo l’altra, le sue circa venti colonie africane tra il 1958 e la fine del decennio successivo, Parigi ha ricomposto un sistema di relazioni con il suo cortile che ha dato vita a quella che è diventata nota come FrançAfrique, una sorta di sovrastruttura neocoloniale dotata di strumenti politici ed economici, accordi di sicurezza e meccanismi monetari. 

La maggior parte delle sue ex colonie ha aderito a questo sistema, in base al quale la Francia si riservava il diritto di intervenire militarmente per garantire la “stabilità” dei suoi alleati. Da almeno un paio di decenni, a Parigi si dice che l’Africa francese appartiene al passato e che il paese sta costruendo un nuovo tipo di rapporto con le sue ex colonie, presumibilmente più rispettoso della loro autonomia.

Ma non è affatto così, come ha sottolineato Amzat Boukari-Yabara, dottore in storia e attivista africanista, tra i tanti. “Manca ancora il certificato di morte della FrançAfrique”, ha dichiarato il ricercatore a Mediapart. “Il caso del Niger è probabilmente più significativo di quello del Mali o del Burkina Faso, poiché è stato presentato come un alleato stabile di Parigi, un catenaccio di sicurezza nel Sahel e un partner nelle politiche migratorie dell’Unione Europea”

Con la sua posizione geografica, il Niger svolge un ruolo centrale nel sistema di dominio francese nella subregione, e il colpo di stato di fine luglio “è servito ai militari francesi per rafforzare la tesi di un effetto domino da evitare” per scongiurare il contagio verso Ciad, Costa d’Avorio, Congo, Togo, Camerun e Gabon, ha aggiunto lo storico. 

La Francia ha sempre affrontato le relazioni con il proprio cortile dal punto di vista della difesa dei propri interessi, economici o militari, e si è preoccupata poco della realtà di questi paesi, soprattutto della loro estrema povertà, che è in gran parte il risultato della colonizzazione, ha affermato Boukari-Yabara.

“Questo ha generato odio, risentimento e ribellioni”, controllate dall’intervento militare e grazie alla complicità delle élite locali, osserva Camille Lefebvre. “Per dieci anni, la Francia è stata in guerra in questo paese e in questa regione senza aver fatto alcuno sforzo per capire cosa stesse succedendo” e confondendo ulteriormente le acque, ha denunciato la storica. 

In tutto il Sahel, ha detto Boukari-Yabara, “stiamo ancora vivendo le conseguenze dell’intervento in Libia” di oltre un decennio fa, guidato dagli Stati Uniti e con la partecipazione di truppe francesi, britanniche ed europee, che ha portato alla profonda destabilizzazione della regione. 

“C’è anche una forma di arroganza profondamente colonialista esemplificata dalle dichiarazioni di Macron sulla fertilità delle donne nigeriane come causa dell’incapacità di sviluppo del paese. Si tratta di vecchi luoghi comuni che riappaiono e che non portano esattamente i nigeriani ad amare la Francia”.

I militari francesi – ma non solo loro, anche gran parte della leadership politica – sono ancora impregnati dell’idea che, se se ne andranno, gli africani andranno incontro alla catastrofe e saranno in balia del jihadismo. Non percepiscono nemmeno, sottolinea Lefebvre, che la stessa presenza militare straniera, cioè la loro, “può essere un elemento che rafforza l’influenza degli islamisti”

E che dire del passato coloniale, osserva lo storico, autore nel 2021 di L’Empire qui ne veut pas mourir: une histoire de la Françafrique (“L’Impero che non vuole morire: una storia della Françafrique”). Fanno finta che il passato non conti più, ma in Niger, come in tutto il Sahel, gli africani “portano nei loro corpi, nella loro memoria, e trasmettono di generazione in generazione gli orrori dell’omicidio di massa, dello stupro di massa” che hanno segnato sessant’anni o più di dominio imperiale.

La rabbia verso i propri governi – predatori o complici della predazione – unita al rifiuto del neocolonialismo e alla presenza di basi militari straniere, ha portato a questa nuova realtà di ribellioni a catena nel cortile di casa della Francia, osserva Lefebvre. Anche se il vecchio impero non vuole vederlo.