Elezioni Usa, perché solo Trump e Biden?

di Lance Selfa, autore di The Democrats: A Critical History (Haymarket, 2012) e curatore di U.S. Politics in an Age of Uncertainty: Essays on a New Reality (Haymarket, 2017), da internationalsocialism.net

La stanchezza del bipartitismo

Lo scorso autunno, un sondaggio Gallup ha riportato che il 63% degli adulti statunitensi ha dichiarato che un terzo partito è necessario perché i partiti principali fanno un “pessimo lavoro nel rappresentare il popolo americano”. Sebbene questo sia stato il livello più alto di sostegno a un terzo partito riscontrato da Gallup nei 20 anni in cui ha condotto il sondaggio, il sostegno a un terzo partito è rimasto più o meno a questo livello dal 2013.

Prima del 2013, i dati Gallup mostravano un calo del sostegno a un terzo partito e un aumento dell’opinione che i partiti principali “fanno un lavoro adeguato” nel rappresentare il popolo americano negli anni delle elezioni presidenziali pari. Ma la situazione è cambiata dal 2012, anche se il comportamento dell’elettorato americano – che si schiera con i due partiti principali in ogni anno elettorale – continua a rispecchiare il modello precedente.

Solo nel 2016, quando l’elettorato si è trovato di fronte alla misera scelta tra Hillary Clinton e Trump, i voti per i partiti diversi dai Democratici e dai Repubblicani sono aumentati. Circa il 5% di coloro che hanno votato alle elezioni presidenziali di quell’anno ha scelto terzi partiti, come i Libertari o i Verdi, rispetto a Clinton o Trump.

I liberali continuano a incolpare Jill Stein, la candidata presidente del Partito Verde, per essere stata di ostacolo alla Clinton per la vittoria in alcuni “stati chiave” nel 2016, anche se la Clinton era una pessima candidata che ha condotto una pessima campagna elettorale.

È un po’ eccessivo che gli operatori democratici accusino la Stein di aver costituito il “punto di svolta” nello stato del Wisconsin a favore di Trump, quando la Clinton non vi ha fatto campagna elettorale durante le elezioni generali.

Si potrebbe anche sostenere che il libertario Gary Johnson ha sottratto a Trump un numero sufficiente di voti per dare alla Clinton vittorie striminzite in stati come il Colorado, il New Hampshire, il Maine e il New Mexico.

Un sistema di voto assurdo e antidemocratico

Tutti questi calcoli derivano dall’assurdità della scelta di un presidente basata sui voti stato per stato di un “collegio elettorale” che rappresenta eccessivamente gli stati conservatori scarsamente popolati. La Clinton ha ottenuto quasi 3 milioni di voti in più a livello nazionale rispetto a Trump nel 2016. Eppure ha perso le elezioni perché circa 78.000 voti in tre stati li hanno consegnati a Trump.

I Democratici sono determinati a non ripetere l’esperienza del 2016 nel 2024. Ma invece di concentrarsi sull’offrire all’elettorato qualcosa per cui votare, stanno facendo pura opposizione a Trump e stanno montando una campagna multimilionaria per squalificare i candidati terzi. I Democratici hanno messo insieme un “esercito di avvocati” che cercheranno di ostacolare legalmente i candidati terzi che sfidano Biden.

Il New York Times del 20 marzo riferiva:

L’offensiva legale, guidata da Dana Remus, che fino al 2022 è stata consigliere del presidente Biden alla Casa Bianca, e da Robert Lenhard, un avvocato esterno al partito, sarà aiutata da un team di comunicazione dedicato a contrastare i candidati che i Democratici temono possano fare da guastafeste a Biden. Si tratta di una sorta di “Whac-a-Mole” legale, un piano di controinsurrezione stato per stato in vista di un’elezione che potrebbe dipendere da poche migliaia di voti in stati in bilico.

Questa campagna ha ottenuto la sua prima grande vittoria all’inizio di aprile, quando il comitato d’azione politica No Labels ha annunciato che non avrebbe organizzato una campagna presidenziale nel 2024. Non è stato per mancanza di tentativi. Ma No Labels – frutto della fantasia di lobbisti di Washington che credono che gli elettori statunitensi desiderino un’alternativa “moderata” ai partiti padronali “estremi” – non è riuscito a trovare un politico mainstream, come il defunto (e non compianto) senatore Joseph Lieberman, che accettasse di guidare la loro lista.

I Democratici hanno ora nel mirino la candidatura indipendente dell’avvocato ambientalista e novax Robert Kennedy, Jr. (RFK Jr.). Nonostante l’appartenenza di Kennedy al famoso clan omonimo del Partito Democratico e la sua storia di lavoro su questioni ambientali, oggi è noto soprattutto come uno dei principali divulgatori della disinformazione sui vaccini, il cui profilo ha ricevuto un’impennata durante l’apice della pandemia COVID-19. I Democratici temono che possa fare leva sul suo nome e raccogliere fondi sufficienti per sfidare Biden a livello statale.

Alcuni sondaggi dello scorso anno suggerivano che Kennedy avrebbe potuto raccogliere consensi a due cifre, fino a raggiungere i livelli che il miliardario pazzoide Ross Perot raggiunse nel 1992 ( circa il 19% dei voti nazionali nelle elezioni contro il presidente in carica George H.W. Bush e lo sfidante Bill Clinton]. Tuttavia, è improbabile che RFK Jr. ottenga un sostegno superiore al 2-3% complessivo. Inoltre, la sua campagna è presente nelle schede elettorali di soli sei stati al momento in cui scriviamo. In precedenza si era candidato alle primarie democratiche, ma si era ritirato dopo aver fallito nel tentativo di ottenere consensi.

Tuttavia, i Democratici non corrono rischi. Hanno arruolato circa tutti i membri della famiglia di Kennedy per ripudiarlo e stanno attualmente conducendo una campagna mediatica a tappeto contro di lui.

La lobby liberale MoveOn.org, allineata con i Democratici, ha persino assunto contro la campagna di RFK Jr. un funzionario nello staff il cui compito è quello di “aiutare a inoculare [cogliete il gioco di parole?] i progressisti e altri gruppi di elettori non-MAGA”, cioè che non sostengono la campagna MAGA di Trump “Make America Great Again”.

Candidato alle prime armi, RFK Jr. ha fornito agli avversari del Partito Democratico un capitale di dichiarazioni e apparizioni sui media che spaziano da strane teorie cospirative a sproloqui antisemiti e razzisti. Chi pensa che sia un’alternativa a Biden su Israele e Palestina si sbaglia.

Le potenzialità di una terza candidatura di sinistra

Per i socialisti, impegnati in un’alternativa di sinistra ai due partiti padronali, No Labels, RFK Jr. e i Libertari non offrono nulla.

Ma altre due campagne plausibili – quella del Partito Verde di Jill Stein e quella indipendente del professore attivista Cornel West – offrono veicoli per registrare una protesta contro lo status quo dei due partiti. Il problema è capire quanto queste campagne diventeranno valide a livello nazionale. Per comprendere i Verdi e West e il loro rapporto, vale la pena di leggere il contributo dell’ecosocialista e candidato al 2020 del Partito Verde Howie Hawkins (qui).

Come sottolinea Hawkins, i Verdi hanno ottenuto poco meno di mezzo milione di voti sia alle elezioni presidenziali del 2012 che a quelle del 2020. Ma il loro totale è salito a circa 1,4 milioni nella competizione Clinton-Trump del 2016 e, come già sottolineato, hanno ottenuto totali significativi in “stati in bilico” come il Wisconsin e il Michigan. I Verdi sono attualmente in lista in 20 Stati, mentre West non ha ancora formalizzato la sua candidatura.

Hawkins ha sottolineato che una candidatura congiunta Stein-West è una possibilità. Un ticket Stein-West che sostenga la fine della guerra a Gaza e la solidarietà con i palestinesi, l’assistenza sanitaria per tutti, i diritti riproduttivi e una “giusta transizione” da un’economia militarizzata e basata sui combustibili fossili offrirebbe un’alternativa di sinistra a milioni di persone stufe dello status quo di Biden/Trump.

Ma se un tale ticket rappresentasse una minaccia per Biden, la potenza di fuoco dei Democratici, attualmente diretta contro RFK Jr, verrebbe reindirizzata verso i Verdi e West. Una campagna sostenuta dai Verdi dovrà inoltre affrontare enormi pressioni dall’interno dell’ampia sinistra per ritirarsi di fronte alla minaccia di Trump o per concentrarsi solo su stati come la California o lo Utah, dove le vittorie o le sconfitte dei Democratici non sono in discussione.

Con l’avvicinarsi di novembre, il sostegno ai terzi partiti diminuirà. Ma se i Democratici riusciranno a soffocare qualsiasi alternativa allo status quo guidato da Biden dipende dall’indipendenza politica dai partiti capitalisti e dalla costruzione di movimenti nei luoghi di lavoro e nelle comunità per sfidare concretamente lo status quo.

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