Da metà gennaio 2023, diversi giorni di sciopero e le manifestazioni hanno riunito milioni di persone. Il movimento continua; in prospettiva, scioperi rinnovabili in diversi settori, uno sciopero generale a marzo. Ad animarle, per settimane, una intersindacale nazionale che riunisce CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires e FSU; un’intersindacale non rivoluzionaria, con una forte componente orientata al “dialogo sociale”. È il progetto di legge governativo sulle pensioni che motiva questa unità di azione sindacale sostanzialmente inedita.
di Christian Mahieux, della segretria nazionale SUD-Solidaires
Il disegno di legge del governo e dei padroni
Negli ultimi 30 anni gli attacchi alle pensioni sono stati numerosi: 1993, 1995, 2003, 2007, 2010, 2013, 2018, 2019, 2023. Obiettivi sempre uguali: farci lavorare di più, farci guadagnare di meno, distruggere un sistema di pensione che, se non è perfetto ai nostri occhi, è comunque vissuto dalla borghesia, come un’anomalia all’interno del sistema capitalista. Noi ritroviamo gli stessi strumenti attaccati negli anni: il calcolo delle pensioni effettuato su un maggior numero di anni di stipendio, proroga della durata dei contributi necessari per la pensione a rendimento intero, sconto, posticipo della maggiore età, abolizione di regimi più vantaggiosi del regime generale, l’espropriazione dei lavoratori dalla loro previdenza sociale e della loro pensione a beneficio dello stato, ecc. Per quanto riguarda la posizione molte pubblicazioni hanno analizzato il disegno di legge. Noi
possiamo riassumere i problemi come segue:
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Rinvio dell’età legale di pensionamento a 64 anni. Mentre 40 anni fa l’età legale era stata ridotta da 65 a 60 anni, le controriforme successive rischiano di portare a un passo indietro di mezzo secolo in termini sociali.
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Allungamento del periodo contributivo necessario per beneficiare di pensione completa: 43 anni. Questo è l’altro parametro determinante, perché non basta avere 64 anni, bisogna aver lavorato senza discontinuità nel corso della propria vita. Impossibile se teniamo conto dei possibili anni di studio, della precarietà dei contratti, il nero che è generalizzato e non dà luogo a contributi previdenziali, ecc.
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Mantenimento, o addirittura peggioramento, delle disuguaglianze di genere; Mantenimento,o aggravamento, delle disuguaglianze sociali, le persone più ricche possono ricorrere a regimi pensionistici complementari.
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Abolizione delle poche forme pensionistiche più favorevoli rispetto al sistema generale tuttora esistente: industrie elettriche e del gas, RATP, Banca di Francia. Uno di questi regimi emblematici è stato quello di ferrovieri e ferroviere (SNCF), la sua fine è già stata programmata da una legge del 2018.
E’ davvero la fine dei regimi pensionistici speciali?
In Francia, l’Assemblea nazionale e il Senato decidono le leggi applicabili alla popolazione. A tutta la popolazione? NO ! Non necessariamente a quelli che le impongono agli altri! Così, senatrici e i senatori percepiscono circa 2.190 euro netti di pensionamento dopo… un solo mandato di 6 anni. I servizi del Senato stimano il pensionamento medio di questi pilastri della Repubblica (!) a 3.856 euro netti. “I nostri contributi sono pari a circa il 15% della nostra indennità parlamentare” cercano di giustificarsi senatori e senatrici. Certamente, ma la realtà è che hanno ancora un’indennità netta mensile di 5.569 euro… che si aggiunge, il più delle volte, a altro compenso. Dall’Assemblea nazionale, numerosi deputati danno lezioni al Senato: “abbiamo riformato il nostro regime, fate anche voi lo stesso”. Ma questi rappresentanti della Repubblica dimenticano di dare i dettagli della loro “riforma”: un/a deputato/a che ha servito un mandato di cinque anni percepisce, all’età di 62 anni, 684,38 euro netti di pensione mensile, specifica la sede dell’Assemblea nazionale. Alla fine di due mandati, beneficia quindi di una pensione di 1.368 euro netti, equivalente a quello che il resto della popolazione può rivendicare, dal momento che la Direzione della Ricerca, Studi, Valutazione e Statistica (organismo ufficiale) indica che la pensione media è attualmente a 1.400 euro netti.
Chi prende di mira i “rappresentanti eletti della Repubblica” può essere accusato di populismo, o addirittura di fare il gioco dell’estrema destra. Si obietterà, tuttavia, che la suddetta estrema destra gode allegramente dei vantaggi del sistema della democrazia cosiddetta rappresentativa, attraverso i suoi deputati, sia nell’Assemblea nazionale che al Parlamento europeo. Non c’è alcun motivo per non assumere la critica all’arricchimento e all’ipocrisia di chi, dal parlamento, detta le loro leggi. La questione delle pensioni dei parlamentari è una manifestazione di odio di classe, disprezzo di classe. Questo è e questo va evidenziato! Non solo, la minoranza degli sfruttatori e i loro servi si rimpinzano sempre di più, loro ci disprezzano al massimo grado. Loro parlano di lavoratori che stanno per andare in pensione dopo più di quattro decenni di sfruttamento, fatica, usura, salari da fame, ma hanno in tasca una pensione equivalente alla nostra dopo uno o due mandati per cui… abbiamo solo chiesto loro di rappresentarci.
Manifestazioni molto grandi
L’intersindacale nazionale ha indetto diversi giorni di sciopero ed eventi: 19 gennaio, 31 gennaio, 7 febbraio, 11 febbraio, 16 febbraio. Ripercorriamo la battaglia delle cifre che tradizionalmente oppone, polizia, sindacati e media sul numero di manifestanti. Indipendentemente dal riferimento preso, la partecipazione è eccezionale, mai conosciuta da anni. Questo è il caso delle metropoli, ma anche in una moltitudine di città, ovunque in Francia. Noi troviamo lì una caratteristica del movimento dei Gilet Gialli: un’ancoraggio locale forte, in tutte le regioni. Così, il 31 gennaio, il numero di manifestanti a Tarbes rapportati alla scala di Parigi ne avrebbero rappresentati 6 milioni di persone ; c’erano 5.200 persone nelle strade di Saint-Gaudens, comune di 11.500 abitanti. Potremmo moltiplicare gli esempi. In totale, un milione, due milioni, due milioni e mezzo, non è più indispensabile. Le proteste sono su una scala senza precedenti da molto tempo; nessuno può negarlo e nessuno lo nega.
Ma cosa fare tra due eventi?
Questa è la domanda che molte squadre di militanti si stanno ponendo, sinceramente. Da qui la serie di eventi serali, noti come “fiaccolate”; da qui le discussioni e talvolta le iniziative riguardanti le casse di sostegno allo sciopero; da qui le “Assemblee Generali” delle città che riuniscono attivisti e attiviste di varie organizzazioni. Un susseguirsi di manifestazioni, non abbastanza per vincere. Perché non bloccano l’economia ma anche perché riuniscono persone che sono già mobilitate, in misura diversa a gradi diversi.
Tuttavia, per far pendere a nostro favore gli equilibri di forza, occorre conquistare chi, oggi, non ha ancora aderito al movimento collettivo di protesta: dipendenti di aziende in cui lo sciopero non è ancora all’ordine del giorno, quelli che sono nei settori dove pensano di “non poter” scioperare; dove è necessario sentire il sostegno concreto delle squadre sindacali della grande azienda accanto, a volte sullo stesso sito (subappalto), dove c’è bisogno di fare affidamento sullo scambio con le squadre sindacali territoriali e della loro presenza. La distribuzione di volantini e dibattiti organizzati dai sindacati CGT territoriale, Solidaires o altri sono essenziali per costruire uno sciopero nazionale interprofessionale.
In “Come occuparsi tra due date di mobilitazione?“, Baptiste sviluppa in modo fortemente rilevante questo argomento in questo stesso numero de “La Révolution prolétarienne”. Va aggiunto che il supporto per scioperi esistenti è ovvio. In Ile-de-France, ad esempio, decine di lavoratori delle filiali di La Poste (Chronopost, ad Alfortville nella Val-de-Marne; DPD a Coudray Montceaux, nell’Essonne) sono in sciopero da più di quindici mesi. Sono presenti a tutti gli eventi. parigini dal 19 gennaio; al contrario, troppo poche squadre dei sindacati sono presenti alle loro manifestazioni e picchetti, o li invitano nella propria azienda, o ai cancelli di essa, al fine di rendere popolare lo sciopero. Quindici mesi di lotta sono una cosa insolita, ma in tutte le regioni ci sono scioperi su cui fare affidamento e che occorre appoggiare!
Anche evidenziare il ritardo tra due date nazionali è un tema ricorrente per certe correnti politiche, che soprattutto vogliono attrarre attraverso discorsi e scritti che imitano il radicalismo. Spesso gira intorno a “è ora che dobbiamo indire uno sciopero generale”, “non aspettiamo l’intersindacale”.
Ma esattamente, cosa fa l’intersindacale?
Ebbene, dal 12 febbraio l’intersindacale chiama i “lavoratori, giovani e pensionati a rafforzare il movimento paralizzando la Francia in tutti i settori il prossimo 7 marzo. L’intersindacale utilizzerà anche l’8marzo, giorno della lotta internazionale per i diritti delle donne, per evidenziare la grande ingiustizia sociale di questa riforma contro le donne”. Che cosa si può chiedere di più a un’intersindacale che riunisce CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires e FSU? Mentre l’unità di azione sindacale è un fattore determinante per la partecipazione di molti dipendenti, perché sprecare tempo ed energia per criticare un’intersindacale che offre una tale prospettiva per l’inizio di marzo? Meglio farne una leva; come nei settori professionali dove, per esempio alla SNCF, SUD-Rail e CGT mantengono il quadro intersindacale con UNSA e CFDT, senza che ciò impedisca la loro richiesta di uno sciopero a oltranza a partire dal 7 marzo.
“Rafforzare il movimento paralizzando la Francia in tutti i settori”
La questione dello sciopero a oltranza è dibattuta in più collettivi sindacali. È presente ben oltre i circoli che si accontentano di reclamarlo senza mai organizzarlo. Ma appunto, è bene organizzarlo. Certo, l’intersindacale nazionale non è unanime sull’argomento. Ma diverse organizzazioni sono su questa posizione ed è un progresso indiscutibile rispetto a quello che noi abbiamo sperimentato in passato, durante simili movimenti sociali. Bisogna fare affidamento sull’unità intersindacale che rifiuta la controriforma e ha avanzato appelli allo sciopero, “prolungato”, “ovunque è possibile”, “diffuso”, di diverse organizzazioni nazionali interprofessionali. Tanto più che, dall’11 febbraio, CGT, UNSA, FO, CGC, Solidaires hanno indetto uno sciopero prolungato alla RATP, dal 7 marzo; come CGT e SUD-Rail nel settore ferroviario; e la CGT per la raccolta dei rifiuti e dei rifiuti domestici; gli appelli settoriali dello stesso tipo iniziano a sommarsi. Ii sindacati della scuola (FSU, UNSA, FO, CFDT, CGT, CGT, SNALC, SUD), fanno appello a che il 7 marzo “scioperi massicci portino alla chiusura totale degli istituti universitari e organizzazioni di ricerca. L’intersindacale invita il personale a mobilitarsi in massa l’8 marzo”.
Nel 2019, molti hanno limitato il loro sciopero alle giornate nazionali di azione, e in buona parte del settore privato (e non solo), in esso non c’è stato nemmeno un vero tentativo di colpire. Dobbiamo superare questo, senza perdere tempo a discutere di “sciopero per procura”, senza organizzarlo e quelli che pubblicizzano casse per scioperare piuttosto che organizzare lo sciopero. Al contrario, da che è stata resa pubblica la prospettiva del 7 marzo e visto il clima generale, le squadre sindacali dovrebbero dedicare il proprio tempo esclusivamente alla costruzione dello sciopero stesso: nella loro costituzione prima di tutto e anche intorno, nel quadro interprofessionale locale. “Fermiamo tutto, il lavoro il più possibile (sciopero, ore di distacco, riposi, …), riunioni di organismi, e organizziamo assemblee generali, volantinaggi mirati, meeting informaivi, casse di sciopero, prendiamoci il tempo per fare il giro delle aziende vicine offrendo aiuto eventualmente e il coordinamento con le organizzazioni sindacali dello stesso settore professionale. Strumenti sindacali (federazioni, sindacati dipartimentali e locali) vengono utilizzati per questo, i contatti orizzontali li fanno vivere”. Se si vuole uno sciopero generale, non puoi limitarti alla tua azienda o al tuo settore professionale. I collegamenti interprofessionali locali sono essenziali per vincere.
Ma qui è in gioco anche il lungo termine: periodi come quelli che stiamo vivendo da gennaio portano gente nuova al sindacalismo, i contatti sono numerosissimi, le adesioni stanno aumentando… Bisogna strutturare tutto questo, creare o rivitalizzare i sindacati interprofessionali locali; anche qui possiamo citare ciò che è stato fatto da varie squadre militanti: mangiare un boccone insieme, prima o dopo le manifestazioni; stabilire un programma per la distribuzione dei volantini a alcune aziende selezionate; formalizzare le designazioni di rappresentanti sindacali; rafforzare le sedi sindacali interprofessionali… Insomma, per essere sicuri di essere, in futuro, più efficaci e quindi più utili ai lavoratori in difesa delle loro rivendicazioni immediate e creare le condizioni per l’emancipazione sociale.
Costruire lo sciopero significa moltiplicare le discussioni sul luogo di lavoro. È da questo che possono esistere le assemblee generali che riuniscono i lavoratori dello stesso sito, lì dove si incontrano i colleghi di tutti i giorni. Fai parlare tutti, tutti sono essenziali; ciò presuppone che i dipendenti siano presenti, abbiano fiducia nell’esprimersi. Le “Assemblee Generali” organizzate su ambiti troppo estesi non aiutano la costruzione democratica dello sciopero.
Dalle pensioni alla lotta anticapitalista
Il tema delle pensioni illustra come collegare la difesa delle richieste immediate e le alternative al sistema capitalista. L’immediato è il rifiuto della controriforma. È giusto denunciare il peggioramento dell’età pensionabile, per rifiutare un aumento del numero di anni di contributi per avere una pensione completa, per richiedere un vero e proprio registro dei lavori pesanti, per esigere misure verso la parità tra donne e uomini, ecc. Tutto questo si riferisce alla distribuzione della ricchezza; molti cartelli, slogan, striscioni, manifesti, volantini, evidenziano le centinaia di miliardi degli azionisti, l’evasione fiscale, ecc. Da qui due domande: “Chi crea queste ricchezze?” e “Come vengono distribuite?”; arriviamo a: “Chi li produce con il proprio lavoro ne ha solo una piccola parte” mentre “Sono monopolizzati dagli azionisti, dai padroni, cioè da quelli che non li producono”. Non vuol dire che gli scandalosi profitti capitalisti debbano finanziare le nostre pensioni, visto che sono i nostri contributi a farlo, il che significa che dovremmo gestirli noi stessi, senza i padroni, senza lo stato. Ma a livello globale, i capitalisti ci sono costati cari! Questo rafforza la credibilità nella ricerca di alternative.
L’importo delle pensioni è un altro esempio. Lo scandalo delle pensioni da miseria è ampiamente denunciato, così come la falsa promessa di rivalutazione che contiene la controriforma. Giusto. Altre domande facilmente sorgono: “L’importo della pensione deve essere indicizzato ai migliori stipendi percepiti durante il lavoro: è una richiesta giusta e comprensibile; ma una volta in pensione, come si giustificano le differenze di “remunerazione” poiché in pensione tutti fanno la stessa cosa: il ragionamento funziona (o, più esattamente, non funziona quando prendiamo questo nella sua definizione legata al salario?)”. Certo, questo permette di tornare alla nozione di salario differito, e quindi sullo scandalo della statalizzazione del sistema pensionistico, la confisca da parte dello stato di parte del compenso per il nostro lavoro. Ma non si deve insistere troppo su questo problema delle differenze tra i livelli delle pensioni di vecchiaia dato che tutto ciò ci riporta alla discussione sul vero fondamento della gerarchia dei salari.
Nelle manifestazioni ci sono molti slogan che denunciano la natura del lavoro subordinato, quelli che sottolineano la perdita di significato del lavoro, la discrepanza tra questa controriforma e le questioni sociali ed ecologiche, il ruolo che i pensionati svolgono nella società… Un recente numero della rivista Cerises si chiedeva: “Non c’è in queste molteplici espressioni molto più che il solo rifiuto dell’allungamento di orario di lavoro che dovrebbe essere qualificato come subordinato? Non ce n’è già l’espressione implicita del rifiuto del ruolo degli azionisti, quello di un valore economico fissato solo attraverso il mercato, e infine il rifiuto a considerare come unico lavoro utile l’attività di valorizzazione del capitale? Tra le condizioni che permettono di pensare alla vittoria del movimento e alla resa del governo, l’esplicitazione di tutti questi elementi implicitamente o esplicitamente contenuti nelle mobilitazioni e nelle loro espressioni non è uno dei più importanti? […] non è urgente e possibile prolungare visibilmente lo stato d’animo della maggioranza delle donne e uomini, esplorando insieme altre prospettive, altri scambi sul lavoro e sull’attività, sull’urgenza di liberarsi dall’unica valutazione del capitale, per discutere l’uscita dalla subordinazione, l’urgenza di porre fine agli azionisti e alla loro onnipotenza, Torniamo alla differenza tra contributi e tasse, sullo stipendio socializzato, sull’organizzazione e il controllo di tutto l’orario di lavoro, della vita, ecc”.
“La Secu, la previdenza sociale è nostra” gridiamo nelle manifestazioni. Certo, ci è stata rubata molto tempo fa. Se davvero questo era il caso in passato, chi oggi pensa che la Sécu, quindi la pensione, ma non solo la pensione, sia gestita da chi, con il loro contributo, la fanno esistere, cioè i lavoratori e le lavoratrici? Tuttavia, cosa potrebbe esserci di più semplice da progettare? Il rapporto presentato da Henri Raynaud [allora segretario generale della CGT, ndt] al Comitato Confederale Nazionale della CGT nel gennaio 1947, insistette su tre questioni: un fondo unico, un contributo a tasso unico interprofessionale, gestione dei lavoratori senza capi e senza controllo statale. I tempi di lotta sono momenti in cui la consapevolezza dello sfruttamento e dell’oppressione accelera. È tanto più importante avanzare affermazioni che fanno portare alla luce le contraddizioni del sistema capitalista, la sua incapacità di riformarsi fino al punto di soddisfare i bisogni collettivi e per garantire il futuro del pianeta. Le discussioni tra gli scioperanti, i dibattiti nelle assemblee generali bastano a far emergere questo tipo di pensieri e molti altri. A partire da lì, è più facile fare capire che il futuro delle pensioni non dipende da questioni tecniche, ma che è legato alla messa in discussione del sistema capitalista.
Il sociale fa la politica
Altra lezione del periodo: come in ogni momento di forti lotte collettive della nostra classe sociale, l’estrema destra non è più al centro delle discussioni. Organizzare la lotta di classe, infatti, è il modo migliore per farla tornare ridimensionarla. Da qui il tentativo del partito di Marine Le Pen di tornare al centro del panorama mediatico con la mozione di sfiducia presentata all’Assemblea nazionale. Per quanto riguarda la sinistra, essa rincorre il movimento; i suoi leader riprendono gli slogan sindacali, ma tutti sanno che non sono stati loro a consentire al movimento attuale e alle sue prospettive di esistere. Ma lasciamoli festeggiare la grande vittoria parlamentare di essere riusciti a non far approvare l’articolo 2 della legge, vale a dire il ritiro dell’indice-senior… cosa che non interessa nessuno!
Bisogna insistere: il fare sindacato è fare politica, non significa mettersi al servizio di frazioni partitiche e/o filosofiche, per quanto rispettabili esse siano. Il sindacalismo riunisce coloro che decidono di farlo per organizzarsi insieme sulla sola base dell’appartenenza alla stessa classe sociale. Insieme, agiscono per difendere le loro esigenze immediate e per adoperarsi per una radicale trasformazione della società. L’oppressione legata al sistema capitalista, l’oppressione economica risultante dai rapporti di produzione e dal diritto di proprietà, è comune a tutti quelli “in basso”. Qui è dove si gioca lo scontro di classe. Ciò non impedisce, anzi, di considerare che ci sono altre forme di oppressione, di cui non si tratta di stabilire una gerarchia, né tra di loro né nei confronti dell’oppressione economica. Le lotte contro l’oppressione e per l’uguaglianza, la libertà, ecc anche politica. La distribuzione dei ruoli che richiede che il partito si occupa di politica e sindacalismo del sociale è una strada senza uscita. I sindacati sono, o almeno dovrebbero essere, lo strumento di autorganizzazione della classe operaia.
Dalla lotta anticapitalista e femminista alle pensioni
La controriforma attacca la nostra classe sociale. Serve gli interessi di datori di lavoro e azionisti. Quasi tutti lo capiscono. Inutile sprecare troppo tempo ed energia discutendo i dettagli. Viene dal progetto sociale in questione. Per molti giovani, “la pensione, è molto lontana”, alcuni dicono “la pensione, non ce l’avremo”. Ma quello che capiscono è che dopo il pensionamento, perché non potrebbe accadere la stessa cosa con l’assistenza sanitaria ? E con le ferie pagate? E con il contratto di lavoro ? E con il salario?
Occorre fare il collegamento tra rivendicazioni più locali che si trascinano da mesi o da anni, la bocciatura della controriforma sulle pensioni e la possibilità di un altro futuro. Se febbraio è stato segnato dalle vacanze scolastiche e studentesche, la grande partecipazione dei giovani alle manifestazioni interprofessionali, ma anche alcune azioni all’interno delle scuole superiori e delle università sono degne di nota. Per quanto riguarda la gioventù, è degno di nota il fatto che il presidente della Repubblica abbia preferito rimandare quello che è uno dei suoi cavalli di battaglia da anni. Già a gennaio Macron voleva annunciare la “generalizzazione” dello SNU, il servizio nazionale universale [e una sorta di “servizio civile-militare” rivolto a tutti i giovani francesi dai 16 ai 25 anni, ndt]. Ha fatto marcia indietro. Oggi, la stampa parla di marzo; il Segretario di Stato incaricato del fascicolo evoca una decisione a giugno. Il governo non abbandona il suo progetto di schiavitù militarista della gioventù. Ma, data la mobilitazione dei giovani, nell’ambito del movimento contro il disegno di legge sulle pensioni e anche per il miglioramento delle loro condizioni di studio e la vita, teme che questo annuncio di generalizzazione e/o di obbligo del Servizio Nazionale Universale possa essere l’innesco per un movimento di protesta ancora più forte!
L’inizio di uno sciopero prolungato il 7 marzo intralcia la giornata internazionale dei diritti delle donne del’8 marzo? Al contrario, questo deve permettere di ricollocare chiaramente questo giorno, ma più in generale le lotte femministe, in un quadro anticapitalista, in connessione con la lotta di classe. Non sarà “naturale” anche negli ambienti sindacali; ma è una questione importante fare questi collegamenti, per non considerare secondari i diversi sistemi di oppressione, compreso il patriarcato; al contrario occorre inscrivere le lotte che si oppongono ad essi in quella per l’emancipazione generale. Anche qui, l’esempio è dato dai collettivi militanti che, fin d’ora, si organizzano tournée e interventi sindacali nei settori di lavoro più femminizzati. Ricordiamo che lo sciopero del 1995 in Francia fu avviato il 24 novembre da sezioni sindacali che hanno organizzato assemblee generali e lancito lo sciopero prolungato, ma che il giorno dopo, il 25, si tenne una grandissima manifestazione femminista, per i diritti delle donne, le loro rivendicazioni, le loro libertà.
Perché il marzo 2023 sia meglio del 1995!
Lo sciopero del 1995 è stato il punto di riferimento per un quarto di secolo, ogni volta che nasceva un movimento sociale di di una certa ampiezza. Era importante sotto più di un aspetto. Ma stiamo attenti a non trasformarlo in un mito, cosa che, alla fine spaventerebbe i più giovani, persuasi di non essere all’altezza, di non essere in grado di farlo “altrettanto bene”. Lo sciopero del 2023 appartiene a quelli e quelle che lo faranno!