Archivi tag: solidaires

Francia, sempre più teso il confronto tra Mélenchon e il PCF


Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei


di Fabrizio Burattini


Forse non è noto a tutte/i, ma il riferimento francese del Partito della Rifondazione comunista non è “La France Insoumise” di Jean-Luc Mélenchon che del “Partito della Sinistra Europea” è solo “osservatore”, ma è il Partito Comunista Francese, che ne è ufficialmente membro.


Allora facciamo un po’ di chiarezza.


Fabien Roussel

E’ di dominio pubblico la tensione che regna da anni tra il partito di Mélenchon e il PCF diretto dal segretario Fabien Roussel e che si è acuita dopo il successo del primo nelle elezioni presidenziali di aprile 2022 (21,95%) e il magro risultato raccolto dal secondo (2,28%).

Tanto più se si tiene conto che una presentazione unitaria avrebbe consentito a Mélenchon di scavalcare Marine Le Pen (23,15%) estromettendola dal ballottaggio.


Ma la tensione non si basa solo su quell’occasione mancata. Roussel non digerisce il fatto che la crisi verticale del Partito socialista francese e la sua quasi sparizione sia stata capitalizzata dalla France Insoumise e non dal suo partito. Così, la presa di distanza del PCF da Mélenchon e dal resto della sinistra è diventata il tratto distintivo della politica dei comunisti d’Oltralpe da qualche tempo in qua.


Già durante il grande movimento sindacale e di massa contro la riforma delle pensioni il PCF aveva duramente stigmatizzato quei manifestanti giovani e non solo che reagivano duramente alle cariche della polizia. Si era dissociato dalle importanti manifestazioni spontanee che si sono prodotte quando il presidente Macron ha deciso di ignorare la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini e ha fatto adottare per decreto e senza votazione parlamentare la controriforma previdenziale.


In questi giorni, la sinistra nella sua quasi totalità sta costruendo la manifestazione del 23 settembre (appuntamento ore 14,30 dalla Gare du Nord fino alla Bastiglia) contro la violenza della polizia, il razzismo sistemico e per le libertà civili, a cui hanno aderito 160 organizzazioni (tra le quali LFI e il NPA, la CGT, FSU e SUD-Solidaires) ma dalla quale il PCF ha preso le distanze negando la sua adesione. Solo un paio di federazioni giovanili del PCF (delle Bouches du Rhône e della Loira) hanno formalmente aderito.

Il leader del PCF Fabien Roussel ha dichiarato: “Non parteciperò perché non me la sento di manifestare contro la polizia”; ha ammesso, bontà sua, dopo le decine di omicidi, spesso a sangue freddo, perpetrati da agenti contro giovani delle periferie, che “il razzismo esiste tra gli agenti di polizia, ma questa manifestazione sta prendendo una piega che non condivido, ed è per questo che non sarò presente”.


E non basta la questione della polizia a creare un fossato crescente tra il PCF e il resto della sinistra francese. Il segretario del PCF, senza considerare il clima islamofobico che il presidente e l’estrema destra stanno creando da tempo nel paese, ha espresso il suo assenso verso la decisione del governo Macron di vietare alle ragazze di indossare il velo nelle scuole.


Come se non bastasse, il segretario del PCF ha rilanciato la posizione del partito (tradizionale, ma messa in secondo piano negli ultimi anni) favorevole all’energia nucleare. “Il nucleare”, secondo lui, “fa risparmiare, è la questione centrale della ricostruzione della Francia, della nostra industria e della nostra lotta per un clima migliore”.


Per evitare di apparire inerte e filogovernativo, Roussel in alternativa alla manifestazione del 23 ha affermato di voler dare voce alla “rabbia dei francesi” e ha lanciato la proposta di “assediare le prefetture” in tutto il paese. Alle critiche di Jean-Luc Mélenchon, per un’iniziativa che ha ironicamente definito “violenta” e “personale”, visto che non è stata “discussa da nessuna parte, nemmeno nel PCF”, Fabien Roussel, altrettanto ironicamente, si è chiesto se Mélenchon fosse diventato “moderato politicamente” oppure si fosse “rammollito in testa”, alludendo evidentemente all’età del leader di LFI (72 anni).


Tanto che l’eurodeputata verde di EELV, presente al dibattito nel quale Roussel si è espresso così, ha dovuto commentare: “Si è fatto prendere un po’ la mano”.


Naturalmente Roussel (54 anni), che è molto più giovane di Mélenchon, guarda lontano, conoscendo le debolezze e le fratture interne alla NUPES e alla stessa LFI e constatando che, almeno per il momento, all’interno di quella formazione non emerge nessuna figura di ricambio per una leadership che difficilmente potrebbe ricandidarsi nelle presidenziali del 2027 quando Mélenchon avrà 76 anni.


Nelle sue dichiarazioni di qualche giorno fa al quotidiano Libération, Roussel ha detto: “È una questione di progetto per la Francia. Se mi trovassi ad affrontare Marine Le Pen al secondo turno, penso addirittura di poter essere in vantaggio… Forse alcuni elettori di destra voterebbero per me. Cosa che non farebbero con un Insoumis”.

Ecco, questo è il “partito fratello” di Rifondazione in Francia. Il PRC si appresta nel fine settimana (21-24 settembre) a tenere la sua festa nazionale a Bologna (Parco Cevenini, Via Domenico Biancolelli, Borgo Panigale). Chiedo e mi chiedo: “Che ne pensano i militanti e i dirigenti del PRC di queste posizioni del loro omologo transalpino?”.

Francia, un primo bilancio degli scioperi e delle manifestazioni

di Christian Mahieuxferroviere in pensione, sindacalista SUD-Rail [Union syndicale Solidaires], attivo nella Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta, membro delle redazioni di Cerises la coopérative, La Révolution prolétarienne, Les utopiques, cooperatore delle edizioni Syllepseda A l’encontre, 13 marzo 2023

Questo testo amplia il contributo del 21 febbraio 2023. Per tutto ciò che riguarda il contesto, le riflessioni sulla costruzione di un equilibrio di potere, i primi insegnamenti da trarre dal movimento in corso, è consigliabile fare riferimento ad esso, con l’idea di non ripetere le stesse cose a distanza di poche settimane. Detto questo, proporre qui un aggiornamento non è utile.

La legge sarà approvata

Il Senato ha approvato una versione della legge. Mercoledì 15 marzo, la commissione congiunta del Senato e dell’Assemblea nazionale si riunirà per adottare una versione congiunta che potrà poi essere sottoposta ai deputati per l’adozione definitiva giovedì 16 marzo. Il governo conta sulla sua maggioranza relativa e sull’ala destra dell’Assemblea nazionale. Non è una sorpresa. Da qualche settimana, la “rappresentanza nazionale” sta… recitando, agendo; anche qui non c’è da sorprendersi. L’opposizione ha agito per ritardare l’adozione del testo, il governo ha fatto lo stesso per accelerarne la convalida. Ciascun gruppo si è finto offeso per i mezzi usati dall’altra parte: moltiplicazione degli emendamenti da una parte, voto bloccato dall’altra. Questo è solo il normale gioco istituzionale, come previsto dalla Costituzione della Quinta Repubblica francese, una repubblica al servizio della borghesia, costruita sul massacro dei Comunardi del 1871.

La lezione principale della sequenza parlamentare è che segna, ancora una volta, il divario tra i “rappresentanti del popolo” e… il popolo. In tutta legalità, nel massimo rispetto delle regole della cosiddetta democrazia rappresentativa, il parlamento sta per adottare un progetto di legge respinto dalla stragrande maggioranza della popolazione. I movimenti, le organizzazioni e i collettivi che si dichiarano socialmente emancipatori devono passare all’attacco su questo tema.

Dobbiamo affrontare la sfida del cosiddetto gioco democratico, che nega le basi stesse della democrazia. Il sistema in vigore è concepito per proteggere gli interessi dei padroni, degli azionisti, dei profittatori, dei capitalisti; è un’illusione pensare che gli strumenti messi in atto per perpetuarlo consentano di superarlo! È inutile ripetere “agendo così, Macron sta spianando la strada al Rassemblement national di Marine Le Pen”. Sì, l’estrema destra ne beneficerà… se non ci saranno alternative sostenute pubblicamente. Il nostro campo sociale, quello di coloro che non vivono dello sfruttamento altrui, deve riprendere l’offensiva in termini di proposte per l’organizzazione di una società autogestita, egualitaria, ecologica… democratica, se torniamo al vero significato della parola.

Le manifestazioni restano molto forti

Dal 19 gennaio si sono susseguite le giornate nazionali di manifestazione: 19 gennaio, 31 gennaio, 7 febbraio, 11 febbraio, 16 febbraio, 7 marzo, 8 marzo, 11 marzo. La competizione tra “letture della polizia e del governo” e “letture della CGT e dei sindacati” è irrilevante. Ciò che conta è che raccolgono molte persone, anche se la cosa va avanti da due mesi. È la traduzione, nelle strade, del massiccio rifiuto della legge da parte della massa della popolazione.

Non sono sufficienti

Il livello di forza necessario per la vittoria può essere valutato solo caso per caso, in un determinato momento. Per quanto siano importanti il dibattito e la lotta sulla legge pensionistica, ci troviamo di fronte a un’offensiva dei capitalisti e dei loro rappresentanti che va oltre questo quadro. C’è il desiderio di spazzare via il movimento sindacale, senza distinzioni. Da qui il disprezzo del governo per il movimento intersindacale nel suo complesso, ma anche nella sua diversità. Che il governo ignori Solidaires è normale, che si opponga alla CGT anche; che disprezzi la CFDT lo è molto meno. Qualunque sia l’esito dell’attuale movimento, c’è un grande interesse per l’unità dell’azione sindacale, ma anche per i momenti di riflessione intersindacale. Ciò sarà necessario di fronte alla volontà di distruggere il sindacalismo.

Rispetto alle precedenti grandi lotte nel paese, c’è uno sviluppo che va tenuto in considerazione: quello della casta politica al potere. Per i tecnocrati come Macron e i suoi ministri, il governo è solo un momento di una vita professionale fatta di consulenze per le imprese, consigli di amministrazione, gestione di aziende pubbliche, ecc. Non si preoccupano dell’arresto della loro “carriera politica” che può derivare da una sconfitta sociale. Da qui il loro cinismo di fronte alla massiccia bocciatura della loro proposta di legge. Inoltre, lo stesso Macron è al suo secondo mandato e non è rieleggibile.

Lo sciopero

La sfida era quella di costruire lo sciopero tra la metà di febbraio e il 7 marzo, data scelta dall’intersindacale CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires, FSU per “bloccare la Francia”. Anche su questo punto possiamo fare riferimento all’articolo del 21 febbraio. Alla vigilia di questa nuova settimana, a quasi due mesi dalla prima giornata nazionale interprofessionale organizzata dall’intersindacale, la situazione è la seguente: dal 7 marzo è in corso un movimento di sciopero a oltranza nelle ferrovie, nelle raffinerie, in parte del settore energetico e dei rifiuti. 

Non si tratta di rendere invisibile ciò che esiste localmente in questa o quella azienda, né di negare che in alcuni settori gli attivisti continuano a scioperare (c’è ad esempio uno sciopero dei postini senza contratto di Chronopost e di DPD nella regione parigina, che dura corso dal… novembre 2021). 

“I ferrovieri vi parlano”

Tutti questi elementi devono essere collettivizzati nelle riunioni sindacali intersettoriali, a livello locale e nazionale. Ma questo non è sufficiente. Soprattutto i pochi settori in cui lo sciopero ha un carattere di massa a livello nazionale non devono essere la soluzione da proporre, perché lo sciopero non è generalizzato. Questo è il senso dell’appello lanciato questo fine settimana dalla federazione sindacale SUD-Rail.

Dove dobbiamo andare?

La priorità è rafforzare lo sciopero nei settori in cui già esiste su scala di massa, generalizzarlo coinvolgendo altre aziende e servizi. È lì, azienda per azienda, servizio per servizio, che si vince e si costruisce. Le assemblee generali, il più vicino possibile ai luoghi di lavoro, consentono al massimo numero di scioperanti di prendere in mano il proprio sciopero. Sono meno spettacolari ma più efficaci delle “Assemblee generali” intersettoriali nelle città, quando non si basano su scioperi di massa nelle aziende e nei servizi.

L’intersindacale dovrebbe indire uno sciopero generale? Sì, ma se l’obiettivo è costruire lo sciopero generale, non solo dire che è stato indetto, cosa è più utile: un appello con le due parole desiderate, da una o due organizzazioni soltanto? Oppure un appello a “fermare il paese” subito seguito da un altro a “proseguire e amplificare il movimento” come hanno fatto insieme CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires, FSU?

Anche nei settori in sciopero, notiamo un declino dell’auto-organizzazione, un indebolimento della pratica delle assemblee generali degli scioperanti. Non si tratta di nasconderlo o di accontentarsi. È un problema che riguarda il sindacalismo che sostiene l’emancipazione sociale, la rottura con il capitalismo, l’autogestione e la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Anche la debolezza degli strumenti locali interprofessionali viene a galla, come accade in ogni movimento sociale su larga scala; dobbiamo cercare di trarne insegnamento, in linea con le osservazioni, se vogliamo che le cose cambino.

Ma per il momento non abbiamo ancora fatto un bilancio: la lotta continua!

Francia, attualità e prospettive degli scioperi

Da metà gennaio 2023, diversi giorni di sciopero e le manifestazioni hanno riunito milioni di persone. Il movimento continua; in prospettiva, scioperi rinnovabili in diversi settori, uno sciopero generale a marzo. Ad animarle, per settimane, una intersindacale nazionale che riunisce CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires e FSU; un’intersindacale non rivoluzionaria, con una forte componente orientata al “dialogo sociale”. È il progetto di legge governativo sulle pensioni che motiva questa unità di azione sindacale sostanzialmente inedita.


di Christian Mahieux, della segretria nazionale SUD-Solidaires


Il disegno di legge del governo e dei padroni


Negli ultimi 30 anni gli attacchi alle pensioni sono stati numerosi: 1993, 1995, 2003, 2007, 2010, 2013, 2018, 2019, 2023. Obiettivi sempre uguali: farci lavorare di più, farci guadagnare di meno, distruggere un sistema di pensione che, se non è perfetto ai nostri occhi, è comunque vissuto dalla borghesia, come un’anomalia all’interno del sistema capitalista. Noi ritroviamo gli stessi strumenti attaccati negli anni: il calcolo delle pensioni effettuato su un maggior numero di anni di stipendio, proroga della durata dei contributi necessari per la pensione a rendimento intero, sconto, posticipo della maggiore età, abolizione di regimi più vantaggiosi del regime generale, l’espropriazione dei lavoratori dalla loro previdenza sociale e della loro pensione a beneficio dello stato, ecc. Per quanto riguarda la posizione molte pubblicazioni hanno analizzato il disegno di legge. Noi
possiamo riassumere i problemi come segue:

  • Rinvio dell’età legale di pensionamento a 64 anni. Mentre 40 anni fa l’età legale era stata ridotta da 65 a 60 anni, le controriforme successive rischiano di portare a un passo indietro di mezzo secolo in termini sociali.

  • Allungamento del periodo contributivo necessario per beneficiare di pensione completa: 43 anni. Questo è l’altro parametro determinante, perché non basta avere 64 anni, bisogna aver lavorato senza discontinuità nel corso della propria vita. Impossibile se teniamo conto dei possibili anni di studio, della precarietà dei contratti, il nero che è generalizzato e non dà luogo a contributi previdenziali, ecc.

  • Mantenimento, o addirittura peggioramento, delle disuguaglianze di genere; Mantenimento,o aggravamento, delle disuguaglianze sociali, le persone più ricche possono ricorrere a regimi pensionistici complementari.

  • Abolizione delle poche forme pensionistiche più favorevoli rispetto al sistema generale tuttora esistente: industrie elettriche e del gas, RATP, Banca di Francia. Uno di questi regimi emblematici è stato quello di ferrovieri e ferroviere (SNCF), la sua fine è già stata programmata da una legge del 2018.


E’ davvero la fine dei regimi pensionistici speciali?


In Francia, l’Assemblea nazionale e il Senato decidono le leggi applicabili alla popolazione. A tutta la popolazione? NO ! Non necessariamente a quelli che le impongono agli altri! Così, senatrici e i senatori percepiscono circa 2.190 euro netti di pensionamento dopo… un solo mandato di 6 anni. I servizi del Senato stimano il pensionamento medio di questi pilastri della Repubblica (!) a 3.856 euro netti. “I nostri contributi sono pari a circa il 15% della nostra indennità parlamentare” cercano di giustificarsi senatori e senatrici. Certamente, ma la realtà è che hanno ancora un’indennità netta mensile di 5.569 euro… che si aggiunge, il più delle volte, a altro compenso. Dall’Assemblea nazionale, numerosi deputati danno lezioni al Senato: “abbiamo riformato il nostro regime, fate anche voi lo stesso”. Ma questi rappresentanti della Repubblica dimenticano di dare i dettagli della loro “riforma”: un/a deputato/a che ha servito un mandato di cinque anni percepisce, all’età di 62 anni, 684,38 euro netti di pensione mensile, specifica la sede dell’Assemblea nazionale. Alla fine di due mandati, beneficia quindi di una pensione di 1.368 euro netti, equivalente a quello che il resto della popolazione può rivendicare, dal momento che la Direzione della Ricerca, Studi, Valutazione e Statistica (organismo ufficiale) indica che la pensione media è attualmente a 1.400 euro netti.


Chi prende di mira i “rappresentanti eletti della Repubblica” può essere accusato di populismo, o addirittura di fare il gioco dell’estrema destra. Si obietterà, tuttavia, che la suddetta estrema destra gode allegramente dei vantaggi del sistema della democrazia cosiddetta rappresentativa, attraverso i suoi deputati, sia nell’Assemblea nazionale che al Parlamento europeo. Non c’è alcun motivo per non assumere la critica all’arricchimento e all’ipocrisia di chi, dal parlamento, detta le loro leggi. La questione delle pensioni dei parlamentari è una manifestazione di odio di classe, disprezzo di classe. Questo è e questo va evidenziato! Non solo, la minoranza degli sfruttatori e i loro servi si rimpinzano sempre di più, loro ci disprezzano al massimo grado. Loro parlano di lavoratori che stanno per andare in pensione dopo più di quattro decenni di sfruttamento, fatica, usura, salari da fame, ma hanno in tasca una pensione equivalente alla nostra dopo uno o due mandati per cui… abbiamo solo chiesto loro di rappresentarci.


Manifestazioni molto grandi


L’intersindacale nazionale ha indetto diversi giorni di sciopero ed eventi: 19 gennaio, 31 gennaio, 7 febbraio, 11 febbraio, 16 febbraio. Ripercorriamo la battaglia delle cifre che tradizionalmente oppone, polizia, sindacati e media sul numero di manifestanti. Indipendentemente dal riferimento preso, la partecipazione è eccezionale, mai conosciuta da anni. Questo è il caso delle metropoli, ma anche in una moltitudine di città, ovunque in Francia. Noi troviamo lì una caratteristica del movimento dei Gilet Gialli: un’ancoraggio locale forte, in tutte le regioni. Così, il 31 gennaio, il numero di manifestanti a Tarbes rapportati alla scala di Parigi ne avrebbero rappresentati 6 milioni di persone ; c’erano 5.200 persone nelle strade di Saint-Gaudens, comune di 11.500 abitanti. Potremmo moltiplicare gli esempi. In totale, un milione, due milioni, due milioni e mezzo, non è più indispensabile. Le proteste sono su una scala senza precedenti da molto tempo; nessuno può negarlo e nessuno lo nega.


Ma cosa fare tra due eventi?


Questa è la domanda che molte squadre di militanti si stanno ponendo, sinceramente. Da qui la serie di eventi serali, noti come “fiaccolate”; da qui le discussioni e talvolta le iniziative riguardanti le casse di sostegno allo sciopero; da qui le “Assemblee Generali” delle città che riuniscono attivisti e attiviste di varie organizzazioni. Un susseguirsi di manifestazioni, non abbastanza per vincere. Perché non bloccano l’economia ma anche perché riuniscono persone che sono già mobilitate, in misura diversa a gradi diversi.


Tuttavia, per far pendere a nostro favore gli equilibri di forza, occorre conquistare chi, oggi, non ha ancora aderito al movimento collettivo di protesta: dipendenti di aziende in cui lo sciopero non è ancora all’ordine del giorno, quelli che sono nei settori dove pensano di “non poter” scioperare; dove è necessario sentire il sostegno concreto delle squadre sindacali della grande azienda accanto, a volte sullo stesso sito (subappalto), dove c’è bisogno di fare affidamento sullo scambio con le squadre sindacali territoriali e della loro presenza. La distribuzione di volantini e dibattiti organizzati dai sindacati CGT territoriale, Solidaires o altri sono essenziali per costruire uno sciopero nazionale interprofessionale.


In “Come occuparsi tra due date di mobilitazione?“, Baptiste sviluppa in modo fortemente rilevante questo argomento in questo stesso numero de La Révolution prolétarienne”. Va aggiunto che il supporto per scioperi esistenti è ovvio. In Ile-de-France, ad esempio, decine di lavoratori delle filiali di La Poste (Chronopost, ad Alfortville nella Val-de-Marne; DPD a Coudray Montceaux, nell’Essonne) sono in sciopero da più di quindici mesi. Sono presenti a tutti gli eventi. parigini dal 19 gennaio; al contrario, troppo poche squadre dei sindacati sono presenti alle loro manifestazioni e picchetti, o li invitano nella propria azienda, o ai cancelli di essa, al fine di rendere popolare lo sciopero. Quindici mesi di lotta sono una cosa insolita, ma in tutte le regioni ci sono scioperi su cui fare affidamento e che occorre appoggiare!


Anche evidenziare il ritardo tra due date nazionali è un tema ricorrente per certe correnti politiche, che soprattutto vogliono attrarre attraverso discorsi e scritti che imitano il radicalismo. Spesso gira intorno a “è ora che dobbiamo indire uno sciopero generale”, “non aspettiamo l’intersindacale”.


Ma esattamente, cosa fa l’intersindacale?


Ebbene, dal 12 febbraio l’intersindacale chiama i “lavoratori, giovani e pensionati a rafforzare il movimento paralizzando la Francia in tutti i settori il prossimo 7 marzo. L’intersindacale utilizzerà anche l’8marzo, giorno della lotta internazionale per i diritti delle donne, per evidenziare la grande ingiustizia sociale di questa riforma contro le donne”. Che cosa si può chiedere di più a un’intersindacale che riunisce CFDT, CGT, FO, CGC, CFTC, UNSA, Solidaires e FSU? Mentre l’unità di azione sindacale è un fattore determinante per la partecipazione di molti dipendenti, perché sprecare tempo ed energia per criticare un’intersindacale che offre una tale prospettiva per l’inizio di marzo? Meglio farne una leva; come nei settori professionali dove, per esempio alla SNCF, SUD-Rail e CGT mantengono il quadro intersindacale con UNSA e CFDT, senza che ciò impedisca la loro richiesta di uno sciopero a oltranza a partire dal 7 marzo.


“Rafforzare il movimento paralizzando la Francia in tutti i settori”

La questione dello sciopero a oltranza è dibattuta in più collettivi sindacali. È presente ben oltre i circoli che si accontentano di reclamarlo senza mai organizzarlo. Ma appunto, è bene organizzarlo. Certo, l’intersindacale nazionale non è unanime sull’argomento. Ma diverse organizzazioni sono su questa posizione ed è un progresso indiscutibile rispetto a quello che noi abbiamo sperimentato in passato, durante simili movimenti sociali. Bisogna fare affidamento sull’unità intersindacale che rifiuta la controriforma e ha avanzato appelli allo sciopero, “prolungato”, “ovunque è possibile”, “diffuso”, di diverse organizzazioni nazionali interprofessionali. Tanto più che, dall’11 febbraio, CGT, UNSA, FO, CGC, Solidaires hanno indetto uno sciopero prolungato alla RATP, dal 7 marzo; come CGT e SUD-Rail nel settore ferroviario; e la CGT per la raccolta dei rifiuti e dei rifiuti domestici; gli appelli settoriali dello stesso tipo iniziano a sommarsi. Ii sindacati della scuola (FSU, UNSA, FO, CFDT, CGT, CGT, SNALC, SUD), fanno appello a che il 7 marzo “scioperi massicci portino alla chiusura totale degli istituti universitari e organizzazioni di ricerca. L’intersindacale invita il personale a mobilitarsi in massa l’8 marzo”.


Nel 2019, molti hanno limitato il loro sciopero alle giornate nazionali di azione, e in buona parte del settore privato (e non solo), in esso non c’è stato nemmeno un vero tentativo di colpire. Dobbiamo superare questo, senza perdere tempo a discutere di “sciopero per procura”, senza organizzarlo e quelli che pubblicizzano casse per scioperare piuttosto che organizzare lo sciopero. Al contrario, da che è stata resa pubblica la prospettiva del 7 marzo e visto il clima generale, le squadre sindacali dovrebbero dedicare il proprio tempo esclusivamente alla costruzione dello sciopero stesso: nella loro costituzione prima di tutto e anche intorno, nel quadro interprofessionale locale. “Fermiamo tutto, il lavoro il più possibile (sciopero, ore di distacco, riposi, …), riunioni di organismi, e organizziamo assemblee generali, volantinaggi mirati, meeting informaivi, casse di sciopero, prendiamoci il tempo per fare il giro delle aziende vicine offrendo aiuto eventualmente e il coordinamento con le organizzazioni sindacali dello stesso settore professionale. Strumenti sindacali (federazioni, sindacati dipartimentali e locali) vengono utilizzati per questo, i contatti orizzontali li fanno vivere”. Se si vuole uno sciopero generale, non puoi limitarti alla tua azienda o al tuo settore professionale. I collegamenti interprofessionali locali sono essenziali per vincere.


Ma qui è in gioco anche il lungo termine: periodi come quelli che stiamo vivendo da gennaio portano gente nuova al sindacalismo, i contatti sono numerosissimi, le adesioni stanno aumentando… Bisogna strutturare tutto questo, creare o rivitalizzare i sindacati interprofessionali locali; anche qui possiamo citare ciò che è stato fatto da varie squadre militanti: mangiare un boccone insieme, prima o dopo le manifestazioni; stabilire un programma per la distribuzione dei volantini a alcune aziende selezionate; formalizzare le designazioni di rappresentanti sindacali; rafforzare le sedi sindacali interprofessionali… Insomma, per essere sicuri di essere, in futuro, più efficaci e quindi più utili ai lavoratori in difesa delle loro rivendicazioni immediate e creare le condizioni per l’emancipazione sociale.

Costruire lo sciopero significa moltiplicare le discussioni sul luogo di lavoro. È da questo che possono esistere le assemblee generali che riuniscono i lavoratori dello stesso sito, lì dove si incontrano i colleghi di tutti i giorni. Fai parlare tutti, tutti sono essenziali; ciò presuppone che i dipendenti siano presenti, abbiano fiducia nell’esprimersi. Le “Assemblee Generali” organizzate su ambiti troppo estesi non aiutano la costruzione democratica dello sciopero.

Dalle pensioni alla lotta anticapitalista


Il tema delle pensioni illustra come collegare la difesa delle richieste immediate e le alternative al sistema capitalista. L’immediato è il rifiuto della controriforma. È giusto denunciare il peggioramento dell’età pensionabile, per rifiutare un aumento del numero di anni di contributi per avere una pensione completa, per richiedere un vero e proprio registro dei lavori pesanti, per esigere misure verso la parità tra donne e uomini, ecc. Tutto questo si riferisce alla distribuzione della ricchezza; molti cartelli, slogan, striscioni, manifesti, volantini, evidenziano le centinaia di miliardi degli azionisti, l’evasione fiscale, ecc. Da qui due domande: “Chi crea queste ricchezze?” e “Come vengono distribuite?”; arriviamo a: “Chi li produce con il proprio lavoro ne ha solo una piccola parte” mentre “Sono monopolizzati dagli azionisti, dai padroni, cioè da quelli che non li producono”. Non vuol dire che gli scandalosi profitti capitalisti debbano finanziare le nostre pensioni, visto che sono i nostri contributi a farlo, il che significa che dovremmo gestirli noi stessi, senza i padroni, senza lo stato. Ma a livello globale, i capitalisti ci sono costati cari! Questo rafforza la credibilità nella ricerca di alternative.


L’importo delle pensioni è un altro esempio. Lo scandalo delle pensioni da miseria è ampiamente denunciato, così come la falsa promessa di rivalutazione che contiene la controriforma. Giusto. Altre domande facilmente sorgono: “L’importo della pensione deve essere indicizzato ai migliori stipendi percepiti durante il lavoro: è una richiesta giusta e comprensibile; ma una volta in pensione, come si giustificano le differenze di “remunerazione” poiché in pensione tutti fanno la stessa cosa: il ragionamento funziona (o, più esattamente, non funziona quando prendiamo questo nella sua definizione legata al salario?)”. Certo, questo permette di tornare alla nozione di salario differito, e quindi sullo scandalo della statalizzazione del sistema pensionistico, la confisca da parte dello stato di parte del compenso per il nostro lavoro. Ma non si deve insistere troppo su questo problema delle differenze tra i livelli delle pensioni di vecchiaia dato che tutto ciò ci riporta alla discussione sul vero fondamento della gerarchia dei salari.


Nelle manifestazioni ci sono molti slogan che denunciano la natura del lavoro subordinato, quelli che sottolineano la perdita di significato del lavoro, la discrepanza tra questa controriforma e le questioni sociali ed ecologiche, il ruolo che i pensionati svolgono nella società… Un recente numero della rivista Cerises si chiedeva: “Non c’è in queste molteplici espressioni molto più che il solo rifiuto dell’allungamento di orario di lavoro che dovrebbe essere qualificato come subordinato? Non ce n’è già l’espressione implicita del rifiuto del ruolo degli azionisti, quello di un valore economico fissato solo attraverso il mercato, e infine il rifiuto a considerare come unico lavoro utile l’attività di valorizzazione del capitale? Tra le condizioni che permettono di pensare alla vittoria del movimento e alla resa del governo, l’esplicitazione di tutti questi elementi implicitamente o esplicitamente contenuti nelle mobilitazioni e nelle loro espressioni non è uno dei più importanti? […] non è urgente e possibile prolungare visibilmente lo stato d’animo della maggioranza delle donne e uomini, esplorando insieme altre prospettive, altri scambi sul lavoro e sull’attività, sull’urgenza di liberarsi dall’unica valutazione del capitale, per discutere l’uscita dalla subordinazione, l’urgenza di porre fine agli azionisti e alla loro onnipotenza, Torniamo alla differenza tra contributi e tasse, sullo stipendio socializzato, sull’organizzazione e il controllo di tutto l’orario di lavoro, della vita, ecc”.


“La Secu, la previdenza sociale è nostra” gridiamo nelle manifestazioni. Certo, ci è stata rubata molto tempo fa. Se davvero questo era il caso in passato, chi oggi pensa che la Sécu, quindi la pensione, ma non solo la pensione, sia gestita da chi, con il loro contributo, la fanno esistere, cioè i lavoratori e le lavoratrici? Tuttavia, cosa potrebbe esserci di più semplice da progettare? Il rapporto presentato da Henri Raynaud [allora segretario generale della CGT, ndt] al Comitato Confederale Nazionale della CGT nel gennaio 1947, insistette su tre questioni: un fondo unico, un contributo a tasso unico interprofessionale, gestione dei lavoratori senza capi e senza controllo statale. I tempi di lotta sono momenti in cui la consapevolezza dello sfruttamento e dell’oppressione accelera. È tanto più importante avanzare affermazioni che fanno portare alla luce le contraddizioni del sistema capitalista, la sua incapacità di riformarsi fino al punto di soddisfare i bisogni collettivi e per garantire il futuro del pianeta. Le discussioni tra gli scioperanti, i dibattiti nelle assemblee generali bastano a far emergere questo tipo di pensieri e molti altri. A partire da lì, è più facile fare capire che il futuro delle pensioni non dipende da questioni tecniche, ma che è legato alla messa in discussione del sistema capitalista.


Il sociale fa la politica


Altra lezione del periodo: come in ogni momento di forti lotte collettive della nostra classe sociale, l’estrema destra non è più al centro delle discussioni. Organizzare la lotta di classe, infatti, è il modo migliore per farla tornare ridimensionarla. Da qui il tentativo del partito di Marine Le Pen di tornare al centro del panorama mediatico con la mozione di sfiducia presentata all’Assemblea nazionale. Per quanto riguarda la sinistra, essa rincorre il movimento; i suoi leader riprendono gli slogan sindacali, ma tutti sanno che non sono stati loro a consentire al movimento attuale e alle sue prospettive di esistere. Ma lasciamoli festeggiare la grande vittoria parlamentare di essere riusciti a non far approvare l’articolo 2 della legge, vale a dire il ritiro dell’indice-senior… cosa che non interessa nessuno!


Bisogna insistere: il fare sindacato è fare politica, non significa mettersi al servizio di frazioni partitiche e/o filosofiche, per quanto rispettabili esse siano. Il sindacalismo riunisce coloro che decidono di farlo per organizzarsi insieme sulla sola base dell’appartenenza alla stessa classe sociale. Insieme, agiscono per difendere le loro esigenze immediate e per adoperarsi per una radicale trasformazione della società. L’oppressione legata al sistema capitalista, l’oppressione economica risultante dai rapporti di produzione e dal diritto di proprietà, è comune a tutti quelli “in basso”. Qui è dove si gioca lo scontro di classe. Ciò non impedisce, anzi, di considerare che ci sono altre forme di oppressione, di cui non si tratta di stabilire una gerarchia, né tra di loro né nei confronti dell’oppressione economica. Le lotte contro l’oppressione e per l’uguaglianza, la libertà, ecc anche politica. La distribuzione dei ruoli che richiede che il partito si occupa di politica e sindacalismo del sociale è una strada senza uscita. I sindacati sono, o almeno dovrebbero essere, lo strumento di autorganizzazione della classe operaia.


Dalla lotta anticapitalista e femminista alle pensioni


La controriforma attacca la nostra classe sociale. Serve gli interessi di datori di lavoro e azionisti. Quasi tutti lo capiscono. Inutile sprecare troppo tempo ed energia discutendo i dettagli. Viene dal progetto sociale in questione. Per molti giovani, “la pensione, è molto lontana”, alcuni dicono “la pensione, non ce l’avremo”. Ma quello che capiscono è che dopo il pensionamento, perché non potrebbe accadere la stessa cosa con l’assistenza sanitaria ? E con le ferie pagate? E con il contratto di lavoro ? E con il salario?


Occorre fare il collegamento tra rivendicazioni più locali che si trascinano da mesi o da anni, la bocciatura della controriforma sulle pensioni e la possibilità di un altro futuro. Se febbraio è stato segnato dalle vacanze scolastiche e studentesche, la grande partecipazione dei giovani alle manifestazioni interprofessionali, ma anche alcune azioni all’interno delle scuole superiori e delle università sono degne di nota. Per quanto riguarda la gioventù, è degno di nota il fatto che il presidente della Repubblica abbia preferito rimandare quello che è uno dei suoi cavalli di battaglia da anni. Già a gennaio Macron voleva annunciare la “generalizzazione” dello SNU, il servizio nazionale universale [e una sorta di “servizio civile-militare” rivolto a tutti i giovani francesi dai 16 ai 25 anni, ndt]. Ha fatto marcia indietro. Oggi, la stampa parla di marzo; il Segretario di Stato incaricato del fascicolo evoca una decisione a giugno. Il governo non abbandona il suo progetto di schiavitù militarista della gioventù. Ma, data la mobilitazione dei giovani, nell’ambito del movimento contro il disegno di legge sulle pensioni e anche per il miglioramento delle loro condizioni di studio e la vita, teme che questo annuncio di generalizzazione e/o di obbligo del Servizio Nazionale Universale possa essere l’innesco per un movimento di protesta ancora più forte!


L’inizio di uno sciopero prolungato il 7 marzo intralcia la giornata internazionale dei diritti delle donne del’8 marzo? Al contrario, questo deve permettere di ricollocare chiaramente questo giorno, ma più in generale le lotte femministe, in un quadro anticapitalista, in connessione con la lotta di classe. Non sarà “naturale” anche negli ambienti sindacali; ma è una questione importante fare questi collegamenti, per non considerare secondari i diversi sistemi di oppressione, compreso il patriarcato; al contrario occorre inscrivere le lotte che si oppongono ad essi in quella per l’emancipazione generale. Anche qui, l’esempio è dato dai collettivi militanti che, fin d’ora, si organizzano tournée e interventi sindacali nei settori di lavoro più femminizzati. Ricordiamo che lo sciopero del 1995 in Francia fu avviato il 24 novembre da sezioni sindacali che hanno organizzato assemblee generali e lancito lo sciopero prolungato, ma che il giorno dopo, il 25, si tenne una grandissima manifestazione femminista, per i diritti delle donne, le loro rivendicazioni, le loro libertà.


Perché il marzo 2023 sia meglio del 1995!


Lo sciopero del 1995 è stato il punto di riferimento per un quarto di secolo, ogni volta che nasceva un movimento sociale di di una certa ampiezza. Era importante sotto più di un aspetto. Ma stiamo attenti a non trasformarlo in un mito, cosa che, alla fine spaventerebbe i più giovani, persuasi di non essere all’altezza, di non essere in grado di farlo “altrettanto bene”. Lo sciopero del 2023 appartiene a quelli e quelle che lo faranno!

Francia, avete qualche impegno per martedì prossimo?

Il progetto di riforma delle pensioni è inutile, ingiusto e brutale. Dall’inizio di gennaio ci siamo mobilitati in milioni. Tuttavia, il governo, che è in ultra-minoranza, vuole continuare a imporre il pensionamento a 64 anni, insieme al Medef (la Confindustria francese).

L’intersindacale, ampia e unita, chiede che il 7 marzo sia una giornata “Francia ferma”. Per vincere, proponiamo che tutti i lavoratori, nel settore pubblico e privato, discutano nelle assemblee generali la possibilità di prolungare lo sciopero a partire dal 7 marzo. Già nei settori dei trasporti e dell’istruzione si moltiplicano gli appelli intersindacali a rinnovare lo sciopero.

La nostra mobilitazione è storica. Insieme, abbiamo la possibilità di porre fine alla distruzione sociale di questo governo sulle pensioni e contro le classi lavoratrici.

La nostra vittoria in questa battaglia aprirà tutti gli orizzonti possibili per pensioni migliori, naturalmente, ma anche per i salari, l’assicurazione contro la disoccupazione o le prestazioni sociali minime, per gli alloggi e l’immigrazione e, più in generale, consentirà decisi miglioramenti sociali ed ecologici.

L’8 marzo è la giornata internazionale di lotta per i diritti delle donne. Sarà una giornata di sciopero per le pensioni, ma anche uno sciopero femminista per sottolineare l’ingiustizia, la violenza e le disuguaglianze che le donne subiscono, soprattutto con questo progetto di riforma delle pensioni.