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Ucraina, appello ai lavoratori e agli attivisti dei popoli d’Europa e del mondo

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Ucraina-Svizzera, lettera al presidente della Confederazione elvetica Alain Berset

di Luca Torticoordinatore del Comitato svizzero contro la guerra e contro il riarmo, dal sito mps-ti.ch

Egregio signor Presidente della Confederazione,

da più di un anno l’aggressione della Russia all’Ucraina sta provocato sofferenze incalcolabili e un disastro umano di dimensioni gigantesche, tra militari e civili uccisi, feriti, prigionieri, scomparsi, rapiti. A questo si aggiunge un disastro economico e ambientale che richiederà sforzi enormi da parte della comunità internazionale. È infatti escluso che l’Ucraina da sola riuscirà a ricucire queste profonde ferite nella società e nel territorio.

La Svizzera ha aderito alle sanzioni contro l’aggressore in data 28 febbraio 2022, con alcuni giorni di ritardo rispetto ai paesi dell’Unione Europea e agli Stati Uniti. Abbiamo criticato questo ritardo, ma abbiamo pure appoggiato la decisione di aderire, convinti che isolare la Russia di Putin con sanzioni economiche mirate avrebbe aumentato le pressioni e contribuito a mettere in difficoltà la macchina da guerra russa. La condizione era ed evidentemente rimane,  che queste sanzioni vengano davvero attuate con grande rigore. In caso contrario il loro effetto sarebbe di molto ridotto e toglierebbe molta credibilità alle dichiarazioni di solidarietà nei confronti della popolazione ucraina.

Il nostro comitato “Contro la guerra e contro il riarmo”, sezione Ticino, ha seguito da vicino l’applicazione delle sanzioni ed è intervenuto a diverse riprese per denunciare una certa lassitudine, carenze nei controlli, poca efficacia.

A titolo d’esempio ricordiamo le nostre prese di posizione, assieme a molti altri, riguardo gli averi degli oligarchi russi nelle banche svizzere (stimati dalle banche stesse a circa 150/200 miliardi di franchi) e di cui ne sono stati bloccati a fine 2022  solo 7.5 miliardi. Una cifra irrisoria dal nostro punto di vista.

Ricordiamo anche, sempre a titolo d’esempio, il fiorente commercio di materie prime in Svizzera che ha stabilito in diversi settori bilanci record proprio durante l’anno della guerra. Notoriamente questo commercio avviene in gran parte con oligarchi russi vicini a Putin e a lui fedeli.

Abbiamo protestato lo scorso mese di settembre per il commercio record di oro russo registrato in Svizzera quel mese (5.6 tonnellate per un valore di 312 milioni di franchi).

Alla fine del 2022 ci siamo indignati pubblicamente per  i risultati di un’indagine inglese che documentava la presenza di componenti prodotti in Svizzera nei missili russi denominati Kh-101, impiegati ancora qualche giorno prima (23 novembre 2022) per bombardare Kiev. La portavoce della SECO affermava in quell’occasione che questi componenti, probabilmente, erano stati fabbricati in siti di produzione esteri e quindi non soggetti alle sanzioni. Questa risposta meritava, secondo noi, una censura da parte del Consiglio federale.

Ancora negli scorsi giorni, fonti giornalistiche che non sono state smentite, hanno indicato con chiarezza e nei particolari che microchip “made in Svizzera” sono stati trovati su droni di ricognizione russi tipo “Orlan”. Questi  droni segnalano alle truppe russe le posizioni dell’artiglieria ucraina. Il resto lo possiamo immaginare tutti.

Come se non bastasse,  alcuni dati doganali visionati da queste fonti giornalistiche, indicano anche la fornitura di beni di “duplice impiego” alla Russia di Putin (macchinari utensili, pezzi di ricambio, strumenti di precisione), cioè beni utilizzati dal settore civile e militare. A questo riguardo la ditta implicata, la GF Machining Solutions, con sede anche a Losone, e la SECO, non hanno fornito risposte esaustive.

Come cittadine e cittadini, militanti attive e attivi nella solidarietà con il popolo ucraino, non possiamo che protestare per  questi scandalosi scambi commerciali che vedono implicate imprese svizzere.

Tutto ciò è in flagrante contraddizione con le numerose dichiarazioni di vicinanza al popolo ucraino che il Consiglio federale ha espresso in questi 14 mesi di guerra.

Tutto ciò è in flagrante contraddizione con il rispetto delle sanzioni adottate a partire dallo scorso 28 febbraio 2022.

La fine di questa guerra sarà  determinata, oltre che da quanto succederà sul campo,  anche dalla portata e dal rigore nell’applicazione delle sanzioni decise. Disarmare economicamente Putin è essenziale per porre fine alle tremende sofferenze del popolo ucraino. La Svizzera non può venir meno a questo impegno.

Chiediamo al Consiglio federale, tramite il suo presidente, di adoperarsi con tutti gli strumenti a sua disposizione per porre termine a questi scandalosi episodi di non rispetto delle sanzioni e di adoperarsi nello stesso modo verso i cantoni per quanto di loro competenza.

Ringraziamo per l’attenzione che verrà portata alla nostra richiesta e salutiamo cordialmente.

Russia, per quanto tempo ancora potrà andare avanti?

di Boris Kagarlitsky, da russiandissent.substack.com


È passato un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Quando tutto è iniziato, la propaganda del Cremlino garantiva il crollo del “regime di Kiev” in poche ore, la conquista della capitale ucraina in pochi giorni e che i leader dell’Europa occidentale si sarebbero inginocchiati a Mosca. Ci è stato poi assicurato che gli europei sarebbero rimasti congelati senza il gas russo. Tuttavia, mentre l’inverno volge al termine, i propagandisti esaltano la pazienza del popolo russo, che sopporterà tutte le avversità che lo attendono senza fiatare. Un nuovo tema tra gli analisti pro-Cremlino è che la guerra continuerà per almeno altri dieci anni, anzi, per sempre. Nessuno promette che tra dieci anni la situazione migliorerà.

L’inevitabilità della sconfitta militare è ormai chiara anche a molti di coloro che hanno accolto con entusiasmo l’invasione e l’hanno sostenuta ideologicamente. Si vedano, ad esempio, i recenti discorsi dell’eroe della “primavera russa” del 2014, Igor Gurkin [alias Igor Ivanovich Strelkov, ex FSB, ultranazionalista, che nel 2014 aveva svolto un ruolo importante durante l’annessione del Donbass e della Crimea, ndt] che prima invitava alla mobilitazione e alla guerra fino alla vittoria, e ora discute principalmente degli scenari di sconfitta.

Le nuove difficoltà economiche si confondono con quelle vecchie

L’argomento principale di discussione è ora se l’economia può sostenere la crescente domanda e come questo influenzerà il sistema politico. Nell’estate del 2022, le sanzioni hanno portato a un grave calo della produzione, mentre nel gennaio 2023 è stato rivelato un forte deficit di bilancio. Nessuno di questi eventi, tuttavia, è stato vissuto come una catastrofe sociale, soprattutto perché la situazione del paese è peggiorata costantemente negli ultimi dieci anni, tanto che i problemi attuali sembrano essere solo una parte della vita normale: prezzi in aumento, salari bassi e molte delle difficoltà quotidiane a cui la gente è abituata da tempo. Questo significa che in Russia non è cambiato nulla nell’ultimo anno? In realtà, i cambiamenti ci sono stati, e anche significativi.

Sebbene nei primi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina la maggior parte dei russi non si sia accorta della guerra, la mobilitazione che ha avuto luogo nel settembre 2022 è stata sufficiente a cambiare la consapevolezza delle persone. Non c’è motivo di equivocare sull’esito della mobilitazione: dopo tutto, la ritirata più importante dal punto di vista strategico dell’esercito russo (la resa di Kherson) è avvenuta dopo che migliaia di reclute erano state inviate al fronte. La fuga di massa di giovani e famiglie dalla Russia, iniziata dopo l’annuncio della mobilitazione, ha portato almeno un milione di persone a lasciare il paese. Secondo alcune stime, la cifra supera i due milioni. In altre parole, il numero di russi emigrati dopo la mobilitazione è esattamente paragonabile al numero di rifugiati ucraini fuggiti in Occidente, sebbene non vi siano stati combattimenti sul territorio della Russia stessa. [Il numero totale di rifugiati ucraini, a partire dal febbraio 2023, “residenti” – con “status di protezione temporanea” che consente “libero soggiorno e lavoro” – in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Bulgaria, Romania e Stati baltici è di circa 2,5 milioni; in Germania, Austria, Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, il totale è di circa 1,65 milioni, ndt]

Morire per Putin o morire per la propria famiglia?

Allo stesso tempo, non si deve parlare di un completo fallimento della campagna di mobilitazione. Sebbene, sul piano militare, non abbia prodotto i risultati notevoli che ci si aspettava, consentendo al massimo la ricostituzione delle unità di combattimento al fronte, la sua conseguenza inaspettata è stata un miglioramento della situazione economica generale nelle regioni più disagiate del paese. E’ stato qui che la chiamata alle armi ha incontrato la minore resistenza, con gli stessi mobilitati che hanno ammesso che arruolarsi nell’esercito era più redditizio che rimanere fermi, lavorare per una miseria o rimanere a casa senza lavorare affatto. Le famiglie che avevano perso la loro fonte di reddito erano molto felici di ricevere le indennità per i loro mariti e figli uccisi, poiché i fondi ricevuti aiutavano a pagare i debiti e a risolvere altri problemi domestici. Gli uomini del retroterra russo non erano pronti a rischiare la vita e a morire per Putin, ma mostravano una fatalistica disponibilità a dare la vita per la propria famiglia. Bisogna ammettere che una coscienza di massa così pronunciata è stata una sorpresa per molti analisti, compreso l’autore di queste righe. Si è scoperto che la rieducazione economica della società, avvenuta durante le riforme neoliberali, ha avuto un grande successo. Gli incentivi del mercato funzionano in condizioni di povertà e disunione molto più efficacemente delle emozioni umane di base, compreso l’istinto di autoconservazione.

Naturalmente, la crescita del malcontento e della resistenza è ovvia, ma è anche ovvio che non hanno raggiunto il punto in cui diventerebbero pericolosi per il sistema. Gli atti di sabotaggio alle ferrovie organizzati da gruppi clandestini di varie convinzioni ideologiche, gli incendi dolosi agli uffici di arruolamento militare e alle istituzioni statali, la distruzione di vagoni decorati con simboli militaristi e altre azioni partigiane si verificano con maggiore frequenza rispetto al passato, ma rimangono ancora un’eccezione in tutto il paese. Un problema molto più serio per il governo è la spaccatura all’interno dei suoi stessi ranghi.

Le tensioni all’interno tra i reparti combattenti e nella società

Il sintomo più discusso di una spaccatura politica all’interno del sistema è stato lo scontro aperto tra l’esercito regolare e la Compagnia Militare Privata Wagner, creata da Yevgeny Prigozhin. Avendo ottenuto il diritto di fatto di ignorare le leggi e le procedure stabilite dallo stato, Prigozhin ha formato il suo esercito privato, dotato di artiglieria, carri armati e aerei, e rifornito dal reclutamento forzato dei prigionieri nei campi. In barba alle leggi russe, gli stessi scagnozzi di Prigozhin hanno messo in pratica il proprio stile di giustizia militare, organizzando esecuzioni pubbliche di disertori e minacciando i propri soldati di essere giustiziati sul posto per aver tentato di ritirarsi. Già in estate era iniziata una lotta aperta per il potere tra Prigozhin e i generali regolari, con insulti reciproci e scontri armati tra i militari e i wagneriti, che non volevano riconoscere le norme di comportamento stabilite dalle Forze Armate.

Tuttavia, il conflitto tra i generali e Prigozhin è solo la punta dell’iceberg. La burocrazia governativa, altrimenti impegnata in questioni economiche e finanziarie, ha espresso forti perplessità sulla situazione attuale e le agenzie di sicurezza statali non sono soddisfatte di come si sono svolti i fatti. L’appello rivolto dal governo alle grandi imprese affinché contribuiscano volontariamente con 250-300 miliardi di rubli al bilancio per coprire il deficit, che a gennaio aveva già raggiunto i mille miliardi di rubli, non è stato accolto con simpatia. Le più grandi aziende, in passato le maggiori beneficiarie di agevolazioni fiscali da parte del governo, non solo non si sono dimostrate disposte a condividere, ma hanno anche annunciato pubblicamente la loro tirchieria. Il problema non è il denaro in quanto tale. L’industria russa sta affrontando una crisi di sovraccumulazione di capitale, in cui i fondi liberi non possono essere investiti con profitto e, a causa delle sanzioni, il denaro depositato all’estero non può essere ritirato. Ma queste aziende, comprese quelle associate allo stato, semplicemente non vedono l’utilità di sostenere un bilancio che minaccia un aumento incontrollato del deficit e insiste nel finanziare una guerra già persa.

Le difficoltà della “via d’uscita diplomatica”

Per i circoli dirigenti russi, un accordo anticipato con l’Occidente rimane l’unica via d’uscita realistica, e i loro rivali in Europa e negli Stati Uniti non hanno rifiutato a priori questa opzione. Ma qualsiasi accordo implica inevitabilmente serie concessioni da parte del Cremlino. Nella migliore delle ipotesi, stiamo parlando del ritiro delle truppe alle posizioni originarie che occupavano prima dell’inizio della guerra, il che equivale ad ammettere la sconfitta. Allo stesso tempo, il protrarsi del conflitto non fa altro che peggiorare la situazione, con la conseguenza che i termini della tregua non potranno che peggiorare: il mantenimento del controllo su Luhansk e Donetsk, che sono sotto il protettorato russo de facto dal 2014, è discutibile, e in futuro c’è persino la minaccia di perdere la Crimea, che è stata annessa. Naturalmente, nessuna delle due parti chiederà il parere degli abitanti del Donbass e della Crimea.

Il destino di Putin e della sua cerchia

Qualsiasi accordo reale nelle condizioni attuali significa un disastro politico per Putin. Ecco perché, nonostante gli appelli formali ai negoziati, la linea principale del Cremlino è quella di trascinare la guerra all’infinito. Né l’Occidente né le élite russe sono soddisfatte di una simile svolta, senza contare che anche la maggioranza della società russa non è affatto contenta di una simile prospettiva. Alla ricerca disperata di ragionevoli concessioni da parte di Mosca, i politici occidentali hanno finalmente deciso di abolire le restrizioni sulle forniture di armi all’Ucraina, dando inizio a una spedizione di massa di carri armati, veicoli blindati e missili a lunga gittata, cui seguiranno inevitabilmente gli aerei. Ci sono tutte le ragioni per credere che tali decisioni siano state precedute da tentativi di negoziati dietro le quinte che hanno convinto gli statisti occidentali della completa follia di Putin e della sua cerchia ristretta. A quanto pare, una parte significativa dell’apparato burocratico, imprenditoriale e militare russo è giunta alla stessa conclusione.

L’anno trascorso dall’inizio della guerra ha dimostrato chiaramente che il sistema politico ha bisogno di un cambiamento radicale. L’alternativa alle riforme può essere solo la crescente disintegrazione delle istituzioni statali e il degrado di un’economia già malata, che non conviene a nessuno. Ma l’unico modo per cambiare rotta è rimuovere Vladimir Putin dal potere. Naturalmente il presidente in carica non approverebbe, ma nemmeno molte persone della sua cerchia, che capiscono che in assenza di un patrono, anche loro perderanno rapidamente la loro posizione e forse diventeranno capri espiatori – dopo tutto, qualcuno dovrà sicuramente essere punito per i loro errori e crimini. Spedirli all’Aia come criminali di guerra, in questo caso, potrebbe essere l’atterraggio più morbido possibile per loro, poiché l’esperienza della storia russa dimostra che in condizioni in cui lo stato di diritto non funziona, il destino delle autorità sconfitte è davvero terribile.

Nonostante la censura e le sporadiche repressioni, in Russia si discute già quasi apertamente di questi scenari. Ogni giorno Mosca alla fine di febbraio 2023 diventa sempre più simile a Pietrogrado all’inizio di febbraio 1917. Quanto questa analogia possa essere corretta lo scopriremo in un futuro molto prossimo. Naturalmente, il potere di Putin può ancora una volta affondare i tacchi. Ma questo significa solo rimandare l’inevitabile catastrofe, che sarà tanto più massiccia quanto più tardi si verificherà.

Business putinista

Le aziende straniere non hanno fretta di lasciare il mercato russo

Uno studio condotto dall’Università di San Gallo in Svizzera ha rivelato che le aziende straniere che hanno applicato le sanzioni deliberate dalle potenze occidentali e che dunque hanno lasciato la Russia chiudendo le proprie filiali ammontano a meno del 9% del totale, dall’inizio della guerra.

Le filiali russe coinvolte dalle sanzioni sarebbero dovute ammontare a 2.405, di proprietà 1.404 società con sede in paesi dell’UE e del G7. Secondo la ricerca svizzera, le aziende statunitensi hanno chiuso solo il 18% delle proprie filiali, quelle giapponesi il 15% e quelle europee l’8,3%.

Non è dunque vero che vi sia stato quel vasto esodo di imprese occidentali dalla Russia putiniana e in guerra.

La ricerca, inoltre, in base al dettaglio dei dati raccolti, mette in luce che molte delle chiusure è legata alla bassa redditività delle filiali russe piuttosto che al rispetto delle sanzioni. Le aziende infatti hanno lasciato operative soprattutto le filiali più produttive e redditizie. Infatti, a fronte di una chiusura dell’8,6% delle filiali, queste filiali rappresentano solo il 6,5% dell’utile totale al lordo delle imposte di tutte le imprese dell’UE e del G7 con operazioni commerciali attive in Russia.

La quota del 18% delle filiali chiuse di aziende statunitensi, pur essendo largamente al di sotto delle cifre auspicate, mostra che le corporation statunitensi (e in parte anche quelle giapponesi) hanno applicato le sanzioni in misura leggermente maggiore dei loro concorrenti europei.

Il mondo degli affari, dunque, come sempre predilige il profitto e se ne sbatte della pace.