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Il governo Meloni alla prova delle sue contraddizioni


di Fabrizio Burattini, pubblicato in francese su 
alencontre.org, e in castigliano su vientosur.info

Com’è noto, alla fine del mese di luglio, 169.000 famiglie italiane hanno ricevuto sul cellulare un laconico ma inquietante messaggio dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che diceva più o meno così: “Il reddito di cittadinanza è sospeso come previsto dal decreto lavoro in attesa di un eventuale intervento dei Servizi sociali comunali”. Quelle 169.000 famiglie costituiscono solo una parte delle circa 436.000 (per un totale di circa 615.000 persone) che il decreto lavoro adottato dal governo Meloni il 1° maggio ha voluto privare del Reddito di Cittadinanza (RdC), il sussidio tra i 500 e i 700 euro mensili creato dal governo Conte 1 nel 2019 per alleviare la crescente povertà diffusa nel paese e soprattutto nel Sud.

Un messaggio, quello dell’INPS, peraltro errato, perché nessuno dei quasi 8.000 comuni italiani era stato avvertito di dover affrontare in piena estate l’improvvisa perdita di reddito di decine di migliaia di famiglie e soprattutto perché i “servizi sociali comunali” non sono affatto dotati di fondi adeguati a far fronte ad una così ampia e imprevista emergenza.

La guerra agli ultimi cercando di reclutare i penultimi

La gelida brutalità del messaggio è stata minimizzata come un semplice passo falso della nuova dirigente dell’INPS, Micaela Gelera, che la ministra del Lavoro Marina Calderone aveva da poco nominato scegliendola tra i suoi colleghi di lavoro (la ministra è una consulente aziendale) per soppiantare il precedente presidente Pasquale Tridico, vicino al Movimento 5 Stelle.

Però, al di là dello stile adottato per cambiare la vita di centinaia di migliaia di persone con un semplice SMS, l’iniziativa dell’INPS costituisce la violenta concretizzazione di una delle promesse fatte dalla coalizione di destra durante la campagna elettorale.

Coloro che perderanno il sussidio di povertà sono i cosiddetti “occupabili” (cioè cittadine e cittadini tra i 18 e i 59 anni, senza minori, anziani o inabili a carico), ai quali spetterà da ora in poi un sussidio di soli 350 euro al mese (cioè circa la metà di quanto previsto per il RdC), solo per 12 mesi, e solo a patto che frequentino corsi di formazione che, peraltro, ancora non sono stati attivati. Come dire: “noi non vi sosteniamo più; da ora in poi arrangiatevi”.

Ma la misura non è tanto di tipo economico. Infatti il risparmio previsto dal governo a spese delle cittadine e dei cittadini più deboli sarà di meno di 3 miliardi di euro, dunque una cifra pari allo 0,15% del PIL, a meno dello 0,3% della spesa pubblica, allo 0,1% del debito pubblico.

Lo scopo della cancellazione del reddito di cittadinanza è soprattutto sociale, per sancire la rottura di ogni vincolo di solidarietà delle lavoratrici e dei lavoratori occupati con reddito medio basso nei confronti della vasta e crescente fascia di cittadini in condizioni di povertà assoluta o relativa.

Durante la campagna elettorale e anche oggi, a sostegno del “decreto lavoro” che ha sancito la fine del RdC, gli esponenti della destra hanno cercato di colpevolizzare i poveri definendoli “pigri” e “fannulloni”, come se la mancanza di posti di lavoro dipendesse dalla loro incapacità o non volontà di proporsi sul mercato. E la campagna di colpevolizzazione è stata accompagnata dalla denuncia della presunta impossibilità di tanti imprenditori di reperire manodopera proprio a causa dell’esistenza del RdC, indicato come un fattore di scoraggiamento al lavoro. Una denuncia chiaramente strumentale. 

Matteo Salvini quanto al RdC (che peraltro approvò quando era vicepresidente del governo Conte 1) arrivò a dichiarare durante la campagna elettorale: “Non ci sono imprenditori sfruttatori. Molto semplicemente: se con il RdC prendi 600 euro per stare a casa a guardare la televisione e ti offrono 600 euro per andare a fare il cameriere, la soluzione la lascio intuire”, ritenendo dunque legittimo e dignitoso un salario di 600 euro mensili. 

La difficoltà di trovare lavoratori da assumere è con tutta evidenza strettamente collegata alle condizioni retributive offerte. Fece scalpore, qualche tempo fa, la vicenda dell’azienda toscana Sammontana che cercava 350 lavoratori stagionali per la produzione dei suoi gelati. Viste le vantaggiose condizioni retributive proposte, non ebbe alcuna difficoltà a trovarli e ad assumerli, anzi fu sommersa da oltre 2.500 domande di lavoro.

L’obiettivo, dunque, è quello di costringere sempre più le persone ad accettare un lavoro purchessia, quali che ne siano la retribuzione e le modalità di prestazione. E’ quello che chiedono ampi settori del padronato al fine di contenere i costi e di incrementare così i profitti.

Dunque la destra, invece di combattere la povertà crescente nel paese, ha deciso di fare la guerra ai poveri cercando anche di reclutare per questa ignobile battaglia le fette meno coscienti della classe lavoratrice.

Ma c’è anche uno scopo politico: quello di disperdere quel significativo capitale di consenso che ha consentito al M5S di risultare in tutte le regioni del Sud il primo partito anche alle ultime elezioni.

Nonostante la tregua estiva, si stanno organizzando le risposte di piazza contro il taglio del Reddito di Cittadinanza. Naturalmente nelle mobilitazioni che si stanno sviluppando soprattutto al Sud (la gran parte di coloro che saranno privati del RdC risiede nelle regioni meridionali) integrano nella loro propaganda anche la denuncia di tutta la politica economica del governo Meloni, l’aumento delle spese militari, i condoni fiscali a favore degli evasori, la reintroduzione dei vitalizi per i parlamentari…

E’ previsto un primo appuntamento a Napoli, a Palermo, a Catania e a Cosenza, per il prossimo 28 agosto e si attendono iniziative concomitanti anche in altre città. L’iniziativa è stata presa dalla “Rete dei comitati per la difesa e l’estensione del Reddito” che raccoglie significativi settori popolari di ex percettori del RdC, un tempo base di consenso politico ed elettorale dei 5 Stelle, organizzati attraverso alcune chat e spalleggiati da collettivi di disoccupati ed organizzazioni di sinistra.

I salari in Italia

Come avviene con cadenza trimestrale, a fine luglio l’istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato i dati sull’andamento delle retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, mettendo in luce che “nonostante il recente rallentamento dell’inflazione, nei primi sei mesi del 2023, la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni supera ancora i sei punti percentuali”. Cioè che anche quest’anno i salari perderanno circa il 6% del loro potere di acquisto.

Questo dipende da tanti fattori: primo fra tutti la totale assenza, dal 1993, di qualunque forma di adeguamento “automatico” delle retribuzioni alla crescita del costo della vita. Infatti, giusto 30 anni fa, nel luglio 1993, i sindacati maggioritari stipularono con le associazioni padronali, sotto la supervisione del governo di centrosinistra presieduto da Carlo Azelio Ciampi, un accordo che sanciva la fine della “scala mobile” dei salari, il meccanismo che dal 1945 aveva tutelato dall’inflazione i livelli di vita delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti.

Dal 1993 le retribuzioni sono governate esclusivamente attraverso i contratti collettivi che periodicamente (formalmente ogni tre anni) vengono sottoscritti tra i sindacati e la Confindustria e le altre organizzazioni dei datori di lavoro. Ma questi contratti sono sempre stipulati con la preoccupazione della “moderazione salariale” e del “contenimento del costo del lavoro”. Inoltre mediamente (anche qui, dati dell’Istat a supporto) vengono sottoscritti con 2, a volte 2 anni e mezzo di ritardo (in alcuni casi il ritardo si protrae fino a 70 mesi). 

Tutto ciò fa sì che, tanto più in una fase come quella attuale nella quale l’inflazione sfiora o supera le due cifre, le retribuzioni reali non solo non aumentano ma anzi tendono a diminuire, anche significativamente: l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie, a giugno 2023 rispetto a giugno 2022, registra un aumento medio del 3,1%, a fronte di un aumento medio dei prezzi al consumo del 5,9% (ma per i beni alimentari, per la cura della casa e della persona l’aumento annuo è del 10,2%). Senza dimenticare che l’aumento del 5,9% per il 2023 si somma e si combina con quello del 2022, pari al 7,9%.

Ecco perché l’OCSE nel 2022 registra per i salari reali italiani un calo addirittura del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia, a fronte di un leggero incremento (+1,5%) per i salari francesi e di perdite di potere d’acquisto molto più contenute tra il 2 e il 4% negli altri paesi a “capitalismo avanzato”. 

E le previsioni dell’OCSE ipotizzano per l’Italia ulteriori perdite di potere d’acquisto anche per l’anno in corso e per il 2024.

Avevamo già registrato nel 2021 il poco invidiabile primato dei salari italiani, unici tra i paesi dell’OCSE ad essere, dopo 31 anni, a un livello di potere d’acquisto addirittura inferiore (-2,9% in termini reali) rispetto al 1990.

Naturalmente, la perdita di potere d’acquisto ha un impatto più forte sulle famiglie a basso reddito, che hanno una minore capacità di far fronte all’aumento dei prezzi attraverso il risparmio o l’indebitamento. 

Secondo l’Istituto per la previdenza sociale (INPS), il 19,5% delle lavoratrici e dei lavoratori “regolarmente” occupati ha un reddito inferiore a 11.000 euro (è il livello dei working poor) e un altro 9,9% si colloca tra gli 11.000 e i 15.000 euro: si tratta dunque di milioni di lavoratori che hanno un reddito di pura sussistenza, del tutto incapace di affrontare eventi imprevisti anche banali (malattie, incidenti, nascita di figli, ecc.).

Salario lordo di fame significa salario orario di fame: per gli oltre 3 milioni di working poor italiani che hanno un reddito inferiore agli 11.000 euro, perlomeno per chi tra di loro lavora full time, dunque attorno alle 173 ore mensili, quel salario corrisponde a una retribuzione oraria lorda di 4,89 euro.

L’articolo 36 della Costituzione del 1948 (dunque vigente da 75 anni) obbligherebbe il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ma questa “solenne” norma costituzionale è palesemente disattesa non solo per la voracità del padronato ma anche per la moderazione salariale adottata dai sindacati nella sottoscrizione dei contratti.

Occorre ricordare che l’Italia è uno dei pochissimi paesi europei (assieme all’Austria e ai paesi scandinavi) a non avere un salario minimo per legge. I salari sono fissati esclusivamente dagli accordi tra le “parti sociali”, attraverso tabelle contrattuali concordate ogni tre anni. 

E’ impossibile una verifica puntuale di queste tabelle, visto che i contratti in vigore differenziati per i numerosissimi settori di lavoro sono ben 985. Ma non sono pochi i contratti che, soprattutto nel terziario dei servizi e del turismo, pongono come retribuzione mensile cifre di pochissimo superiori ai 1.000 euro (ad esempio, alimentaristi, imprese di pulizia e di vigilanza, custodi, ecc.), corrispondenti dunque a salari orari lordi di poco superiori a 6 euro (a cui vanno sottratti i contributi fiscali e previdenziali).

Lo sottolineiamo, numerosi di questi contratti miserevoli sono sottoscritti dai sindacati confederali (oltre che da numerosi “sindacati” filopadronali e di comodo).

L’iniziativa per il salario minimo

Sono queste le considerazioni che hanno indotto le forze dell’opposizione parlamentare italiana ad avanzare la proposta dell’istituzione di un salario orario minimo fissato per legge a 9 euro.

Il Movimento 5 stelle, fin dal suo nascere, aveva avanzato la proposta dell’istituzione di un salario minimo per legge, quando il Partito democratico era ancora subalterno alla posizione dei sindacati confederali, contrari a questa ipotesi perché toglierebbe loro una parte significativa di quella “autorità salariale” che esercitano (malamente) da decenni.

Oggi, di fronte all’iniziativa unitaria dell’opposizione a favore dell’introduzione anche in Italia di un salario minimo, sostenuta congiuntamente da PD, M5S, Sinistra italiana e, seppure con minore decisione, dalla formazione centrista di Carlo Calenda, la Cgil e la Uil hanno dovuto ammorbidire la loro contrarietà, mentre la Cisl continua a pronunciarsi in maniera nettamente ostile.

Sulla questione si è aperta una partita politica significativa che ha colto in contropiede il governo di destra. 

Giorgia Meloni e i suoi, nei 10 mesi di governo, sono riusciti abbastanza efficacemente a rassicurare la classe dominante, il grande capitale, le istituzioni europee e l’amministrazione statunitense con la loro fedeltà alla politica economica neoliberale. Ma coloro che li hanno portati al governo, anche per pure considerazioni numeriche, sono stati soprattutto i piccoli imprenditori e parte dei ceti medi impoveriti e impauriti dalla crisi: verso questa base sociale la destra ha utilizzato a piene mani la demagogia razzista sui migranti, ma tutto ciò non basta più. 

La crisi morde in maniera crescente, e l’impoverimento di ampi settori sociali si scarica attraverso il calo dei consumi anche sui commercianti e sulle piccole aziende.

Nella sua campagna demagogica contro il Reddito di cittadinanza la destra ha strumentalmente cercato di reclutare la classe lavoratrice, agitando l’argomento degli “oziosi mantenuti da chi paga le tasse”. Ora che l’opposizione è riuscita a portare al centro dell’attenzione il problema di chi pur lavorando è comunque povero, il governo (e soprattutto la premier e il suo partito) non ha potuto controbattere con la consueta arroganza.

Le contraddizioni della destra di governo

Sono emerse però palesi contraddizioni tra gli alleati della coalizione governativa, con una significativa contrarietà di Forza Italia, il partito meno condizionato da una base “popolare”, e della Lega di Salvini, il cui elettorato operaio e popolare è concentrato nel Nord, dove le retribuzioni sono più alte e più tutelate dalla contrattazione sindacale.

Infatti la destra può contare sul fatto che nell’Italia del XXI secolo le diseguaglianze territoriali ereditate dal passato, invece che attenuarsi, si sono incrementate.

Sulla base dell’elaborazione Eurostat per il 2021, nel continente europeo quasi tutte le regioni con meno opportunità di lavoro sono nel Sud Italia: la Campania, la Sicilia, la Calabria, la Puglia (e la Guyana “francese”). In queste regioni il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni è di poco superiore al 41,0%, quando la media italiana è del 58,2% e quella europea del 68,4%. E per le donne la situazione è ancora peggiore, con tassi di occupazione femminile che non superano il 30% nelle regioni del Sud Italia.

Lo scandalo dei “lavoratori poveri” sta scuotendo dal torpore estivo il dibattito pubblico e Giorgia Meloni segue con preoccupazione i risultati dei numerosi sondaggi di opinione che attestano tutti una massiccia quota di opinione pubblica (oscillante tra il 70 e il 75%) favorevole all’introduzione di un salario minimo.

Ma Giorgia Meloni deve anche tenere conto della contrarietà dei suoi alleati, oltre che delle associazioni padronali che continuano a sostenere che lo strumento per difendere i salari è quello della contrattazione, nonostante la semplice constatazione dei fatti attesti il contrario. 

Per chi conosce la burocrazia sindacale italiana non sorprende che tra i contrari ad una legge per il salario minimo vadano annoverati anche i vertici di Cgil, Cisl e Uil che spudoratamente sostengono, in una nota unitaria, che tale norma potrebbe provocare un “abbassamento dei salari e delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori”. La direzione della Cisl si è schierata esplicitamente contro. Cgil e Uil sono più imbarazzate, vista la posizione assunta dal loro “partito di riferimento” (il PD di Elly Schlein), e chiedono più che altro l’introduzione di meccanismi di incentivo alla contrattazione.

Così, la maggioranza si è ricompattata con la tradizionale scelta “paleo democristiana” del “prendere tempo”, approvando, assieme al gruppo di Matteo Renzi, una mozione che rinvia a ottobre la discussione sull’argomento, anche se con tutta probabilità ad ottobre la situazione si ripresenterà in tutta la sua contraddittorietà. La mozione tra l’altro affida il chiarimento della questione al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL, un organo consultivo previsto dalla Costituzionale e formato da esperti di materie economiche e di rappresentanti delle organizzazioni sindacali e padronali). Il Cnel è attualmente presieduto da un campione del neoliberismo, Renato Brunetta, ex ministro dei governi Berlusconi.

Per aggirare la tattica del rinvio adottata dal governo, le opposizioni parlamentari hanno scelto di sviluppare durante l’estate una campagna di raccolta firme (nelle piazze e via web) a sostegno della loro proposta di legge, sulla quale, a dimostrazione dell’impatto che la proposta sta avendo nell’opinione pubblica, hanno raccolto in poche ore più di 200.000 adesioni. Ma occorre anche mettere in luce le caratteristiche contraddittorie e negative di quella proposta. 

Si propone che il salario minimo orario si attesti a 9 euro lordi, per la cui applicazione si concedono alle “parti sociali” (padroni e sindacati maggiormente rappresentativi) 18 mesi di tempo per accordarsi sulle “modalità di applicazione”. 

Il salario minimo non sarà indicizzato rispetto all’inflazione. Verrà istituita una “commissione” (sempre costituita dalle parti sociali) che prenderà periodicamente in esame le variazioni del costo della vita e assumerà le decisioni relative.

Inoltre il differenziale tra il salario attualmente corrisposto al lavoratore e il salario minimo definito dalla legge sarà solo in parte a carico del datore di lavoro, mentre un’altra parte sarà coperta da un “contributo” statale. E’ come dire che i lavoratori (le cui tasse coprono per oltre l’80% il bilancio pubblico) autofinanzieranno l’aumento dei salari più bassi.

Ma il punto più debole per la proposta della sinistra parlamentare è quello politico, che viene utilizzato a pieno dalla destra nella sua controffensiva. Lavoratori poveri e salari scandalosamente bassi non sono apparsi 10 mesi fa con il governo Meloni. Esistono da decenni e mai il PD, che è stato al governo quasi ininterrottamente dal 2011 a oggi, ha indicato questa realtà come un’urgenza né tantomeno ha adottato misure adeguate per superarla.

Comunque, la vicenda sul Reddito di Cittadinanza e la campagna sul salario minimo stanno scuotendo dal torpore la sinistra che, tutta, nelle sue diverse versioni era, fino a qualche settimana fa, solo impegnata a curare le proprie ferite dopo la sconfitta politica ed elettorale di settembre.

La coalizione di Unione popolare (composta dal Partito della rifondazione comunista e da Potere al popolo) ha predisposto una “legge di iniziativa popolare” su cui, anche con il sostegno di altre organizzazioni come Sinistra Anticapitalista, si stanno raccogliendo le 50.000 firme richieste dalle norme.

Questa legge risolve alcuni dei punti deboli della proposta del centrosinistra: fissa a 10 euro il salario minimo lordo orario, indicizzandolo automaticamente all’inflazione e ponendolo integralmente a carico dei datori di lavoro.

La Cgil di Maurizio Landini, da parte sua, ha preso l’iniziativa di convocare assieme ad un centinaio di associazioni una manifestazione nazionale a Roma per il 7 ottobre “per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l’attuazione della Costituzione, contro l’autonomia differenziata (un progetto di forte differenziazione tra le regioni più ricche e quelle più povere) e lo stravolgimento della Repubblica parlamentare (di fronte alla ipotesi presidenzialista del governo). All’iniziativa hanno aderito tutte le organizzazioni e i partiti della sinistra e del centrosinistra.

Demagogia della premier sugli “extraprofitti”

Nei giorni scorsi, certamente allo scopo di distogliere l’attenzione mediatica dalla questione del salario minimo, la premier ha improvvisamente annunciato che i cosiddetti “extraprofitti” delle banche, cioè i maggiori guadagni ottenuti nell’ultimo anno grazie all’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti, sarebbero stati tassati al 40%. 

Il quotidiano “Sole 24 Ore” aveva rivelato poche settimane fa che nel primo semestre di quest’anno le sei principali banche italiane (Intesa San Paolo, UniCredit, Mediobanca, BPM, BPER e MPS) hanno accresciuto del 60% i loro profitti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (che peraltro era già stato per le banche un anno d’oro), per un aumento pari a 11 miliardi di euro.

Si tratta della conseguenza dell’aumento dei tassi di interesse che le banche applicano a mutui e prestiti come riflesso dei rialzi decisi dalla Banca Centrale Europea. Cioè, in poche parole, è il frutto di una sorta di “scala mobile” per i capitalisti bancari, molto simile a quella che per i lavoratori è stata abolita 30 anni fa.

Peraltro, già le banche pagano sui loro profitti molto meno di quanto sono costretti a pagare al fisco le lavoratrici e i lavoratori. Una ricerca dell’EuTax Observatory del settembre 2021 illustra molto bene la situazione di favore fiscale in cui si muovono i principali istituti bancari europei (compresi quelli italiani).

L’ipotesi clamorosamente annunciata da Giorgia Meloni non era stata minimamente concordata nel governo, dato che solo poche settimane prima il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) aveva dichiarato in parlamento: “Non abbiamo in cantiere nessuna tassazione sugli extraprofitti”, smentendo l’ipotesi di seguire l’esempio di quanto fatto da alcuni governi europei, come quello spagnolo. 

Sembra anche che Giorgetti si fosse impegnato in tal senso a fine luglio in un incontro informale che aveva avuto con il presidente dell’ABI (l’associazione dei banchieri). L’annuncio a sorpresa della presidente del consiglio poi l’aveva evidentemente messo in difficoltà, tanto da farlo essere assente dalla conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri del 7 agosto nella quale è stato annunciato il provvedimento.

L’annuncio ha avuto una pesante ricaduta sui titoli borsistici delle banche che nella giornata di martedì 8 hanno “bruciato” 9 miliardi di valore, anche se sono stati largamente compensati dai rialzi dei giorni successivi, dopo che le precisazioni del governo hanno drasticamente ridimensionato l’impatto della misura.

La premier, in un’intervista rilasciata congiuntamente lunedì 14 agosto ai tre maggiori quotidiani del paese (Corriere della Sera, Repubblica e La Stampa), ai giornalisti che le domandavano in che misura i partner di governo fossero stati coinvolti nella decisione ha risposto: “È un’iniziativa che ho assunto io. Punto”. E ha aggiunto: “Ci può essere stata sicuramente una questione di metodo. È più facile intervenire su una misura del genere se la notizia non gira troppo, quindi io mi assumo la responsabilità politica. Tutti i partiti sono sempre estremamente coinvolti, questa è una materia molto particolare e delicata su cui mi sono assunta la responsabilità di intervenire”.

Non è comunque ancora chiaro come funzionerà questa norma, né tantomeno quanto si prevede sarà il gettito. Dopo le prime voci che indicavano entrate per lo stato attorno ai 9 miliardi, ora le cifre che si ipotizzano non superano i 2 miliardi. 

Né è chiaro a che cosa sarà finalizzato questo gettito fiscale “imprevisto”: il vice presidente Matteo Salvini ha dichiarato che sarà usato per “aiutare le famiglie in difficoltà coi mutui prima casa” e per coprire “il taglio delle tasse per famiglie e imprese” che il governo vuole adottare nell’ambito della sua “riforma fiscale”.

Comunque l’iniziativa ha avuto il merito di riportare alla luce le contraddizioni interne alla maggioranza, in particolare tra l’ala più “populista” (quella impersonata dalla stessa presidente Meloni e dal suo vice Salvini) e quella più tradizionalmente neoliberale di Forza Italia (e dello stesso ministro Giorgetti).

Forza Italia critica la proposta apertamente, descrivendola come “illegittimamente retroattiva” (perché si applicherebbe sui profitti ricavati nel 2022) e rischiosa per la “credibilità internazionale” del paese.

L’iniziativa cerca di rispondere alla permanente e concreta contraddizione tra i due punti di riferimento dell’azione del governo della destra, da un lato i settori dominanti della borghesia, di cui i vertici bancari sono parte essenziale, dall’altro la base sociale piccolo borghese che ha consentito alla destra di vincere le elezioni del settembre scorso e che è colpita dalla crisi, che chiede continuamente sovvenzioni e che oggi paga anche, con il rialzo dei tassi, il surplus di profitti delle banche e dei grandi capitalisti.

A differenza dei governi “tecnici” che sono largamente insensibili alla ricerca del consenso, il governo Meloni fin dalla sua formazione ha dovuto destreggiarsi equilibristicamente tra questi due punti di riferimento. Finché ci si poteva limitare alla strumentalizzazione razzista dei migranti o alla colpevolizzazione dei percettori del RdC, l’azione poteva essere facile. 

Ma qualcuno ha fatto notare a Giorgia Meloni che gli 11 miliardi di extraprofitti accumulati dalle banche nel 2022 costituiscono in grande parte uno spostamento di reddito dai debitori alle banche creditrici, soldi sottratti alle piccole imprese e ai piccoli proprietari.

Le piccole imprese, finché possono, scaricano questo aumento dei costi bancari sui consumatori, ma quando la contrazione dei consumi intralcia l’aumento dei prezzi finali, il meccanismo non funziona più.

Così Meloni e Salvini si sono “inventati” l’imposta sugli extraprofitti bancari, molto probabilmente pensando di destinare le risorse che ne ricaveranno, poche o tante che siano, a sostenere quella piccola borghesia “sofferente” che è essenziale per la loro tenuta elettorale e politica.

Fino a pochi mesi fa la destra cavalcava le proteste dei piccoli imprenditori in difficoltà per la crisi. Oggi sta al governo e vuole evitare che nuove iniziative di protesta minino la sua base di consenso. E’ così che cerca di far quadrare il cerchio. La tassa sugli extraprofitti si delinea come un Robin Hood che toglie qualcosa ai ricchi più ricchi per dare qualcosa ai ricchi meno ricchi. I poveri si arrangino.

Stati Uniti, 340.000 lavoratrici e lavoratori di UPS verso lo sciopero dal 31 luglio


Negli Stati Uniti, i 340.000 dipendenti della logistica dell’UPS si preparano allo sciopero per migliorerare la loro vita. Le trattative sindacali si sono arenate dopo che l’azienda e il sindacato Teamsters che li organizza non sono riusciti a raggiungere un accordo. La grande vertenza ha messo in moto anche la sinistra politica. Bernie Sanders, in un tweet ha dichiarato: “Se UPS può spendere più di 8,4 miliardi di dollari in riacquisti di azioni e dividendi quest’anno, può permettersi di offrire salari, benefit e condizioni di lavoro migliori ai suoi dipendenti”

Anche Alexandria Ocasio-Cortez (la deputata di punta di “the Squad”, il gruppo di deputati e deputate radicali e socialisti emersi dopo la prima campagna presidenziale del senatore Bernie Sanders), in occasione di un incontro con i lavoratori UPS a New York il 7 luglio, ha dichiarato: “Ciò che stiamo per intraprendere richiede la solidarietà di tutti noi. La vostra lotta qui è all’avanguardia di una battaglia per la dignità di tutti i lavoratori di questo paese”. E sottolineato come questa azione di sciopero, se dovesse avere luogo, sarebbe una delle più grandi mai realizzate contro un singolo datore di lavoro e si unirebbe alla mobilitazione e all’azione di sciopero di circa 100.000 sceneggiatori e attori di Hollywood.

di Naomi LaChance, da Truthout

I lavoratori dell’UPS si stanno allenando a fare picchetti in vista di uno sciopero storico se i Teamsters e il gigante delle consegne di pacchi non raggiungeranno un accordo prima della scadenza del loro contratto, il 31 luglio. 

Le trattative si sono arenate dopo che l’azienda e il sindacato non sono riusciti a raggiungere un accordo. Il 97% dei Teamsters ha votato per autorizzare lo sciopero.

Il contratto si applica a 340.000 lavoratori a tempo pieno e parziale. Picchetti di prova, in cui i lavoratori si radunano fuori da un luogo di lavoro come se fossero in sciopero, si sono svolti di recente in tutto il paese, tra cui in Connecticut, Louisiana, Michigan, Oregon e California, dove i lavoratori tenevano cartelli con la scritta “Solo pratiche per un contratto giusto”.

“Ognuna delle due parti incolpa l’altra per ciò che è accaduto al tavolo delle trattative”, ha dichiarato a Truthout Richard Hooker Jr., segretario-tesoriere e principale dirigente del Teamsters Local 623 di Philadelphia. Ma per Hooker è chiaro quale sia la parte colpevole. “La UPS ha scelto di tirarla per le lunghe e ora, quando il tempo sta per scadere, vuole puntare il dito contro i Teamsters, quando noi siamo stati pronti, disposti e in grado di negoziare fin dall’inizio. Quindi stanno solo cercando di far sembrare che la classe operaia o le famiglie dei lavoratori siano i cattivi, quando invece sono loro. Sono loro che hanno causato tutti questi problemi”.

Il lavoro all’UPS può essere duro. I lavoratori devono fare i conti con le temperature elevate dovute alla crisi climatica, ad esempio. Inoltre, non hanno avuto il lusso di rimanere a casa durante le serrate COVID-19. Invece, l’onere è ricaduto su di loro quando la gente ha evitato di fare acquisti di persona.

I Teamsters hanno ottenuto una grande vittoria quando l’azienda ha accettato di installare l’aria condizionata nei camion a partire dal prossimo anno, ma i cambiamenti non hanno soddisfatto tutte le richieste fondamentali del sindacato.

Le richieste economiche

Queste richieste sono principalmente di natura economica, come l’aumento dei salari per tutti i lavoratori, anche per quelli che lavorano in azienda da molto tempo, e per i lavoratori part-time. I Teamsters chiedono anche un miglioramento delle prestazioni pensionistiche e la tutela delle prestazioni sanitarie e assistenziali.

“Questa società multimiliardaria ha molto da dare ai lavoratori americani, solo che non vuole”, ha dichiarato il presidente generale dei Teamsters Sean O’Brien. “La UPS aveva una scelta da fare e ha chiaramente scelto di percorrere la strada sbagliata”.

Una delle richieste su cui UPS e i Teamsters non sono riusciti a trovare un accordo è l’aumento dei salari per i lavoratori part-time.

“Probabilmente ci separano dai 6 ai 7 dollari l’ora per quanto riguarda la retribuzione iniziale dei lavoratori part-time, ma anche per quanto riguarda i dipendenti a lungo termine”, ha dichiarato O’Brien a Supply Chain Dive.

“I lavoratori part-time vengono fregati, sfruttati e dimenticati”, ha dichiarato il segretario generale-tesoriere dei Teamsters Fred Zuckerman. “Il sindacato dei Teamsters deve porre fine a questa situazione una volta per tutte alla UPS. Se il modello di sfruttamento dell’azienda non finisce ora, non finirà mai”.

O’Brien ha detto a Bloomberg che un altro problema nelle trattative è che un lavoratore a tempo pieno dell’UPS può guadagnare 93.000 dollari all’anno, ad esempio, ma solo quando lavora 60-65 ore alla settimana.

Hooker ha dichiarato a Truthout che vorrebbe “salari elevati, più posti di lavoro a tempo pieno per i lavoratori part-time, condizioni di lavoro migliori e più sicure” e “una procedura di reclamo più reattiva”. Ha detto che l’azienda si ritorce contro i lavoratori che denunciano le condizioni di lavoro, disciplinandoli o licenziandoli, e ha aggiunto: “Soprattutto, dobbiamo sbarazzarci delle molestie”. L’anno scorso, quattro lavoratori hanno dichiarato a The Nation che l’UPS li ha licenziati per il loro coinvolgimento nel sindacato.

“Come il litigio per un cucciolo”

Nel 2022, l’UPS ha registrato un profitto record di 11,3 miliardi di dollari su un fatturato di 100 miliardi di dollari. L’amministratrice delegata dell’UPS, Carol Tomé, ha dichiarato agli investitori in occasione di una telefonata sui guadagni ad aprile che l’azienda sta lavorando per “proteggersi nell’improbabile caso di un’interruzione del lavoro”. Nel 2022, questo supermanager ha percepito un compenso totale di 19 milioni di dollari.

Durante la telefonata, Tomé ha paragonato le trattative a un litigio tra moglie e marito su di un cucciolo.

“Come ogni trattativa”, ha detto, “ci saranno rumori e qualche intoppo lungo il percorso. E io ho appena avuto una discussione con mio marito per un cucciolo. È stato rumoroso, è stato soffocante…. Ma in ogni negoziato sarà così, e certamente è così anche in questo caso. Ed è per questo che torno alla nostra strategia di vendita che prevede che questi dirigenti di grande impatto abbraccino i nostri clienti e si assicurino che si sentano a loro agio con noi perché siamo sicuri che rispetteremo il nostro contratto”.

“Ho capito. Grazie. Buona fortuna con il cucciolo”, ha risposto chi partecipava all’incontro telefonico a nome della Deutsche Bank.

I Teamsters hanno fatto qualche progresso nelle trattative. A giugno hanno ottenuto l’installazione dell’aria condizionata sui camion UPS, che inizierà l’anno prossimo.

“Abbiamo fatto progressi con l’accordo provvisorio per l’aria condizionata, la mitigazione del calore e altre voci non economiche”, ha dichiarato a Truthout il vicedirettore del Dipartimento di Iniziative Strategiche dei Teamsters, Kara Deniz. “Questo accordo provvisorio è soggetto alla ratifica dell’accordo nazionale e UPS deve stipulare un contratto con i salari che i lavoratori a tempo parziale e a tempo pieno UPS meritano”.

Le condizioni di lavoro

Ma l’accordo provvisorio non è arrivato abbastanza presto. L’estate scorsa, il lavoratore dell’UPS Esteban Chavez Jr. è collassato dopo aver consegnato dei pacchi in una giornata calda nella zona di Pasadena, in California. La temperatura era di oltre 35 gradi e nel suo camioncino faceva ancora più caldo. È morto per il caldo solo un giorno dopo aver compiuto 24 anni.

“Fa male, è un dolore che non passerà mai. È una cosa che non auguro a nessuno, avere l’esperienza di perdere il proprio figlio”, ha detto l’anno scorso il padre di Chavez, Esteban Chavez Senior.

I dati dell’Amministrazione per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA) mostrano un caso dell’agosto 2021 in cui un dipendente è morto alle 2 del mattino dopo aver sollevato e trasportato scatole nel caldo. Secondo i media locali, il lavoratore si chiamava Jose Cruz. Aveva 23 anni.

L’esame dei dati dell’OSHA da parte di Truthout ha rivelato molti incidenti inquietanti all’interno dell’UPS, chiarendo che i lavoratori svolgono mansioni pericolose. Truthout ha esaminato 219 casi negli Stati Uniti, aperti o chiusi, con violazioni, negli ultimi cinque anni. Almeno 24 di questi incidenti erano legati al lavoro nel caldo. In almeno sei di questi casi, il lavoratore è stato portato in ospedale.

Viviana Gonzalez, autista e shop steward (l’equivalente del nostro delegato, ndt) del Teamsters Local 396 di Palmdale, in California, lavora nel deserto e ha detto di non avere alcuna protezione dal caldo. Ha detto che alcuni dei suoi colleghi hanno problemi ai reni, che lei attribuisce alla disidratazione dovuta al lavoro nel deserto.

L’aria condizionata, ha detto Gonzalez a Truthout, è “una grande vittoria”. E ha aggiunto: “Questo è il potere di avere un sindacato: dopo tanti anni siamo diventati così forti nella nostra unità… questi sono i risultati dell’avere un sindacato rispetto al non averlo”.

L’UPS ha dichiarato a Truthout che l’azienda ha “molto a cuore i nostri dipendenti, e la loro sicurezza rimane la nostra massima priorità. La sicurezza sul calore non fa eccezione. Abbiamo raggiunto un accordo sulla sicurezza contro il caldo con i Teamsters, che include nuove misure che si basano su importanti azioni proposte ai dipendenti UPS in primavera, tra cui nuove attrezzature di raffreddamento e una maggiore formazione sviluppata in collaborazione con gli esperti di scienza dello sport dell’Istituto Korey Stringer dell’Università del Connecticut, l’Istituto di scienza dello sport Gatorade e Mission, un’azienda di abbigliamento performante”.

A quanto pare, però, UPS non ha intenzione di installare l’aria condizionata nei magazzini. Questi magazzini hanno l’aria condizionata solo negli uffici della direzione, ha detto Hooker della Local 623 Teamsters. “L’aria condizionata è un buon passo nella giusta direzione, ma dobbiamo anche assicurarci che i nostri lavoratori del magazzino abbiano un qualche tipo di sollievo dal caldo”, ha detto.

UPS non ha fatto commenti sull’aria condizionata nei magazzini.

In un caso del giugno 2019, secondo l’OSHA, un lavoratore di Fort Lauderdale, in Florida, stava consegnando pacchi al caldo e ha iniziato a soffrire di crampi. Piuttosto che permettere al lavoratore di ottenere assistenza medica o di andare a casa, il suo supervisore lo ha raggiunto sul camion e lo ha aiutato a consegnare i pacchi. 

Quando il dipendente ha finito il suo turno, era troppo dolorante per raggiungere il suo veicolo personale. È stato ricoverato in ospedale per esaurimento da calore e gli è stata diagnosticata la rabdomiolisi, una rottura dei tessuti muscolari che può essere fatale o causare un’invalidità permanente. L’UPS è stata sanzionata con 9.282 dollari.

Truthout ha anche identificato sei casi OSHA relativi alle norme di sicurezza COVID. Sebbene questi incidenti non siano dettagliati, mostrano l’obbligo per le aziende di stabilire una procedura scritta di prevenzione del COVID. I lavoratori dell’UPS hanno dovuto continuare a lavorare di persona, mentre molte persone sono rimaste a casa durante il blocco COVID.

“Abbiamo prodotto per l’azienda miliardi di dollari e lavoriamo per tonnellate di ore”, ha detto Gonzalez, membro del Teamsters Local 396. “Mettiamo a rischio noi stessi per COVID, le nostre famiglie per COVID. E penso che sia piuttosto triste che l’azienda voglia accaparrarsi tutti i profitti, e questo è un grosso problema perché se vi prendeste cura dei vostri dipendenti, ve ne saremmo grati”.

Il presidente dei Teamsters O’Brien ha dichiarato a Breaking Points che i membri del sindacato hanno trasportato vaccini quando “non ne avevano nemmeno diritto”.

I dati dell’OSHA rivelano anche diversi episodi di amputazione delle dita delle mani e dei piedi dovuti al lavoro presso l’UPS. In un caso del febbraio 2022, un dito del piede di un dipendente è stato amputato chirurgicamente dopo che il sigillo sul fondo di una scatola ha ceduto e un oggetto pesante è caduto sul piede del dipendente. La UPS ha ricevuto una sanzione di 18.646 dollari.

Truthout ha identificato sei incidenti in cui un lavoratore è morto negli ultimi cinque anni. Nel 2018, un dipendente del Kentucky è morto quando è stato risucchiato da un sistema di trasporto, secondo l’OSHA. Alla UPS è stata comminata una sanzione di 14.000 dollari.

Hooker ha detto che c’è stato un caso in cui una lavoratrice, Cynfiah Burnell, è caduta da una scala e si è rotta il polso. L’UPS l’avrebbe fatta “sedere lì per ore e ore e ha aspettato che i pacchi fossero finiti prima di portarla a farsi curare”. Ha detto che ha ricevuto dei soldi per l’incidente, ma questo non ha risolto il problema di fondo dell’indegnità sul posto di lavoro.

Nell’aprile del 2021, Robert Cowie, ex direttore delle relazioni sindacali del distretto di Chesapeake dell’UPS, ha scritto alla Hooker una lettera sull’incidente e sulla successiva manifestazione. “Voglio che sia chiaro che l’UPS è d’accordo con lei sul fatto che la situazione avrebbe potuto essere gestita meglio”, ha scritto. “Ne siamo consapevoli. Non crediamo che il nostro team di gestione abbia agito con cattiveria. Tuttavia, anche in questo caso, la situazione poteva essere gestita meglio e ci impegniamo a fare del nostro meglio per assicurarci che le situazioni future siano gestite in modo più conforme ai valori di UPS”.

Hooker non è soddisfatto di questa risposta. “UPS ha fatto così tanti soldi”, ha detto, “e ha fatto così tanti soldi, che possono semplicemente pagare queste violazioni…. Si limiteranno a buttare via i soldi invece di risolvere i problemi perché hanno così tanti soldi”.

Le risposte aziendali

Gonzalez ha anche detto che l’azienda non si prende cura dei suoi lavoratori. Questa azienda non tocca il loro cuore e non dice: “Prendiamoci cura della nostra gente. Prendiamoci cura di loro perché ci hanno appena dato miliardi di dollari”. Continueranno solo ad accaparrarsi i profitti”, ha detto la signora.

In una dichiarazione, l’UPS ha affermato che l’azienda ha “investito più di 343 milioni di dollari negli Stati Uniti nel 2022 per la formazione sulla sicurezza” e che “coinvolge i suoi dipendenti in prima linea in questo processo”. “Rispettiamo tutti gli standard OSHA applicabili. Apprezziamo qualsiasi opportunità di rivedere e migliorare le politiche e gli standard di sicurezza che proteggono la nostra forza lavoro”.

Gonzalez, nel frattempo, è intervenuto di recente a un evento OSHA a San Diego. “Ho espresso la mia opinione sul fatto che queste aziende faranno il minimo indispensabile di ciò che le leggi richiedono”, ha detto. “Ho detto loro: è molto importante che voi stabiliate delle leggi perché queste aziende faranno il minimo indispensabile per fornirci ciò che voi dite”.

L’UPS e i Teamsters hanno ancora un po’ di tempo per raggiungere un accordo. “Rifiutarsi di negoziare, soprattutto quando il traguardo è in vista, crea un notevole disagio tra i dipendenti e i clienti e minaccia di sconvolgere l’economia degli Stati Uniti”, ha dichiarato UPS in un comunicato.

Lo sciopero potrebbe spingere i lavoratori di altre aziende, come Amazon, a chiedere migliori condizioni di lavoro. I Teamsters si sono organizzati presso il gigante dell’e-commerce, che collabora con UPS. I lavoratori di quattro stati hanno scioperato, anche a Palmdale, dove lavora Gonzalez.

“In questo momento di maggiore solidarietà sindacale”, hanno scritto i Teamsters su Facebook, “i Teamsters dell’UPS stanno lottando per tutte le famiglie di lavoratori – e lottano per reclamare ciò che significa essere un lavoratore in America. Stiamo lottando per un futuro in cui tutti i lavoratori partecipino ai profitti che creano, con condizioni di lavoro dignitose in posti di lavoro stabili e di classe media che sostengano le loro famiglie. Basta con i lavoretti, basta con la lotta per le briciole”.

“La possibilità di sciopero, in questo momento, è molto, molto forte”, ha detto Hooker. “Oggi come oggi, non vedo altra via se non quella dello sciopero”.

Lavoratori ucraini rifugiati sfruttati nei Paesi Bassi

dal sito del a CNV, 8 giugno 2022


Abbiamo ricevuto dall’Olanda e pubblichiamo questa segnalazione di un evidente caso di vero e proprio caporalato che coinvolge un gruppo di rifugiati ucraini scappati in occidente. Purtroppo non abbiamo notizia di analoghi sforzi di monitoraggio qui in Italia sull’uso nel mercato del lavoro di coloro che sono stati costretti a lasciare il proprio paese in seguito all’invasione russa.

“Completamente immorale e condannabile”. Henry Stroek della CNV Vakmensen, la Federazione nazionale olandese dei sindacati cristiani, non ha buone parole per i “contratti di lavoro” di un gruppo di dipendenti ucraini, che attualmente lavorano nel vivaio Vreugdenhil Bulps & Plants di ‘s-Gravenzande (Westland). “Non si può credere ai propri occhi quando si vede quello che c’è scritto”. Il documento stabilisce, ad esempio, che in caso di violazione delle regole, i dipendenti possono essere espulsi in Ucraina. “Depotarcia”, deportato, è scritto letteralmente lì!

Il team del CNV ha ricevuto una segnalazione su un gruppo di oltre 30 lavoratori ucraini della Westland. “Abbiamo visitato le persone a casa. All’inizio si sono nascosti ed erano terrorizzati”, racconta Stroek. “Grazie alle donne di lingua polacca del nostro team, siamo finalmente riusciti a conquistare la loro fiducia. Siamo rimasti scioccati dai testi degradanti contenuti nei contratti che hanno firmato”.

Multe e minacce

Il team del CNV dispone di contratti (e relative traduzioni) che gli ucraini hanno firmato in Polonia con la società JANPOL. Questa azienda ha dato – secondo i dipendenti 1.000 Zl (pari circa a 220 euro) di aiuto – per il viaggio verso i Paesi Bassi, dopodiché sono stati messi al lavoro attraverso l’AUB Van Bergen Personeelsdiensten presso Vreugdenhil Bulbs & Plants intorno al 1° maggio. I contratti contenevano numerose clausole repressive (detrazione del 20% della retribuzione in caso di errori), un avvertimento per aver parlato con persone nei Paesi Bassi delle loro condizioni di lavoro (multa di 500 euro) e la minaccia di “deportazione” in Ucraina in caso di violazione delle clausole contrattuali. Inoltre, per tutto il tempo in cui lavorano nei Paesi Bassi, gli ucraini – che nei contratti vengono sistematicamente definiti “appaltatori” e non “dipendenti” – devono pagare alla JANPOL una tassa amministrativa mensile di 50 euro. […]

Situazione di emergenza

Il CNV Vakmensen ritiene che questa situazione sia un’emergenza umanitaria che deve essere risolta al più presto. Stroek spiega: “La gente ha paura e non ha quasi più soldi. Riceveranno il primo pagamento solo il 20 giugno. Chiediamo che Vreugdenhil Bulbs & Plants – che è l’appaltatore principale – offra immediatamente a queste persone un contratto decente, almeno per sei mesi. E fornire un anticipo di 250 euro, in modo che le persone siano fuori dai guai peggiori. Per quanto ci riguarda, i contratti che hanno firmato devono finire direttamente nel tritacarne”.

Spostamento di altri lavoratori

Ora che il governo olandese ha deciso che gli ucraini possono rimanere e lavorare nei Paesi Bassi, diverse aziende vedono in questo un’opportunità, osserva Stroek. La carenza di personale è un forte incentivo a reclutare ucraini. Non conoscono ancora le regole dei Paesi Bassi e, a causa della guerra nel loro paese, dipendono ancora di più dal datore di lavoro olandese. Il risultato è che i lavoratori migranti che si presentano oggi si sentono dire che i loro contratti sono stati rescissi, non prorogati o che sono stati intimiditi. Oltre al lavoro, perdono anche l’alloggio. […]

Combattere le situazioni illegali

Il CNV Vakmensen chiede anche l’intervento del governo attraverso l’Ispettorato del lavoro/SZW, del governo regionale e dei comuni. È incomprensibile che gli ucraini possano lavorare in questo modo nel comune di Westland. Ci aspettiamo che il governo si assuma la responsabilità di reprimere questo tipo di situazioni illegali. Purtroppo siamo convinti che non si tratti di un caso isolato.

Bielorussia, il sindacato indipendente Naftan sotto repressione

dal sito del BDKP, 28 maggio 2022


La sezione sindacale del sindacato indipendente bielorusso Naftan di Novopolotsk è stata sgomberata dai suoi locali. In precedenza, la registrazione dell’organizzazione era stata cancellata.

I rappresentanti del sindacato affermano di avere intenzione di appellarsi alla decisione in tribunale, quindi non hanno intenzione di lasciare la sede. Due settimane fa, Olga Britikova, presidente del sindacato indipendente Naftan, è stata rilasciata dopo 75 giorni di arresto.
Di recente si è assistito a una vera e propria caccia ai sindacati indipendenti da parte delle forze di sicurezza. Un mese fa i loro uffici sono stati perquisiti e le persone presenti sono state arrestate.
Gli attivisti per i diritti umani hanno riconosciuto gli attivisti detenuti come prigionieri politici. Il 25 maggio era stata effettuata una perquisizione presso l’ufficio del Sindacato Indipendente Bielorusso a Soligorsk. Il leader sindacale Aleksandr Mishuk è stato arrestato e probabilmente portato a Minsk.

I Raider ucraini chiedono salari dignitosi


I lavoratori delle piattaforme informatiche in Ucraina, molti dei quali sono stati sfollati dalle loro case, chiedono salari dignitosi mentre continuano a lavorare durante la guerra.
Il 12 maggio, i fattorini di Lviv si sono recati presso la sede di Bolt Food per esprimere le loro richieste e aprire un dialogo con l’azienda. I partecipanti alla mobilitazione si sono presentati celando la propria identità [incappucciati o con il casco da moto], poiché sostengono che l’azienda ha punito i lavoratori in passato escludendoli dall’applicazione attraverso “licenziamenti robotizzati” e “sospensioni robotizzate”.
Molti dei fattorini di Lviv sono fuggiti dalle città colpite dalla guerra in Ucraina. In molti casi, sono senza fissa dimora o sono gli unici a mantenere la famiglia. In un video prodotto dall’associazione ucraina Labor Initiatives, i lavoratori descrivono la loro situazione.

“Io sono di Mykolaiv”, dice un lavoratore. “Mia madre e mio padre hanno perso il lavoro lì. Non ho un posto dove vivere qui e non ho nemmeno abbastanza soldi per mangiare. Bolt Food ha dichiarato che avrebbe offerto condizioni favorevoli. Sia per loro stessi che per i corrieri. Ma non hanno avvertito nessuno, hanno tolto il salario minimo, hanno abbassato tutti gli indici di spesa”. “Come dovrebbero vivere gli sfollati, coloro che non hanno un alloggio, un lavoro [e] nulla da mangiare?”.

Un altro lavoratore descrive il deterioramento della retribuzione. “Hanno eliminato il pagamento minimo per la consegna. E i rapporti sono stati ridotti di quasi la metà. In questo caso, un collega ha calcolato che ciò ha causato, approssimativamente, una riduzione del 52% dei salari”.

Secondo i lavoratori, l’azienda non ha spiegato le ragioni di questi cambiamenti. Nel frattempo, i lavoratori che usano auto e moto e devono fare il pieno di benzina per andare al lavoro devono fare i conti con l’aumento dei prezzi del carburante. “Il carburante fa parte delle mie spese”, ha detto un lavoratore. “Ora non so nemmeno se posso permettermelo”.

Le richieste di questi lavoratori chiariscono che le piattaforme stanno violando i diritti dei lavoratori in ambienti estremi, utilizzando la tecnologia che le aziende hanno messo in atto per massimizzare i loro profitti.

Le aziende di consegna “non sono regolamentate in modo adeguato”, ha dichiarato un addetto alle consegne. “Ogni azienda fa quello che vuole. Alcune piattaforme impiegano persone come ‘appaltatori privati’, altre si limitano a dire: ‘Sei collegato alla piattaforma’ e devi esserne grato. Di conseguenza, ci sono molti problemi”.

“E se dopo tutto questo”, ha continuato, “si formeranno dei sindacati… sarà fantastico. Le persone dovrebbero avere uno strumento per risolvere i loro problemi. Per quanto possa sembrare strano, potrebbe persino salvare loro la vita”.

Ucraina, la nuova legge sul lavoro è inaccettabile

Dichiarazione della Confederazione dei sindacati indipendenti dell’Ucraina (KVPU)

dal sito kvpu.org.ua

Nonostante i ripetuti avvertimenti della Confederazione dei sindacati indipendenti dell’Ucraina (KVPU) e di altre organizzazioni sindacali e istituzioni internazionali, la maggioranza parlamentare ha comunque approvato in prima lettura il disegno di legge n. 5371 “Sugli emendamenti ad alcuni atti legislativi volti a migliorare le relazioni di lavoro nelle piccole e medie imprese e a ridurre gli oneri amministrativi sulle attività imprenditoriali”.

Come si legge nella nota esplicativa, l’obiettivo del disegno di legge è quello di migliorare la regolamentazione dei rapporti di lavoro nel settore delle piccole e medie imprese e di ridurre gli oneri amministrativi sulle attività imprenditoriali. Ma in realtà, commentando l’adozione del disegno di legge, Mykhailo Volynets, capo della Confederazione dei sindacati liberi dell’Ucraina (KVPU), ha affermato che “libera le mani dei datori di lavoro e in sostanza mina i diritti dei lavoratori”.
Il disegno di legge propone una serie di modifiche al Codice del lavoro dell’Ucraina, nonché alle leggi “sulle associazioni professionali”, “sulle ferie” e “sui congedi”.

Un’ampia gamma di rapporti di lavoro è stata sottratta al quadro normativo del Codice del lavoro. In particolare, viene introdotto un regime di regolamentazione del lavoro puramente contrattuale:
  • per le piccole e medie imprese con un massimo di 250 dipendenti;
  • tra un datore di lavoro e un dipendente il cui salario mensile sia superiore di 8 volte al salario minimo intercategoriale.
Le parti coinvolte in un contratto di lavoro possono regolare il loro rapporto in parte a “propria discrezione su una base reciprocamente concordata”:
  • sistemi retributivi; 
  • standard lavorativi 
  • standard di lavoro 
  • l’importo dei salari, tenendo conto della forza lavoro minima prevista dalla legge 
  • bonus, guadagni e altre retribuzioni, compensi e premi di sicurezza 
  • orari di lavoro e periodi di riposo, che devono corrispondere alla durata della giornata lavorativa e dell’orario di lavoro 
  • la durata del periodo di riposo settimanale; 
  • altri diritti e garanzie.
Ciò comporterà un peggioramento del contratto di lavoro per il dipendente rispetto alla normativa vigente.

Il datore di lavoro ha il diritto illimitato di recedere unilateralmente dal contratto di lavoro di propria iniziativa (art. 498(2) del nuovo Codice del lavoro nei limiti dei motivi previsti dagli artt. 40 e 41 del Codice del lavoro e dall’art. 41 della CBE).
Tuttavia, il disegno di legge non richiede che il datore di lavoro fornisca i motivi del licenziamento. Pertanto, un dipendente non potrà appellarsi a un tribunale in caso di violazione dei suoi diritti, perché secondo il disegno di legge 5371 il datore di lavoro non è tenuto a giustificare il licenziamento. Il datore di lavoro è tenuto a pagare solo l’indennità stabilita nel contratto di lavoro.
L’ufficio legale del KVPU ritiene che la proposta di dare al datore di lavoro il diritto illimitato di licenziare i dipendenti su loro richiesta non sia in linea con la legislazione europea.
  • Articolo 4 della Convenzione OIL 158 sulla cessazione del rapporto di lavoro su iniziativa del datore di lavoro;
  • Articolo 24 della Carta sociale europea.
Il disegno di legge 5371 comprende anche altre disposizioni che discriminano i lavoratori.
Permette ai datori di lavoro di stabilire salari diversi per lo stesso lavoro, comprese le indennità, gli straordinari, i bonus, ecc. Il datore di lavoro potrà anche imporre ai dipendenti il lavoro straordinario, il lavoro nei giorni festivi, nei giorni non lavorativi e nei fine settimana.

Secondo l’articolo 497(1) della nuova legge sul lavoro, è consentito pagare i salari ai dipendenti una volta al mese. È vero che ciò non è in linea con l’articolo 4 della Sezione II della Raccomandazione OIL n. 85 sulla protezione dei salari, che stabilisce che le condizioni massime per il pagamento dei salari ai dipendenti devono garantire che i salari siano pagati almeno due volte al mese.
Il progetto del nuovo articolo 5. L’articolo 21, paragrafo 5, recita: “I rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro derivanti dal contratto di lavoro, nella misura in cui non sono regolati dal presente Codice, sono disciplinati dalle disposizioni generali del Codice civile dell’Ucraina in materia di rapporti contrattuali”. Ciò è contrario ai principi fondamentali del diritto del lavoro, secondo i quali i rapporti di lavoro non sono rapporti di diritto civile, in quanto il datore di lavoro e il lavoratore non sono parti uguali in questi rapporti (il datore di lavoro determina il luogo e l’orario e stabilisce le regole della prestazione lavorativa).

“Una simile proposta di legge è assolutamente inaccettabile per qualsiasi motivo, e del tutto abusiva durante lo stato di guerra, quando i dipendenti sono già intrinsecamente limitati nei loro diritti. Il governo ucraino è felice di assecondarlo per il momento, consapevole della sua responsabilità di preservare la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato”, ha aggiunto Mykhailo Volynets. Gli emendamenti proposti alla legislazione sul lavoro contraddicono fortemente la Costituzione ucraina, le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro ratificate dall’Ucraina, la Carta sociale europea e le direttive dell’UE a cui l’Ucraina aspira ad aderire. Il progetto di legge è stato valutato negativamente anche dalle organizzazioni di polizia in Ucraina e all’estero, nonché dalla Confederazione internazionale dei sindacati e dall’Organizzazione internazionale del lavoro. L’Ucraina ha bisogno di un codice del lavoro europeo civilizzato che sia una forza trainante per il ritorno dei lavoratori all’estero e degli sfollati al fine di ricostruire il nostro Paese. Pertanto, la priorità principale delle autorità dovrebbe essere la creazione di posti di lavoro socialmente soddisfacenti e la garanzia di giustizia sociale. Per il momento, però, è un peccato che alcuni rappresentanti delle autorità abbiano interesse a far sì che gli ucraini in età lavorativa vadano a lavorare all’estero o rimangano qui con diritti ridotti e salari bassi.

Inoltre, il parere del Comitato per l’Integrazione Europea su questo documento è il seguente: “Il disegno di legge, nella formulazione proposta, indebolisce il livello di protezione del lavoro e riduce la portata dei diritti del lavoro e delle garanzie sociali dei dipendenti rispetto all’attuale legislazione nazionale. Ciò è incompatibile con gli obblighi dell’Ucraina previsti dal Trattato di associazione e non è in linea con il diritto dell’UE. Pertanto, sarà utile ricordare agli autori del disegno di legge №5371 e a coloro che hanno votato per la sua adozione in prima lettura che questa e altre iniziative legislative simili danneggiano i diritti dei lavoratori. I parlamentari non stanno accorciando, ma allungando il percorso dell’Ucraina verso l’UE”.