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Ucraina-Russia, otto verità

Contrastare le illusioni complottiste sulla guerra russo-ucraina


di Yorgos Mitralias


In un momento in cui il tentativo di colpo di stato di Yevgeny Prigozhin e la successiva brutale eliminazione di Prigozhin stesso e degli altri leader dell’esercito privato della Wagner danno luogo a una valanga di commenti stravaganti tutti complottisti e cospirativi in varia misura, non c’è niente di meglio che attenersi ai fatti e alle prove, che abbondano in questa guerra russo-ucraina. Quindi, per aiutara a trovare la strada in questo labirinto da incubo, diamo un’occhiata ad alcune di queste sconvolgenti verità…


1. Innanzitutto, se oggi parliamo delle conseguenze catastrofiche di questa guerra, che dura ormai da 18 mesi, lo dobbiamo al presidente ucraino Volodymir Zelensky. E perché? Perché è stato lui a cogliere di sorpresa tutti, non solo gli strateghi del Cremlino ma anche gli alleati occidentali, Stati Uniti in testa, quando, all’indomani dell’invasione del suo paese da parte dell’esercito russo, ha scelto di rimanere in patria e di combattere fino in fondo, rifiutando la proposta del presidente Biden di esfiltrazione dall’Ucraina con la sua ormai storica frase: “La battaglia si combatte qui, in Ucraina. Ho bisogno di armi, non di un taxi”. 


Quello che è successo dopo ha dimostrato che la scelta di Zelensky di resistere è stata pienamente condivisa dalla stragrande maggioranza dei suoi compatrioti, compresi i cittadini di lingua russa. Ecco perché la presunta “passeggiata” dell’esercito russo si è rapidamente trasformata in una disfatta e perché non è riuscito a conquistare Kiev e il resto dell’Ucraina in 3-4 giorni, come avevano previsto il Cremlino e la NATO. E perché gli alleati occidentali, sotto la pressione dell’opinione pubblica, sono stati costretti a cambiare radicalmente i loro piani e ad aiutare l’Ucraina a difendersi.


2. Tuttavia, per l’Occidente, “aiutare l’Ucraina a difendersi” non ha mai significato aiutare l’Ucraina a battere la Russia. Come abbiamo scritto lo scorso febbraio, “predicando – in un modo o nell’altro – la necessità di ‘non umiliare Putin’, la maggior parte di queste proposte di pace sono condizionate dalla necessità delle grandi potenze occidentali di non tagliare i legami con la Russia, il suo mercato e le sue materie prime. Ecco perché gli aiuti militari offerti dai paesi occidentali all’Ucraina ricordano impercettibilmente quelli offerti dai paesi del “socialismo reale” al Vietnam che combatteva contro l’aggressione americana: abbastanza per non essere sconfitti, ma non abbastanza per vincere…”


È per questo che gli aiuti militari occidentali, e soprattutto americani, agli ucraini sono sempre stati dati con parsimonia e dopo molte tergiversazioni, impedendo all’esercito ucraino di approfittare delle successive vittorie intorno a Kharkiv (settembre 2022) e poi a Kherson (novembre 2022), per sferrare un colpo a un esercito russo sull’orlo del collasso.


3. Non a caso, già nel giugno 2022, avevamo notato che “le ‘stranezze’ di questa guerra non hanno fine”. Ad esempio, come spiegare il fatto – senza precedenti nella storia del mondo – che i due paesi in guerra non hanno gli stessi diritti e quindi non combattono ad armi pari? In altre parole, mentre uno (la Russia, l’aggressore) ha diritto a una forza aerea, l’altro (l’Ucraina, il difensore) non ce l’ha. Che una (la Russia) ha il diritto di monopolizzare i cieli sull’altra (l’Ucraina), mentre l’altra – che di fatto è quella che si difende – ha solo il diritto di essere sommersa di bombe e missili dal cielo. Inoltre, mentre la Russia può avere e usare armi pesanti di ogni tipo senza alcuna restrizione, l’Ucraina, che si sta difendendo, può usare solo armi “difensive” e non “offensive”. Inoltre, mentre la Russia può bombardare l’Ucraina sparando cannoni e missili dal territorio russo e bielorusso, all’Ucraina è espressamente vietato rispondere colpendo obiettivi all’interno della Russia e della Bielorussia, ecc. ecc. Purtroppo, 18 mesi dopo, questo testo è ancora di grande attualità…


4. La ragione principale del costante rifiuto dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, di dare all’Ucraina tutto ciò di cui ha bisogno per vincere questa guerra è che la priorità assoluta dei leader americani è quella di fare tutto il possibile per affrontare il loro principale, se non unico, concorrente e avversario, cioè la Cina! Ecco perché gli Stati Uniti hanno sempre voluto non solo non aprire un secondo fronte contro la Russia, ma anche chiudere il capitolo della guerra russo-ucraina il più rapidamente possibile, costringendo Kiev, se necessario, a cedere la Crimea in cambio di una pace, per quanto fragile. In altre parole, fare l’esatto contrario di quanto sostenuto da tutti coloro che attribuiscono ai leader americani l’intenzione di prolungare la guerra in Ucraina all’infinito…


5. È solo la sua guerra contro l’Ucraina, e non gli intrighi e le altre “trame” dell’Occidente, a destabilizzare il potere finora piuttosto stabile del presidente Putin. Ad esempio, se non fosse stato per questa guerra e per la sua disastrosa conduzione, Yevgeny Prigozhin non avrebbe mai immaginato di guidare un piccolo esercito di alcune migliaia di suoi mercenari, supportati da circa 400 veicoli blindati e altri mezzi militari, a marciare su Mosca, contro lo Stato Maggiore dell’esercito russo e persino contro il Cremlino! 


E non sono chiaramente i “complotti” della NATO i responsabili della brutale eliminazione dei tre principali leader di Wagner, né delle successive – non meno brutali – epurazioni di decine di alti ufficiali e generali russi, né della proliferazione di eserciti e altre milizie private, né della deriva sempre più autoritaria, repressiva, antidemocratica e dittatoriale dell’assediato regime di Putin. 


Dopo aver inventato di sana pianta una guerra coloniale del tutto inutile contro l’Ucraina in nome delle tradizioni e delle ambizioni imperiali della loro “Grande Russia”, Putin e i suoi complici stanno ora pagando il prezzo delle loro manie di grandezza imperialiste: il loro potere sta entrando in una crisi terminale, la loro Federazione Russa è ora minacciata dal collasso e, soprattutto, una guerra civile caotica e terribilmente pericolosa si profila all’orizzonte…


6. Ovviamente, la mancanza di motivazione da parte di alcuni (i russi) e l’eccesso di motivazione da parte di altri (gli ucraini) spiegano in parte il fallimento dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Tuttavia, questo fallimento rimarrà un mistero finché non terremo conto delle tradizionali carenze dell’esercito di questa Russia così a lungo presentata come “la seconda potenza militare del mondo dopo gli Stati Uniti”


Operando secondo il modello sovietico dell’era staliniana, cioè altamente centralizzato, non incoraggiando l’iniziativa tra i suoi ufficiali, mancando di sottufficiali, trattando i suoi coscritti in modo bestiale e agendo secondo piani preconcetti applicati alla lettera, l’esercito russo è minato dall’interno da una diffusa corruzione a tutti i livelli e soprattutto dalla cieca obbedienza che i suoi soldati sono obbligati a mostrare verso i loro superiori. 


Le conseguenze sono disastrose: la realtà non sale in cima alla gerarchia perché viene sistematicamente nascosta ai superiori che vogliono sentire solo “buone notizie”. È per questo che decine di generali russi che hanno osato dire la triste verità sono stati immediatamente rimossi dai loro incarichi (ad esempio l’architetto dei rari successi russi durante la guerra, il generale Sourovikin, molto brutale ma anche molto competente) e sostituiti da altri che nascondevano la loro incompetenza dietro il loro servilismo.


Inoltre, è stato proprio questo comportamento servile a persuadere l’onnipotente FSB (il controspionaggio russo) a convincere Putin a lanciare l’invasione dell’Ucraina, presentandogli un’immagine della realtà ucraina (militare, sociale e politica) che era l’esatto contrario di ciò che l’esercito russo ha incontrato sul campo, con i risultati catastrofici che tutti conosciamo… (si veda a questo proposito l’eccellente libro del colonnello Michel Goya e di Jean Lopez “L’ours et le renard. Histoire immédiate de la guerre en Ukraine”, pubblicato da Perrin).


7. Tuttavia, questi clamorosi fallimenti da parte dell’esercito russo non devono farci credere che la fine di questa guerra sia vicina, tanto più che l’esercito russo si è nel frattempo ripreso e, approfittando della mancanza di risorse degli ucraini che non hanno potuto sfruttare le vittorie dello scorso autunno, ha rafforzato le sue difese ovunque. 


Quindi, ancor più che in passato, ci troviamo di fronte alla domanda che è stata fondamentale fin dall’inizio di questa guerra: quale sostegno dare alle vittime di questa aggressione, affinché possano difendere efficacemente il diritto all’esistenza della loro nazione, del loro stato e dei loro cittadini. Perché dovremmo farlo?


Perché il presidente/dittatore Putin, che ha voluto e scatenato questa palese aggressione armata, ha avuto il merito di spiegare pubblicamente, in più occasioni, in modo dettagliato e molto chiaro, l’obiettivo della sua guerra: cancellare dalla faccia della terra, una volta per tutte, lo stato ucraino e tutto ciò che ricorda l’Ucraina, perché, secondo lui, né la nazione ucraina né gli ucraini sono mai esistiti.


8. La risposta, la nostra risposta, deve essere chiara e categorica: fare di tutto per sostenere gli ucraini di fronte alle pressioni e ai ricatti degli “amici” occidentali che cercano solo di difendere i propri interessi imperialisti. Soprattutto, dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare gli ucraini a sconfiggere il “grande nemico russo” che è determinato a sterminarli. Ciò significa armare adeguatamente gli ucraini, affinché possano almeno combattere ad armi pari. Perché tutto si deciderà sul campo di battaglia. Tutto il resto sono solo discorsi indecenti, ipocriti e in malafede

Russia, intervista a Boris Kagarlickij

Questa intervista è stata realizzata a Mosca alla fine del mese di giugno, prima dell’arresto di Boris Kagarlickij 

Dal nostro corrispondente a Mosca

Boris Kagarlickij ha 65 anni e vive a Mosca. Già dissidente e imprigionato negli anni dell’Unione Sovietica, ha continuato ad essere attivo nella sinistra socialista e democratica russa. Oltre a scrivere moltissimi saggi, alcuni dei quali tradotti in Occidente, insegna alla Scuola di Scienze Sociali ed Economiche di Mosca e all’Istituto di Sociologia dell’Accademia delle Scienze russa.

Professor Kagarlickij, quanto è avvenuto lo scorso week-end in Russia era prevedibile?

Che la minaccia più terribile per l’attuale regime potesse essere una rivolta di “lealisti” io l’ho sostenuto, ma non solo io, già in primavera. Anche il tentativo di colpo di Stato contro Gorbaciov nell’agosto del 1991 non fu organizzato dagli oppositori del potere, ma dai suoi sostenitori, indignati dall’impotenza e dall’inefficienza della leadership dell’URSS. 

Non intendevano rovesciare Gorbaciov, ma far crollare il suo potere. 

Si tratta ormai di qualcosa che ciclicamente si ripete. Gli uomini di Prigozhin avrebbero potuto raggiungere Mosca e perfino occupare il Cremlino, ma non avevano nessuna seria prospettiva. 

Mussolini era già un politico influente (e soprattutto esperto) prima della marcia su Roma. Prigozhin è un signore della guerra con precedenti penali. I tecnocrati in politica e gli addetti alle pubbliche relazioni possono giocare con le parole quanto vogliono, ma qui non servono parole, bensì fatti, soluzioni pratiche. 

Cosa fare per il conflitto ucraino, per le sanzioni, per l’economia? Nessuno ne ha la minima idea. A differenza del Re d’Italia, che si ritirò, Putin, dopo qualche esitazione, si è opposto ai wagneriani, dichiarandoli traditori. 

L’insurrezione era quindi politicamente condannata, indipendentemente dall’evoluzione della situazione militare. Al di là dal destino di Prigozhin, stiamo assistendo al crollo del regime di Putin. 

Sarà sostituito da una versione russa di giunta militare, che tuttavia dovrà affrontare i problemi accumulati dal paese e iniziare a cambiare le cose. Ma purtroppo la questione della pace e della trasformazione sociale in Russia rimane oggettivamente in ritardo.

Ma non era veramente possibile un accordo tra Prigozhin e Putin?

L’accordo c’è stato alla fine. Dopotutto, non c’erano e non ci sono differenze politiche fondamentali tra i rivoltosi e le autorità, rappresentano due fazioni della stessa classe, di una semplice comunità che ha controllato il paese come se fosse cosa loro e lo ha portato allo stato attuale. 

È interessante notare che la base sociale di entrambe le parti in conflitto è estremamente limitata. Certo, c’è chi dice “Prigozhin verrà e metterà le cose a posto” e chi invita a stringersi attorno al presidente, ma la maggior parte della gente è profondamente indifferente a tutto questo.

La questione principale di cui tutti discutono ora è: di che cosa siamo stati testimoni in questi giorni? Com’è possibile che si verifichi una ribellione, che i suoi leader siano dichiarati criminali dal presidente e poi ci si disperda amichevolmente, come se nulla fosse accaduto?

Questo avviene normalmente tra i gruppi mafiosi quando si ridistribuiscono il mercato. Ecco la conclusione principale che si può trarre degli eventi degli ultimi giorni. Non esiste uno stato, ci sono fazioni che controllano il territorio, e che hanno sottomesso il resto delle istituzioni statali.

Prigozhin non poteva vincere, ma forse poteva negoziare qualcosa di più?

Rimane un mistero: cosa lo ha spinto a tornare indietro nel momento in cui si trovava letteralmente alle porte di Mosca e aveva percorso centinaia di chilometri senza incontrare alcuna resistenza? 

Anche dal punto di vista negoziale, stare alle mura del Cremlino sarebbe stato più vantaggioso. Invece il capo della Wagner ha sacrificato i suoi successi, l’appoggio dei suoi sostenitori e, tra l’altro, le sue strutture mediatiche, ormai completamente screditate, costrette al silenzio o a un brusco arretramento, senza nemmeno una spiegazione coerente dell’accaduto. 

Ovviamente, Prigozhin è stato semplicemente comprato. E data la portata degli eventi, non stiamo parlando di tanti soldi ma di somme astronomiche. Qualcosa che può avere a che vedere con gli interessi russi in Africa, qualcosa che Prigozhion conosce bene visto i suoi trascorsi in quel continente.

Cosa sta avvenendo quindi in profondità, nell’ élite russa?

Non solo i capi del potere russo sono completamente in confusione. Putin ha fatto il suo primo discorso e poi è scomparso, riapparendo solo dopo un paio di giorni, così come il ministro della difesa, Shoigu, e il capo di Stato Maggiore, Gerasimov. 

Dove erano finiti? In realtà nessuno ci sta raccontando quale è stata la vera storia di questi giorni. Quindi non siamo ancora alla fine di questa tragedia. Sta ancora succedendo qualcosa. E molti stanno zitti perché non sanno come finirà, chi vincerà e cosa succederà poi. 

Io penso che un ruolo importante lo stiano giocando ora i servizi segreti russi, il FSB. Stanno zitti anche loro, ovviamente, ma hanno iniziato ad agire. Sono loro che hanno stipulato l’accordo con Prigozhin, e non il presidente bielorusso Lukashenko, che è venuto poi. Tutti stanno zitti ma intanto l’Fsb sta manovrando.

Come ha percepito il popolo russo quanto è successo nell’ultimo week-end?

In linea di massima come uno spettacolo. A Rostov sul Don le lezioni di scuola sono state cancellate e le insegnanti si sono messe il vestito della festa per andare a fotografarsi accanto ai carri armati. 

I ragazzi si facevano i selfie con i mercenari di Prigozhin. Nessuno ha preso la cosa seriamente. Ancor più interessante è che nessuno è sceso in piazza per sostenere Putin. 

Dopo che ha parlato alla nazione e ha detto che era in corso un colpo di stato contro di lui, nessuno ha pensato di mobilitarsi. Di fronte a una minaccia contro lo stato nessuno e in nessuna città ha pensato di scendere in piazza. 

Nessuna manifestazione, nessun ha difeso lo stato! Lo ha sostenuto solo la burocrazia e neppure tutta la burocrazia. Ma nessuno al contempo ha sostenuto neppure Prigozhin e la Wagner. C’è stata solo una manifestazione in suo supporto a Rostov. 

Di 200 persone. Né Putin né Prigozhin sono stati sostenuti a livello popolare. Il popolo ha vissuto la cosa come qualcosa di estraneo, una lotta di potere sulla sua testa. La gente osservava e aspettava di vedere chi avrebbe vinto.

Recentemente è stato pubblicato l’ultimo saggio di Boris Kagarlickij “L’Impero della periferia”, una storia critica della Russia dagli esordi di Putin.

Russia, un attivista di sinistra dice la sua sulla fallita ribellione di Prigozhin

intervista di Federico Fuentes ad Alexandr Zamyatin, da greenleft.org.au

Alexander Zamyatin: “Putin è stato incredibilmente indebolito” dagli eventi del 23 giugno

Alexander Zamyatin

La guerra della Russia contro l’Ucraina ha avuto una svolta sorprendente il 23 giugno, quando migliaia di miliziani appartenenti alla Compagnia Militare Privata Wagner, una forza mercenaria legata al regime russo, hanno attraversato nuovamente il confine da dove stavano combattendo le forze ucraine e hanno iniziato a marciare verso Mosca.

Definendo l’azione una “Marcia per la giustizia” piuttosto che un tentativo di colpo di stato, il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin – un oligarca e fino ad allora stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin – ha dichiarato che le sue proteste erano dirette contro la gestione della guerra da parte del ministero della Difesa russo. Al contrario, il giorno seguente, Putin ha denunciato l’iniziativa come una “rivolta armata” e ha giurato di punire coloro che hanno intrapreso la “strada del tradimento”.

Per quasi un decennio, la Wagner ha operato come ala paramilitare dello stato russo, svolgendo un ruolo chiave in Ucraina e in diverse nazioni africane, dove è stata impiegata per proteggere i profitti russi derivanti dalle miniere d’oro. La maggior parte delle forze che compongono la Wagner condividono un’ideologia di estrema destra e fascista.

Le controversie tra il ministero e la Wagner sono recentemente sfociate in una disputa sui finanziamenti, con scontri segnalati tra le due forze all’interno dell’Ucraina. Pochi giorni prima della ribellione armata, Prigozhin aveva denunciato come una menzogna le affermazioni di Mosca secondo cui l’invasione era giustificata da una presunta offensiva ucraina pianificata nella regione del Donbass nel febbraio 2022.

Tuttavia, quasi subito dopo che le forze della Wagner hanno raggiunto la città di Voronezh, a metà strada da Mosca, nella serata del 24 giugno è stato raggiunto un accordo in cui sembra che tutte le accuse contro Prigozhin e le forze della Wagner coinvolte nella ribellione siano state ritirate, con il permesso per Prigozhin di recarsi in Bielorussia e per le truppe Wagner di tornare in Ucraina.

Per aiutare a decifrare questi eventi, Federico Fuentes di Green Left ha parlato con l’esponente della sinistra russa Alexandr Zamyatin. Ex membro eletto del Consiglio municipale di Zyuzino a Mosca, Zamyatin è stato escluso dal ricandidarsi alle elezioni dello scorso anno dal regime di Putin a causa di un post su Facebook risalente a due anni fa.

Tuttavia, insieme all’attivista contro la guerra e sindacalista Mikhail Lobanov, Zamyatin ha contribuito a coordinare Vidvyzheniye, una piattaforma di candidati progressisti che è riuscita a conquistare seggi in tutta Mosca. Zamyatin è insegnante e coautore di For Democracy: Local Politics Against Depoliticisation.

Per cominciare, può darci un’idea dell’attuale stato d’animo nelle strade russe dopo la tentata marcia di Prigozhin su Mosca e il successivo accordo raggiunto tra lui e Putin?

Posso parlare solo della situazione a Mosca, dove mi trovo. Oggi [25 giugno] non ci sono segni di grandi eventi, anche se il sindaco Sergey Sobyanin ha annunciato un lungo fine settimana non previsto, dichiarando il 26 giugno giorno festivo. A parte questo, tutto il resto è assolutamente di routine e normale.

Come giudica i recenti eventi e le forze coinvolte? Perché pensa che si siano verificati ora? E ci sono paralleli utili che si possono tracciare con altre situazioni simili, sia storiche che attuali?

Ci sono molti paralleli storici che si possono tracciare, ma non sono pronto a sottolinearne uno in particolare. Ciò che questo fatto indica di per sé è che tali ribellioni non sono così rare.

Di recente ho scritto sul fenomeno Prigozhin, sottolineando come sia guidato da due contraddizioni. A me sembra che l’ammutinamento sia uno sviluppo logico. Era chiaro a tutti gli osservatori che questa situazione era una bomba a orologeria, anche se nessuno sapeva quando sarebbe esplosa.

Il gruppo Wagner è un esercito privato guidato da un avventuriero carismatico che ha ricevuto enormi risorse e copertura mediatica durante la guerra con l’Ucraina. Prigozhin ha visto che esisteva un’importante contraddizione tra le élite e gli strati inferiori dell’esercito e ha deciso di sfruttare questa contraddizione. 

Allo stesso tempo, il Cremlino, che lo aveva sostenuto, era diventato sempre più preoccupato dall’ascesa di Prigozhin e recentemente aveva iniziato a prendere misure per eliminarlo.

Prigozhin se ne rese conto e decise che era giunto il momento di andare fino in fondo.

Perché, secondo lei, le forze coinvolte sono giunte a un accordo così rapidamente?

Credo che le parti siano giunte rapidamente a un accordo perché si sono rese conto che le loro posizioni erano ugualmente deboli. Prigozhin non avrebbe potuto prendere il potere a Mosca perché non aveva né un apparato amministrativo né un sufficiente sostegno popolare. A Rostov-sul-Don, l’amministrazione civile è rimasta la stessa; lui non l’ha cambiata.

Il Cremlino avrebbe potuto schiacciare l’esercito di Prigozhin con le proprie forze vicino a Mosca, ma un’azione del genere sarebbe stata molto costosa in termini di sostegno politico, perché l’elettorato di base di Putin ha molte simpatie per Prigozhin.

Entrambe le parti hanno valutato sobriamente l’inutilità di un’escalation e hanno concordato alcune condizioni di cui non sappiamo nulla. Allo stesso tempo, penso che a un certo punto Prigozhin sarà ingannato da Putin e ucciso.

I media occidentali hanno dipinto gli eventi come un chiaro indebolimento di Putin. Ritiene che questa sia una valutazione accurata o è probabile che Putin rafforzi la sua presa sul potere in seguito a questo risultato?

I politologi hanno calcolato che è molto più probabile che gli autocrati trovino la loro posizione rafforzata dopo essere sopravvissuti a un tentativo di colpo di stato, piuttosto che vederla indebolita o consentire un processo di democratizzazione. Ma queste sono solo statistiche astratte.

Nella nostra situazione particolare, è evidente che Putin è stato incredibilmente indebolito. Fin dai primi giorni del suo governo, lo stile politico di Putin era caratterizzato da una determinazione e da una brutalità molto importanti. Ieri si è mostrato come un re nudo.

Anche se tutto questo è solo un’illusione esterna e tutto all’interno rimane sotto il suo controllo, questa illusione è stata percepita da tutti gli osservatori, il che non può che rappresentare un colpo al suo potere.

In un recente articolo pubblicato sul suo canale Telegram, lei parla dell’80% che rimane depoliticizzato nella società russa. Ci sono segnali che indicano che questi recenti avvenimenti hanno rafforzato il sentimento contro la guerra in Russia e, cosa forse più importante, potrebbero portare alcuni settori della società a fare un salto verso un’azione politica progressista contro il regime?

Purtroppo non vedo segnali di questo tipo. Al contrario, ieri abbiamo visto quante persone sono scese in strada a Rostov-sul-Don per salutare con gioia le forze Wagner. 

Questo è molto negativo per il regime di Putin, ma non è rappresentativo delle forze antiguerra o progressiste. Allo stesso tempo, dobbiamo capire che si è trattato di un piccolo campione di persone che sono scese in piazza per sostenere quelli che considerano i loro alleati.

Al contrario, per le persone con posizioni contrarie alla guerra e progressiste, questa situazione ha generato la sensazione di trovarsi di fronte a una minaccia esistenziale e alla necessità di fuggire, pregando che le forze wagneriane non prendessero il potere e venissero a casa loro.

Nel caso di un’ulteriore escalation, la politicizzazione potrebbe riguardare strati più ampi della popolazione, tra i quali c’è molta stanchezza per la guerra e una richiesta di cambiamenti sociali, economici e politici nel paese.

Che altro che vorrebbe aggiungere?

Vorrei sottolineare che entrambe le forze in questo confronto rappresentano un male estremo per la Russia e per la maggioranza della popolazione del nostro paese. Nessuna delle due può portare il paese a qualcosa di buono.

Per questo motivo, le persone progressiste e contrarie alla guerra non possono entrare in empatia con nessuna delle due parti. Molti speravano nel successo della ribellione come mezzo per porre fine alla dittatura. Ma questa è un’idea sbagliata. Forse non è evidente dall’esterno, ma qui, all’interno della Russia, sappiamo con certezza che il popolo russo non potrà che perdere in questo confronto.

La "Marcia per la giustizia" di Prigozhin: che è accaduto e che potrà accadere?


del collettivo editoriale del sito Posle (26 giugno 2023)

Gli eventi del 23-24 giugno vengono già descritti come la più grave sfida politica interna al regime di Putin. 

Nel giro di poche ore, le unità di Wagner sono riuscite con poca resistenza a prendere il controllo di Rostov-sul-Don e Voronezh, grandi città della Russia meridionale. Sono arrivate anche a poche centinaia di chilometri da Mosca. 

Annunciando l’inizio di una ribellione militare, il leader dei Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha apertamente contestato la necessità dell’invasione dell’Ucraina, ha chiesto la rimozione dei vertici militari della Russia e ha affermato che il suo obiettivo era il ripristino della “giustizia”. 

Sebbene il conflitto si sia risolto con poco sangue, sembra che abbia minato per sempre la promessa di Putin di stabilità e unità del regime.

Non c’è dubbio che Prigozhin sia un criminale di guerra e un opportunista che persegue i suoi interessi personali. Nei mesi precedenti l’ammutinamento, Prigozhin ha rilasciato numerose dichiarazioni in cui criticava la leadership militare russa cercando di prendere il controllo delle unità Wagner composte da ex prigionieri russi e da ufficiali dell’esercito in pensione. 

Yevgeny Prigozhin, che deve la sua carriera al patrocinio di Putin e ha ampie connessioni nell’apparato di sicurezza statale, si è rivelato il più consapevole delle debolezze del regime e della vulnerabilità della “catena di comando” di Putin. 

I generali Surovikin e Alekseev, che hanno svolto ruoli chiave nella cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina, hanno pubblicamente invitato Prigozhin a “rinsavire” e a “risolvere la questione in modo pacifico”

La maggior parte dell’esercito ha mantenuto una silenziosa neutralità nei confronti dei ribelli. Il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il Capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, che Prigozhin ha chiesto di incontrare, non hanno mai commentato quanto stava accadendo e sono scomparsi. 

Si noti che i volantini distribuiti da Wagner non solo chiedevano le loro dimissioni, ma anche un’immediata corte marziale per Shoigu e Gerasimov con l’accusa di trattamento brutale dei soldati, scarse forniture all’esercito e occultamento della verità sull’andamento della guerra.

La mattina del 24 giugno, Vladimir Putin ha tenuto un discorso urgente di cinque minuti alla nazione. Ha definito la ribellione di Wagner una “pugnalata alle spalle” dell’esercito russo, ma non ha menzionato alcuna azione specifica per stroncarla. 

Putin ha sottolineato le dimensioni morali e politiche dell’ammutinamento e lo ha definito un tradimento che merita la risposta più dura. Ha incolpato gli ammutinati di aver portato la Russia sull’orlo della guerra civile e della sconfitta militare. 

Tuttavia, il presidente russo non ha fatto alcun nome, rivelando la sua scarsa preparazione e l’incertezza sulla situazione. Le colonne di combattenti wagneriani, composte da migliaia di uomini, hanno attraversato una vasta distanza in meno di un giorno e si sono fermate volontariamente a 200 chilometri da Mosca. 

Allo stesso tempo, il presidente Putin, presumibilmente, si è precipitato fuori dalla capitale, registrando i suoi discorsi dalla sua remota residenza di campagna a Valdai (presso Novgorod, ndt). I governatori regionali e i politici filo-Cremlino hanno giurato fedeltà al presidente e all’ordine costituzionale sui social media solo poche ore dopo lo scoppio dell’ammutinamento.

Prevedibilmente, alcune forze, fazioni e cittadini non hanno seguito l’appello del presidente a resistere ai traditori e hanno espresso il loro sostegno ai ribelli. Tra questi, i neonazisti di entrambi i fronti: il Corpo dei volontari russi che combatte a fianco delle forze armate ucraine e il gruppo di sabotaggio Rusich, che dal 2014 è impegnato in un conflitto armato con l’Ucraina come agente del regime russo. 

Prigozhin ha risposto senza ambiguità al messaggio di Putin. Ha dichiarato che il presidente si è “sbagliato” sul tradimento di Wagner, ha definito se stesso e i suoi combattenti “patrioti della nazione”, ha accusato i funzionari di Mosca di corruzione e si è rifiutato di fare marcia indietro. 

Cercando di ampliare il suo sostegno, Prigozhin ha espresso due rivendicazioni tipiche dell’opposizione anti-Putin: le regioni russe dovrebbero opporsi a Mosca per l’esproprio delle risorse del paese e la leadership russa è composta da truffatori e funzionari corrotti e dovrebbe essere smascherata e consegnata alla giustizia.

Nonostante Prigozhin si sia affidato esclusivamente alle unità armate, il programma annunciato avrebbe dovuto conferire legittimità popolare al colpo di stato. 

La popolazione di Rostov-sul-Don ha acclamato i combattenti di Wagner come eroi, dimostrando che gli slogan di Prigozhin potevano ottenere un sostegno di massa. Il tentativo di ammutinamento di Wagner ha rivelato anche la riluttanza dei servizi di sicurezza a intervenire attivamente nella situazione. 

La “marcia della giustizia” di Prigozhin si è conclusa in modo inaspettato così come era iniziata. 

Il dittatore bielorusso Lukashenko ha mediato un accordo tra Wagner e il Cremlino. Secondo i termini dell’accordo, Prigozhin avrebbe ritirato le sue unità ammutinate e sarebbe stata risparmiata la punizione per i loro presunti “fatti d’arme”

Gli accordi con Lukashenko sembrano includere anche disposizioni segrete che concedono a Wagner una certa autonomia e definiscono il quadro per ulteriori relazioni con la leadership militare. 

L’accordo è stato garantito dalla “parola del presidente della Russia”, come ha poi dichiarato il portavoce di Putin, Dmitry Peskov. In altre parole, l’opinione pubblica è tenuta all’oscuro dei termini e dei contenuti di questi accordi non ufficiali. 

Sebbene tutte le unità militari russe e i cittadini comuni fossero chiamati a resistere ai ribelli, la crisi è stata risolta da un accordo cospirativo tra due criminali di guerra, con l’autocrate bielorusso che ha svolto il ruolo di mediatore e di arbitro.

Sebbene le conseguenze di questi eventi siano difficili da prevedere, è già chiaro che hanno cambiato per sempre il sistema politico di Putin. 

Se questo tentativo di insurrezione militare ha avuto così tanto successo, perché questo esempio non può ispirare futuri tentativi di costruire sul suo successo? 

Le contraddizioni all’interno delle élite russe si sono riversate dai media nella realtà delle città e delle forze armate russe. 

Il mondo intero è stato testimone del fatto che sono state (temporaneamente) risolte al di fuori di qualsiasi quadro giuridico con il compromesso garantito dalla “parola di Putin”

In Russia, lo stato di diritto ha lasciato il posto ai codici mafiosi. Le parole sostenute dalla violenza sono più forti dell’ufficio del procuratore o persino delle dichiarazioni di imminente punizione del presidente. 

La guerra scatenata dal regime di Putin sta diventando una minaccia sempre più evidente alla sua stabilità e porterà inevitabilmente al suo crollo finale. Quale forma assumerà questo crollo? E le masse russe, intimidite e depotenziate, potrebbero emergere? Queste domande rimangono aperte.

La "master class" di Prigozhin

La prima dichiarazione pubblica del capo della Wagner dopo la ribellione 

Oggi, lunedì pomeriggio, Yevgeny Prigozhin ha rilasciato la sua prima dichiarazione pubblica da quando, sabato, ha interrotto la marcia del Gruppo Wagner verso Mosca. Pubblichiamo il riassunto fatto dal sito Meduza (sito russo di opposizione) a partire dal messaggio audio di 11 minuti fatto da località segreta dal leader della Wagner. Le parole di Prigozhin confermano il suo ultranazionalismo ma anche la confusione politica che regna nel regime del Cremlino. 

Sul perché il Gruppo Wagner si sia messo contro il Ministero della Difesa 

A causa di intrighi e decisioni sbagliate, il Gruppo Wagner avrebbe dovuto cessare di esistere il 1° luglio 2023. Il consiglio dei comandanti del Gruppo Wagner ha trasmesso questa informazione ai nostri combattenti, quasi nessuno dei quali ha accettato di firmare un contratto con il ministero della Difesa, perché tutti sapevano perfettamente, grazie all’esperienza maturata durante l’operazione militare speciale, che ciò avrebbe portato a una completa perdita di capacità di combattimento. 

I combattenti e i comandanti più esperti verrebbero semplicemente sparpagliati e trattati come carne da cannone, senza poter sfruttare il loro potenziale e la loro esperienza di combattimento.

Su come è nata la “marcia della giustizia”

Eravamo categoricamente contrari ai piani del ministero della Difesa. 

Ciononostante, abbiamo impacchettato il nostro equipaggiamento, fatto l’inventario e pianificato di partire il 30 giugno in un convoglio verso Rostov e consegnare tutto al comando dell’operazione militare speciale se non avessero cambiato la loro decisione. 

Ma nonostante il fatto che non abbiamo mostrato alcuna aggressività, è stato lanciato un attacco missilistico contro di noi, seguito immediatamente da elicotteri. Circa 33 combattenti del Gruppo Wagner sono stati uccisi. Altri sono rimasti feriti. 

Questo ha fatto sì che il consiglio dei comandanti decidesse immediatamente che dovevamo andare avanti. Ho fatto una dichiarazione in cui dicevo che non avevamo intenzione di mostrare alcuna aggressività, ma che se fossimo stati attaccati, l’avremmo percepita come un tentativo di distruggerci – e avremmo risposto. 

Come si è svolta la marcia

Un convoglio è andato a Rostov e l’altro si è diretto verso Mosca. Abbiamo coperto una distanza di 780 chilometri in un solo giorno. Nessun soldato è stato ucciso sul campo. Ci dispiaceva dover colpire gli aerei, ma loro ci bombardavano e lanciavano missili. 

Siamo arrivati a 200 chilometri da Mosca. Durante questo periodo, tutte le strutture militari lungo il percorso sono state bloccate e neutralizzate. 

Ripeto: nessuno a terra è stato ucciso. 

Tra i combattenti del Gruppo Wagner, diverse persone sono state ferite e due dei nostri soldati, che si sono uniti a noi volontariamente dall’esercito e dal ministero della Difesa, sono morti. 

Nessun combattente del Gruppo Wagner è stato costretto a partecipare a questa campagna, e tutti conoscevano il suo obiettivo finale. 

Sull’obiettivo della “marcia della giustizia”

L’obiettivo della nostra campagna era quello di impedire la distruzione del Gruppo Wagner e di chiamare a rispondere le persone che, con le loro azioni non professionali, hanno commesso un numero significativo di errori durante l’Operazione Speciale. L’opinione pubblica lo richiedeva. 

Sulla reazione dei militari

Tutti i militari che ci hanno visto durante la marcia ci hanno sostenuto. 

Sul perché ha terminato la marcia

Ci siamo fermati nel momento in cui il primo distaccamento d’assalto a 200 chilometri da Mosca ha schierato l’artiglieria, ha condotto una ricognizione dell’area ed era evidente che sarebbe stato versato molto sangue se avessimo continuato. 

Abbiamo quindi deciso che sarebbe stato sufficiente dimostrare le nostre intenzioni. La nostra decisione di tornare indietro è stata dettata da due motivi cruciali. 

Il primo è che non volevamo versare sangue russo. Il secondo era che marciavamo per dimostrare la nostra opposizione, non per rovesciare il governo. 

A quel punto, Alexander Grigoryevich Lukashenko ci ha teso la mano e ci ha proposto di trovare il modo di continuare il lavoro del Gruppo Wagner all’interno di una giurisdizione legale. I convogli sono tornati indietro e si sono diretti ai loro campi.

Cosa ha rivelato la “marcia della giustizia”

Ci sono seri problemi di sicurezza nel nostro paese. Siamo riusciti a bloccare tutte le unità militari che si trovavano sul nostro cammino. In 24 ore abbiamo coperto una distanza equivalente a quella che separa il punto di partenza delle forze russe, il 24 febbraio 2022, da Kiev o da Uzhhorod città ucraina al confine con l’Ungheria). 

Questo dimostra che se la prima offensiva dell’operazione militare speciale fosse stata condotta da forze come le nostre, forse si sarebbe conclusa in un giorno. 

Il livello di organizzazione che abbiamo mostrato dovrebbe essere il livello di organizzazione delle forze armate russe. 

Quando siamo passati dalle città russe il 23-24 giugno, i civili ci hanno accolto con bandiere russe e bandiere del Gruppo Wagner. 

Molti di loro ci scrivono ancora parole di sostegno e alcuni sono delusi dal fatto che ci siamo fermati, perché oltre alla lotta per la nostra esistenza, hanno visto il nostro sostegno alla lotta contro la burocrazia e contro altri fenomeni negativi che esistono oggi nel nostro paese.

Abbiamo tenuto una lezione magistrale su ciò che sarebbe dovuto accadere il 24 febbraio 2022. Il nostro obiettivo non era quello di rovesciare l’attuale regime e le autorità legalmente elette, come molti hanno detto. Abbiamo fatto marcia indietro per evitare di versare il sangue dei soldati russi.

Perseverare nelle frottole invocando la verità


di Fabrizio Burattini


Il dirigente del Partito della rifondazione comunista Paolo Ferrero, probabilmente resosi conto di essere stato preso in contropiede per quel che aveva scritto proprio venerdì nel suo blog su fattoquotidiano.it (a cui io avevo cercato di rispondere con un post), come reazione ha scelto di “rilanciare” e di scrivere, stavolta più banalmente su Facebook, “Basta bugie! Vogliamo la verità! Vogliamo la pace!”


Ma l’invito “alla verità” non è rivolto a se stesso e alla sua mania di riprodurre in italiano, ogni volta che gli si presenta l’occasione, le menzognere argomentazioni di Putin e del suo regime per giustificare la sua criminale e sanguinaria avventura ucraina.


No, se la prende con chi critica l’autocrate russo. 


Non mi colloco certo tra i “tifosi” di Prigozhin e della “sua” Wagner, a cui proprio ieri avevo continuato ad attribuire l’appellativo di “macellaio”. Anzi, vorrei ricordare che Ferrero e chi la pensa come lui su tutta la vicenda hanno esultato quando l’esercito mercenario è riuscito qualche settimana fa a sottrarre la città di Bachmut all’esercito ucraino.


Ma non sono neanche, come invece lui è, tifoso di Putin, che lui, incredibilmente, definisce “il punto di riferimento per l’unità del popolo russo”


Con la stessa logica Zelensky andrebbe definito “punto di riferimento per il popolo ucraino” e Mussolini o Hitler, all’epoca, “punti di riferimento” per i popoli italiano e tedesco. Né a Zelensky, oggi, né a Mussolini e a Hitler allora manca o mancava il sostegno della maggioranza del “loro” popolo.


Non credo che i comunisti, né più semplicemente i democratici debbano adottare il criterio della misura del “prestigio” interno né tantomeno quello delle opinioni “dei dirigenti politici e militari della Russia”, come indica Ferrero.


Nella parte finale del suo post, Ferrero cerca di presentarsi più “dialogante”. Ricorda ai “bugiardi” che  “la verità è sempre rivoluzionaria”. Ma ammette che “il contrario di una bugia non è necessariamente la verità”. Infatti lui cerca di mettere una pezza alle argomentazioni menzognere di venerdì con altre argomentazioni altrettanto menzognere prodotte la domenica.

Ricordiamo che Paolo Ferrero ha un rapporto contraddittorio con la verità.


Nel 2007, in qualità di ministro del Lavoro nel governo Prodi, fu colui che venne chiamato ad attuare il “protocollo sul Welfare”, fatto firmare da Romano Prodi ai sindacati confederali proprio il 23 luglio (in sorta di commemorazione dei famigerati accordi di concertazione del 1992).


Un protocollo ampiamente respinto anche nelle assemblee sindacali organizzate dal sindacato allora diretto da Guglielmo Epifani, ma che risultò “approvato” nei resoconti ufficiali.

Prigozhin contro Putin. Ancora su quel che sta accadendo

Soldati dell’esercito russo sbarrano via Krasnoarmeyskaya

Ultim’ora (19:30 ora italiana)

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, con l’accordo di Vladimir Putin, avrebbe tenuto colloqui con il fondatore del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin, secondo il servizio stampa di Lukashenko. Prigozhin avrebbe accettato di fermare l’avanzata del suo convoglio verso Mosca e di compiere “ulteriori passi per allentare la tensione”. Né i canali ufficiali russi né Prigozhin hanno confermato queste informazioni.

I dirigenti del Cremlino, all’inizio, hanno sottovalutato l’importanza della ribellione dell’armata di Prigozhin. Fonti raccolte dall’opposizione russa testimoniano del fatto che fino a ieri sera si riteneva che tutto fosse “un bluff di Prigozhin”, forse al fine di “contrattare” qualche ulteriore favore finanziario all’azienda della Wagner.

Solo poche ore fa, nelle prime ore del mattino di oggi, la leadership russa sperava di risolvere pacificamente la situazione. Al mattino presto, Alexander Kharichev (stretto collaboratore del vice capo di gabinetto di Putin, Sergey Kiriyenko) e Andrey Yarin (capo dell’ufficio del Cremlino per la politica interna) hanno diffuso ai governatori regionali e ai politici dell’establishment russo un comunicato per consigliare a tutti di fare attenzione nel commentare la situazione e di non “offendere personalmente Prigozhin”.

Ma quando oggi i mercenari del gruppo Wagner hanno preso il controllo di Rostov sul Don, l’ufficio del presidente si è reso conto che le cose stavano “diventando serie”.

Il governo di Vladimir Putin teme fondatamente che, nel giro di poche ore, le forze del gruppo Wagner possano arrivare nei pressi di Mosca, con la conseguenza di combattimenti armati alla periferia della capitale. 

Così, le “linee guida” prudenti sono state radicalmente riviste e ai capi delle regioni è stato ordinato di parlare apertamente di Prigozhin come di un “traditore”. Cosa che subito dopo è stata solennemente ribadita nel discorso di Vladimir Putin alla nazione (anche se Putin ha parlato genericamente di “traditori” senza fare il nome di Prigozhin). “Siamo di fronte a un tradimento” ha detto Vladimir Putin rivolgendosi al paese, e promettendo dure misure per gli insorti.

Se prima del precipitare della situazione ci siano stati o meno dei colloqui dietro le quinte tra la leadership russa e lo stesso Prigozhin e se questi siano falliti, non è possibile stabilirlo. Se gli eventuali colloqui abbiano visto anche la presenza di Putin ancor meno.

Comunque, attorno alle 10 (ora di Mosca), il presidente ha pronunciato il suo discorso, descrivendo inequivocabilmente l’insurrezione come un “tradimento”, ed escludendo ogni possibilità di soluzione pacifica, anzi, promettendo per i rivoltosi misure esemplari.

Sembra che già due settimane fa la notizia della probabile intenzione di Putin di incorporare la Wagner nell’esercito, nei fatti esautorando Prigozhin, abbia fatto “agitare” quest’ultimo, spingendolo ad entrare in conflitto con il ministero della Difesa. Tanto da indurlo prima a denunciare un attacco missilistico russo contro la Wagner e poi a stigmatizzare l’uso “privatistico” del ministero e a dichiarare l’indisponibilità del gruppo Wagner a “prendere parte ai loro crimini”.

E sembra che i tentativi di abboccamento diretto tra il manager della brigata mercenaria e il leader del Cremlino non abbiano prodotto nulla.

E’ a questo punto che, secondo la fonte a cui si sono rivolti gli esponenti dell’opposizione russa, “si è diffuso nell’aria un brutto presentimento, che qualcosa stava per accadere”. “Prigozhin è stato abituato a farsi strada con l’istrionismo”. Ma questa volta non ha funzionato.

Ora il Cremlino conta sulla superiorità strategica dell’esercito regolare e delle forze di sicurezza. Ma saranno in grado di fermare l’avanzata delle formazioni Wagner? Molti funzionari di rilievo (e forse lo stesso Putin il cui aereo personale è stato segnalato nell’aeroporto di San Pietroburgo) hanno già evacuato le proprie famiglie dalla capitale.

Comunque si concluda la faccenda, i fatti in corso assesteranno un duro colpo alla reputazione di Putin, anche in previsione delle elezioni presidenziali del prossimo anno, anche se l’apparato di sicurezza alla fine sarà in grado di sopprimere gli insorti. 

Inoltre, è prevedibile che la vicenda dell’insurrezione armata porti ad un nuovo “giro di vite” repressivo nella Russia, sia che l’insurrezione fallisca sia che il regime di Putin inizi a franare.

Un motivo di più per esprimere il nostro sostegno incondizionato all’opposizione russa democratica e sociale.

La Russia verso il caos?


A Rostov una parte della popolazione (vuoi per paura, vuoi in auspicio di un cambio di regime) sta fraternizzando con i mercenari della Wagner che, sembra stiano respingendo gli attacchi dei ceceni delle bande di Kadyrov inviati da Putin. Ma la maggioranza si affolla alla stazione ferroviaria per salire sul primo treno in partenza. Non importa la destinazione (nel video in fondo alla pagina).

Nella cartina la marcia della Wagner verso Mosca

A rafforzare la Wagner, almeno un reparto dell’esercito regolare russo, il 1° battaglione del 217° reggimento paracadutisti della 98° divisione aviotrasportata, ha disertato ed è passato con Prigozhin, con questa “edificante” dichiarazione di intenti: “Vi sosteniamo nella vostra marcia contro i pederasti del ministero della Difesa che mettono a repentaglio la vita dei soldati comuni. […] Siamo pronti ad opporci alle unità di Ramzan Kadyrov, che pensano di poter venire nella nostra terra e dettare le regole”.

Igor Artamonov, governatore della regione di Lipetsk, ha confermato che la Wagner sta iniziando a penetrare nella regione.

A Mosca, i supermercati sono stati svuotati dagli avventori impauriti di restare senza scorte alimentari. I prezzi dei biglietti aerei per Erevan, in Armenia, sono alle stelle. Putin, sembra che si sia trasferito a San Pietroburgo.

Medvedev, non ne avevamo dubbi, sostiene Putin: “Ora la cosa più importante per la vittoria sul nemico esterno e interno, che vuole fare a pezzi la nostra Madrepatria. Per la salvezza del nostro stato, è fondamentale unirsi intorno al presidente, il Comandante supremo in capo delle Forze armate del paese. La divisione e il tradimento sono la via per la più grande tragedia, una catastrofe universale. Non permetteremo che accada. Il nemico sarà sconfitto, la vittoria sarà nostra!”

La vittoria della democrazia non sta né nella vittoria di Putin né in quella di Prigozhin, ma nella vittoria della resistenza ucraina.


Vedi gli articoli precedenti:



Prigozhin contro Putin, dichiarazione del movimento femminista antimilitarista russo

Dichiarazione del gruppo femminista russo “Feminist Anti-War Resistance” sugli scontri in corso 

Vogliamo parlare apertamente: il giorno in cui Putin e il suo governo hanno inviato le truppe in Ucraina, hanno messo la Russia a rischio di disastro economico, guerra civile e l’ascesa di una giunta militare. Ora queste minacce stanno rapidamente diventando realtà: è il risultato dell’invasione di terre straniere e dei numerosi crimini del regime di Putin.

Come movimento politico che ha a cuore il futuro del nostro paese, non possiamo sostenere alcuna parte nell’attuale conflitto politico interno. Siamo a favore del ritiro delle truppe russe dall’Ucraina, dell’arresto dei criminali di guerra (compresi Putin e Prigozhin) e dello sviluppo democratico della Russia. Non per l’ascesa al potere di un altro dittatore e criminale di guerra.

Vogliamo esprimere il nostro sostegno a tutti coloro che ora sono spaventati – i nostri lettori, sostenitori, attivisti. Questi eventi richiedono da parte nostra ancora più auto-organizzazione e aiuto reciproco, il tipo di sostegno che abbiamo imparato per molti anni nel movimento femminista. È tempo di applicare le competenze che abbiamo acquisito attraverso il nostro attivismo per sostenerci e proteggerci a vicenda.

Prigozhin contro Putin. Cosa sta accadendo in Russia?


di Fabrizio Burattini

Cosa sta accadendo in Russia? Prigozhin, il fondatore e leader indiscusso della formazione paramilitare della Wagner, marcia alla testa delle sue truppe e sostiene di controllare la città di Rostov e i suoi siti militari. Ha definito la sua operazione una “marcia per la giustizia” contro il ministero della Difesa russo, accusato di aver bombardato le basi della sua brigata di mercenari. 

Ha negato di voler organizzare un “colpo di stato”, ma ha affermato la volontà di “liberare il popolo russo”. Secondo lui, il ministero della Difesa avrebbe “ingannato Putin” per fargli iniziare la guerra a vantaggio del suo apparato e degli oligarchi legati a quel ministero e si è reso così responsabile della morte di decine di migliaia di uomini.

Secondo lui, la minaccia nazista ucraina non è mai esistita (checché ne dicano i nostri Santoro & co.), e nemmeno quella della NATO. Si sarebbe trattato solo di propaganda del ministero della Difesa e dell’FSB per riuscire a mettere le mani sulle ricchezze dell’Ucraina, con il sostegno degli oligarchi e insediando un governo fantoccio a Kiev. Prigozhin sostiene che decine di migliaia di soldati russi sono morti per questo. 

Il servizio segreto FSB accusa Prigozhin di aver pugnalato alle spalle la cosiddetta “operazione militare speciale”, mentre la procura generale lo processa per ammutinamento. 

Naturalmente, l’Ucraina si rallegra del fatto che i lupi si stiano azzannando a vicenda. 

Gli oppositori russi liberali chiedono il sostegno di Prigozhin per rovesciare Putin. 

Ma è davvero questa la posta in gioco? Se la Wagner esiste è solo perché Putin ne ha consentito la creazione. La brigata mercenaria ha combattuto fino all’altroieri al fianco dell’esercito russo o in sua vece. L’esercito russo, fino all’altroieri, le ha fornito tutto l’equipaggiamento.

Dunque, chi sta muovendo i fili di questo conflitto “intestino”? 

Perché la ribellione di Prigozhin? E’ solo un suo azzardo avventato? E che impatto avrà sulla guerra? 

Tutto ciò manifesta in modo inequivocabile il verminaio da cui è retta la Federazione russa, un  regime totalmente opaco che qualcuno, anche qui in Italia, si affanna a considerare un attore positivo verso un “mondo multipolare”.

Naturalmente il voltafaccia di Prigozhin non lo trasforma in un pacifista o né in un amico del popolo ucraino. E’ e resta un macellaio. 

Ma la cosa più intollerabile per Putin è proprio che l’ultranazionalista Prigozhin (e non un pacifista o un oppositore) sta dicendo al popolo russo che è stato ingannato dall’inizio alla fine per condurre una guerra di rapina di cui sta pagando il prezzo.

Yevgeny Prigozhin ha sbugiardato Putin (e en passant anche tanti “pacifisti per procura” nostrani) smontando tutti i pretesti accampati per giustificare l’operazione militare speciale, affermando che l’Ucraina si era accontentata di colpire solo le posizioni militari russe nel Donbass dal 2014 e che nel 2022 Kiev non aveva “alcuna intenzione di attaccare la Russia con l’aiuto della NATO”.

Ora l’aviazione russa sta bombardando i rifornimenti di carburante sulla strada tra Rostov e Mosca per privare i ribelli dei mezzi necessari per avanzare troppo rapidamente verso la capitale. La questione è tremendamente seria ed è molto significativo vedere la guerra trasposta sul suolo russo. 

Resta chiaro che il popolo russo non ha nulla da guadagnare da Prigozhin, ma l’inutilità della guerra in Ucraina sta finalmente diventando plateale di fronte all’opinione pubblica.

Secondo il Financial Times di oggi, Putin, nel suo discorso odierno (qui il discorso tradotto su Youtube), ha paragonato la ribellione di Prigozhin alla “Rivoluzione russa dell’ottobre 1917”, affermando che, all’epoca, “i litigi e i giochi politici alle spalle dell’esercito e del popolo si conclusero con un enorme crollo, la distruzione dell’esercito, la caduta dello stato, la perdita di enormi territori e, alla fine, la tragedia della guerra civile. Non permetteremo che questo accada di nuovo”.

Si tratta di un paragone spudorato e ridicolo, ma indica che Putin teme un crollo del suo regime, che sarebbe anche un crollo del suo progetto di ricostruzione dell’impero russo