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L’Ucraina riconosce sia Israele che la Palestina

Zelensky: porre fine alle sofferenze dei civili

di Martin Fornusek, da The Kyiv Independent

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Israele-Palestina, “dal Giordano al mare”? 

Uno slogan sbagliato per isaeliani e palestinesi

di Alon-Lee Green, co-direttore di Standing Together! in Israele, molto coinvolto nel movimento sociale del 2011, ex leader della Gioventù Comunista, da Twitter

In calce all’articolo il link con il post di Alon-Lee Green su Facebook, relativo al convegno di solidarietà per un’alternativa di partenariato ebraico-arabo e pace israelo-palestinesea svoltosi il 13 novembre a Gerusalemme e organizzato dal movimento Standing together! a cui hanno partecipato centinaia di persone.

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Israele-Palestina, dichiarazione congiunta di 35 organizzazioni ebraiche e arabe 

Tel-Aviv, le 6 novembre 2023

La dichiarazione che segue è stata rilasciata a nome di diverse organizzazioni ebraiche, arabe e intercomunali in Israele/Palestina, compreso il partito politico di sinistra Hadash.

Noi – movimenti, organizzazioni e attivisti, ebrei e arabi – scriviamo queste parole in segno di profondo lutto per le migliaia di persone uccise nelle ultime settimane, e con terribile preoccupazione per l’incolumità delle persone rapite e di coloro che saranno ancora feriti in Israele, Gaza e Cisgiordania.

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Sommovimenti internazionali, Taiwan e Ucraina

Nelle ultime settimane si sono verificati importanti spostamenti di forze a livello internazionale che riflettono la lotta per una nuova correlazione di forze tra i principali stati del mondo. Ho pensato perciò di dedicare questo articolo ad una per quanto sommaria analisi di quel che accade a livello delle relazioni internazionali.

La situazione Cina-Taiwan

Una settimana fa, ancora una volta si è intensificata la pressione cinese su Taiwan, con lo svolgimento di importanti esercitazioni militari durate tre giorni, che hanno simulato un assedio dell’isola. Stando alle valutazioni del ministero della Difesa di Taiwan, nella regione erano presenti una settantina di aerei cinesi, tra cui caccia Sukhoi Su-30 e bombardieri Xian H-6, oltre a 11 navi. Anche i movimenti di truppe sono stati intensi sul lato cinese dello Stretto di Taiwan, con il dispiegamento di unità missilistiche e di artiglieria a lungo raggio che hanno messo in atto azioni dimostrative contro l’isola dalla terraferma.

La reazione taiwanese e occidentale all’esercitazione cinese è stata immediata. Il governo degli Stati Uniti ha chiesto alla Cina di limitare le sue azioni e ha inviato sul teatro degli eventi il cacciatorpediniere USS Milius, che ha pattugliato un’importante regione del Mar cinese meridionale. Commentando il movimento generale delle forze, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha avvertito che “l’indipendenza di Taiwan (che, lo ricordiamo, dista non più di 150 chilometri dalle coste continentali) e la pace e la stabilità nello Stretto sono cose che si escludono a vicenda”.

L’esercitazione cinese fa seguito al ritorno della presidente taiwanese Tsai Ingwen da una breve visita negli Stati Uniti e in America Centrale, dove ha incontrato vari capi di stato centroamericani e il presidente della Camera dei rappresentanti USA, Kevin McCarthy.

Il governo taiwanese, infatti, è molto preoccupato per l’offensiva economica e diplomatica cinese in America Latina. Solo una decina di giorni fa, l’Honduras è diventato il quinto (dopo Panama, Repubblica Dominicana, El Salvador e Nicaragua) dei paesi latinoamericani che in soli sei anni hanno tagliato le relazioni diplomatiche con Taiwan e stabilito legami con Pechino. La situazione diplomatica per Taiwan è una delle peggiori della sua storia. Ad oggi sono solo 13 i paesi al mondo che mantengono ancora relazioni formali con l’isola: Paraguay, Guatemala, Haiti, Belize, Vaticano e piccole isole dei Caraibi e del Pacifico.
La visita di Tsai Ingwen in America Centrale non ha prodotto granché per la la “Cina nazionalista”. Ma non si può dire lo stesso quanto all’incontro con il presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Kevin McCarthy, che fa seguito a quella a Taiwan dell’allora speaker dei deputati USA Nancy Pelosi nell’agosto 2022.

Stati Uniti e NATO su Taiwan

Fino ad allora gli Stati Uniti si erano mantenuti sulla linea diplomatica ultradecennale definita della “ambiguità strategica”, che combinava cioè il riconoscimento formale dell’esistenza di un’unica Cina con il mantenimento di forti legami economici, culturali, scientifici e persino militari con l’isola collocata dall’altra parte dello stretto.

Negli ultimi tempi, la retorica statunitense sulla questione di Taiwan è diventata sempre più veemente. Nel maggio 2022, ad esempio, Biden aveva affermato di essere disposto a usare la forza per difendere Taiwan in caso di attacco cinese. “È questo l’impegno che abbiamo preso”, ha dichiarato all’epoca, aggiungendo che gli Stati Uniti sono d’accordo con la visione di una sola Cina, ma che questa visione non dà a Pechino il diritto di prendere l’isola con la forza.
Biden sembra temere che la Cina approfitti del delicato momento internazionale segnato dalla guerra in Ucraina per concretizzare quello che in Cina è considerato una sorta di “diritto storico”: la riunificazione del paese, attraverso la presa di Taiwan. Lo stesso Biden ha dichiarato: “Sarebbe un’azione simile a quella che è avvenuta in Ucraina”.

In si tratta di un’ennesima dimostrazione del doppiopesismo degli USA, pronti a difendere l’autonomia dell’isola cinese mentre viene giustamente deprecato il pretesto della salvaguardia dell’autonomia delle regioni “russofone” dal “nazionalismo ucraino” addotto da Putin per la sua invasione.

Quanto alla NATO, sulla questione di Taiwan non esiste la stessa unità di intenti che sembra per il momento regnare sulla questione ucraina. Emmanuel Macron nel suo recente viaggio in Cina, ha dichiarato che l’Europa non può essere ostaggio della politica statunitense o cinese su Taiwan, ma deve cercare una propria posizione. Un discorso che è piaciuto molto a Pechino e che è stato molto apprezzato dalla stampa e dai funzionari cinesi.

Tutto ciò smentisce le ricostruzioni schematiche e di comodo piuttosto in voga in alcuni ambienti della sinistra e del pacifismo che vedono una situazione di larga e consolidata egemonia planetaria della potenza statunitense e che leggono la resistenza dell’Ucraina come una guerra ad oltranza per procura contro la Russia, oscurando o addirittura deplorando la soggettività propria di quella resistenza.

La ricerca di un compromesso

In queste ultime settimane, tutte le principali cancellerie sembrano impegnate a ricercare, come numerosi settori della sinistra e del pacifismo chiedono, una soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina. Il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Mosca qualche settimana fa, Macron e Ursula von der Leyen si sono recati a Pechino all’inizio di questo mese. Questo lavorio diplomatico non nasce certo dalla volontà di tutelare gli interessi e la sicurezza del popolo ucraino, da 14 mesi sottoposto ad una brutale aggressione che ha provocato e continua a provocare migliaia di morti e immani distruzioni. Il motore principale di questo attivismo è piuttosto la diffusissima preoccupazione che il prolungarsi della guerra arrechi al commercio internazionale e dunque alle varie economie nazionali delle principali potenze danni irreparabili.

Ma tutti questi incontri ai massimi livelli non possono evitare di affrontare il tema “Ucraina”, sia perché questo costituisce una grave preoccupazione agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, sia per le sue gravi implicazioni economiche e politiche.

E’ stata importante e significativa anche la visita ufficiale che il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva ha fatto in Cina qualche giorno fa, accompagnato da una folta delegazione di funzionari governativi e di uomini d’affari, durante la quale sono stati firmati una ventina di accordi di cooperazione economica e tecnologica. Ovviamente, negli incontri con i leader cinesi, Lula, come tutti gli altri leader, ha affrontato anche il tema della guerra in Ucraina, convenendo con il presidente cinese Xi Jinping che “il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere la crisi ucraina” e che “tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti”, che occorre invitare “più paesi a svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere la soluzione politica della crisi”. Lula e Xi hanno affermato di voler “mantenere aperte le loro comunicazioni sul merito” della questione. Concludendo la visita, il presidente Xi Jinping ha definito Lula un “vecchio amico”.

Com’è noto, il Brasile, a differenza della Cina che si è astenuta nelle principali votazioni dell’assemblea dell’ONU sulla questione, nell’ultima votazione ha contribuito ad approvare una risoluzione che condanna l’aggressione russa contro l’Ucraina.

Il “piano di pace” di Xi Jinping

Ancora più recentemente, c’è stato proprio due giorni fa nella capitale cinese l’incontro tra la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock del partito dei Verdi, e il suo omologo Qin Gang. Come spesso avviene in occasioni di questo tipo, il contenuto esatto della conversazione tra i due ministri degli Esteri non è stato divulgato, ma risulta chiaro che anche in questo incontro (oltre ai dossier tradizionali negli incontri Cina-UE, come diritti umani e Taiwan) è stato discusso il cosiddetto “piano di pace” cinese (che, lo ricordiamo evita accuratamente di richiedere alla Russia, in quanto paese aggressore, anche solo il cessate il fuoco, per non parlare del ritiro delle truppe d’invasione).

Sembra che Qin Gang abbia dichiarato che l’obiettivo cinese resta quello di far avanzare i negoziati di pace, ma avrebbe anche sottolineato la necessità di prendere in considerazione gli interessi e la sicurezza della Russia. E ha anche cercato di rassicurare la Baerbock respingendo le accuse secondo cui la Cina fornirebbe o avrebbe intenzione di fornire sostegno militare alla Russia contro l’Ucraina.

Tutti questi incontri si concludono con solenni dichiarazioni delle autorità delle principali potenze sulla possibilità di un cessate il fuoco in Ucraina e di un rapido rilancio dei negoziati. Tutti affermano “sinceramente” di voler fare tutto il possibile per ottenere una “de-escalation” in Ucraina, anche se tutto rimane in ambito puramente simbolico, mentre le discussioni serie e concrete tra i “grandi” riguardano gli accordi e i rapporti di forza economici tra loro.

Il famoso “piano di pace cinese” in dodici punti è stato lanciato subito dopo che la Cina, a fine febbraio, si era astenuta dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che, in coincidenza con il primo anniversario della guerra, “deplorava nella maniera più assoluta” l’invasione dell’Ucraina e che chiedeva il ritiro delle truppe russe. Naturalmente la risoluzione è stata bloccata dallo scontato veto della Russia. Ma non si può trascurare il fatto che in quel contesto il “non veto” cinese è stato interpretato come un messaggio di presa di distanza dall’oltranzismo del Cremlino.

Il piano si riduce però ad un compiaciuto gioco di equilibri: Xi Jinping nel documento afferma in generale che la sovranità degli stati deve essere rispettata all’interno dei rispettivi confini, ma mai condanna l’invasione russa dell’Ucraina né solleva la questione del ritiro delle truppe. Si invitano “le due parti” (Russia e Ucraina) a riprendere al più presto il dialogo e a prospettare il cessate il fuoco, e si enfatizza in maniera strumentale le responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati. Sulla Russia, l’unico elemento di pressione è una secca denuncia di qualsiasi deriva nucleare del tipo di quella che solo le autorità russe hanno più volte minacciato.

Dunque, il piano cinese è fatto di dichiarazioni di principio sulla necessaria protezione dei civili, sulla necessità di ridurre la logica della guerra fredda, sulle manovre dei blocchi militari e sulla lotta alla rimilitarizzazione… ma elude completamente ogni proposta concreta. Il suo scopo è solo quello di far apparire agli occhi dell’opinione pubblica mondiale la Cina come una potenza “ragionevole”, che, a differenza degli altri, non vuole aggiungere benzina sul fuoco, ma, all’osservatore attento, rivela come gli interessi dei popoli siano la sua ultima preoccupazione.

I messaggi criptici del capo della Wagner

Anche il miliardario Yevgeny Prigozhin, proprietario della milizia mercenaria Wagner, si è pronunciato sulla questione della “pace”. Le sue dichiarazioni sono state frettolosamente interpretate come un appello all’armistizio o addirittura alla fine della “operazione militare speciale”.

Prigozhin dichiara cinicamente che alcuni importanti obiettivi russi sarebbero stati raggiunti: l’eliminazione di gran parte della popolazione maschile attiva dell’Ucraina, la messa in fuga verso l’Europa di un’altra parte, l’isolamento del Mar d’Azov e di un grosso pezzo del Mar Nero, l’occupazione parti importanti di territorio ucraino e la creazione di un corridoio terrestre verso la Crimea. Ma il leader della Wagner teme che possa rafforzarsi all’interno del paese una pressione per fare concessioni, restituire all’Ucraina quei territori che ora sono sotto controllo russo. Proprio per questo Prigozhin dichiara che “la Russia non può accettare alcun accordo, solo una lotta leale… Le regioni fortificate della Russia rendono impossibile penetrare nelle sue profondità. E il popolo russo non crollerà mai”. Anzi arriva perfino ad auspicare che “le forze armate ucraine riprendano l’offensiva, tanto da rendere improponibili i negoziati”.

E il regime di Putin, con le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, respinge bruscamente ogni ipotesi di un rapido cessate il fuoco in Ucraina in nome degli interessi fondamentali della Russia.

Il “pacifismo” nella sua impasse

In questo contesto, il “popolo della pace” non può che restare muto o continuare a recitare vuote formule incapaci di cogliere le vere dinamiche del conflitto.

Naturalmente, nessuno può negare la validità di principio del rifiuto della Nato e la rivendicazione del suo scioglimento. Ma occorre essere capaci di “mettersi nei panni” dei popoli dell’intera regione, a partire da quelli ucraini e russi, che giustamente e in forza di una plurisecolare esperienza temono che si affermi la potenza russa nella sua versione putiniana, semifascista, imperialista e colonialista.

Nessun ucraino, kazako, cittadino dei paesi baltici, oppositore russo o bielorusso può auspicare che la guerra possa concludersi con un accordo che lasci parti del territorio ucraino sotto il controllo del regime di Putin, calpestando la volontà degli ucraini. Nessuno di loro può dimenticare che, all’inizio del 2022, Putin ha solennemente negato la legittimità stessa di uno stato ucraino indipendente e che, nell’autunno del 2022, ha formalmente proclamato l’annessione di quattro regioni dell’Ucraina (peraltro solo in parte e precariamente occupate), oltre alla Crimea dichiarata unilateralmente “russa” già nel 2014.

Perciò, quando un politico occidentale o un “pacifista” afferma che se gli ucraini vogliono la pace devono fare concessioni, dimenticare la Crimea e magari il Donbass, l’effetto (volontario o involontario che sia) è quello di far ricadere su di loro la responsabilità del proseguimento della guerra, in barba al diritto dei popoli all’autodeterminazione.

E così si elude o si dimentica (anche qui volutamente o inconsapevolmente) che la condizione certo necessaria pur se non sufficiente per una pace giusta e duratura nell’Europa orientale è quella dell’indebolimento e, possibilmente, della sconfitta del regime e del potere di Putin.

Piattaforma dei socialisti e libertari per la resistenza ucraina e la pace


Ci troviamo di fronte a trasformazioni economiche, sociali su scala mondiale che hanno messo in causa, per certi versi, le precedenti line di faglia degli schieramenti politici. Il portato del crollo dell’Urss e dell’emergere di una grande superpotenza totalitaria come la Cina, scuote alle fondamenta l’egemonia occidentale capitalistica a trazione Usa. Queste dinamiche si sono rivelate in modo chiaro in occasione della guerra in Ucraina, dove parte della sinistra  occidentale – il campo di cui at-large ci sentiamo parte – ha rifiutato apertamente di sostenere il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza del popolo ucraino.

Eppure queste posizioni sono iscritte nella miglior tradizione del movimento dei lavoratori. Nel 1915 a Zimmerwald si incontrarono attivitisti socialisti e sottoscrissero un manifesto che proclamava: la  “pace è possibile soltanto a condizione che venga condannata ogni idea di violazione dei diritti e delle libertà dei popoli. Essa non deve condurre né all’occupazione di interi paesi né ad annessioni parziali. No alle annessioni, palesi o mascherate, e no anche all’assoggettamento economico che, a causa della perdita di autonomia politica che esso comporta, diventa ancor più intollerabile. Il diritto dei popoli all’autodeterminazione deve essere il fondamento incrollabile nel sistema dei rapporti tra nazione e nazione”.

Non uno sterile pacifismo quindi ma una “pace giusta” basata sul rifiuto delle annessioni come della perdita di autonomia di una nazione. Una pace che preveda per tutti i popoli la possibilità di svilupparsi in modo democratico e indipendente. Queste sono le basi per mettere in discussione le diseguaglianze, le ingiustizie e aprire spazi di libertà e autodeterminazione. Nei paesi dove vigono regimi autoritari o totalitari ciò viene negato e l’oppressione vige sovrana. Anche nei paesi capitalistici occidentali le libertà democratiche e i diritti vengono sempre più fagocitati, facendo emergere delle diseguaglianze sociali che stridono molto di più che nel passato. Per questo i socialisti e i libertari si battono in ogni modo per difendere con le unghie e con i  denti gli spazi di democrazie e le libertà sociali e civili.

Stiamo assistendo nella Guerra in Ucraina anche a una sorta di “eurocentrismo” goffo e pernicioso di parte della sinistra internazionale che invitando di fatto all’equidistanza tra aggressori e aggrediti, non intende comprendere le ragioni di chi resiste in tutta l’ ex-Urss contro l’imperialismo russo.

Noi invece vogliamo percorrere un’altra strada: quella del confronto e della collaborazione con la parte migliore dell’Est Europa, convinti che la ripresa della sinistra potrà avvenire solo su scala europea, un’Europa di cui Russia e Ucraina fanno appieno parte. Di questo si nutre l’internazionalismo che rifiuta sciovinismi e russofobia, autoritarismi e colonialismo “grande Russo”. Per la libertà di tutti i popoli a ogni latitudine dal  Kurdistan alla Palestina.

Dei diritti di autodetermianzione che si accompagnano a quello di resistenza e che prevedono la possibilità di schierarsi “militarmente” anche con forze tradizionalmente ostili alla sinistra e appartenenti al campo della Nato. Nella storia del secolo scorso è già successo varie volte: durante la Guerra civile spagnola, nella Seconda Guerra Mondiale quando era necessario battersi contro il fascismo montante. I lavoratori e gli oppressi, in certe condizioni, hanno da perdere di meno in un campo piuttosto che in un altro.

Nel concreto la proposta – aperta – è quella di creare quattro ordini di attività:

  1. Un lavoro di approfondimento della conoscenza del mondo dell’ex-Urss. Troppi finora parlano e scrivono senza conoscere. Creare un flusso di scambio di informazioni e notizie su quanto avviene in quei paesi.
  2. Una interlocuzione con tutti coloro che nell’ex Urss sostengono una prospettiva democratica e di sinistra. Questa azione, di lunga lena, si potrebbe concretizzare in una rivista e/o un sito con traduzioni di articoli, saggi, materiali che vengono dal quel mondo e di discussione sulle prospettive dell’Europa. Questo lavoro non può e non deve essere aperto solo agli specialisti o agli intellettuali ma non deve essere ridotto a livello di “messaggi alla Facebook”.
  3. Iniziative pubbliche e online per far conoscere e allargare la discussione su questi temi su scala nazionale e internazionale.
  4. La solidarietà concreta con le popolazioni direttamente coinvolte nella guerra e l’opposizione democratica alla Russia putiniana come alle misure antisociali e repressive del governo Zelensky.

Questa aggregazione è un’aggregazione di individui che rifiuta la logica degli “intergruppi” e delle “front organizations” e si basa sulla libera partecipazione, stante l’accordo generale su quanto qui sostenuto e nella misure ognuno delle sue volontà e delle sue possibilità. 

Per informazioni o adesioni mail: refrattario.controcorrente@gmail.com 

Solidarietà con la resistenza del popolo ucraino, fuori le truppe russe


Un anno fa, il 24 febbraio 2022, il governo russo di Vladimir Putin ha lanciato un’invasione su larga scala dell’Ucraina, che ha provocato indicibili sofferenze e massacri per il popolo ucraino. Decine di migliaia di ucraini sono stati uccisi e milioni di civili sono stati costretti a fuggire all’estero o a sfollare all’interno del paese. Le forze russe si sono rese colpevoli di crimini di guerra, costringendo gli ucraini a vivere in condizioni deplorevoli e in ansia permanente: distruzione di infrastrutture energetiche, ospedali, edifici residenziali… Nelle aree occupate dall’esercito russo sono stati documentati crimini contro l’umanità: stupri, torture, esecuzioni arbitrarie, deportazioni…

Una guerra coloniale

L’invasione russa mira a trasformare l’Ucraina in un satellite di Mosca e a impadronirsi delle sue risorse economiche: un’avventura imperialista non dissimile da quelle dell’imperialismo occidentale. Putin vuole che l’Ucraina torni ad essere una colonia russa. Nella sua visione del mondo, solo le grandi potenze hanno il diritto alla sovranità e possono esercitare il dominio coloniale su altre nazioni. Nega l’esistenza degli ucraini come popolo distinto con una propria lingua, storia e cultura. Allo stesso tempo, il governo di Vladimir Putin ha approfondito la sua trasformazione in un regime ultra-autoritario e di destra, cosa che comporta l’assenza di democrazia al suo interno e che si basa su una forte ideologia patriarcale.

Sconfiggere l’aggressione per garantire la pace

Fortunatamente, la popolazione ucraina si è mobilitata massicciamente per respingere questi piani di annessione e difendere la propria indipendenza. E’ una resistenza più che legittima e che va sostenuta, al di là di ogni critica nei confronti dell’orientamento neoliberista del governo ucraino e del suo desiderio di aderire all’Unione Europea e alla NATO (un processo che peraltro l’aggressione russa ha rafforzato e accelerato); infatti, l’indipendenza nazionale è una condizione necessaria affinché gli ucraini possano lottare contro il neoliberismo (e contro l’estrema destra che, contrariamente alle affermazioni orwelliane di Putin, non è al potere in Ucraina).

Per questo sosteniamo in particolare i movimenti di sinistra, femministi e sindacali ucraini che si battono sia contro l’invasione sia contro le riforme neoliberiste del governo ucraino, come gli attacchi ai diritti del lavoro. Questi movimenti, come Sotsialnyi Rukh, sono la migliore speranza per una ricostruzione postbellica basata sulla democrazia, sulla giustizia sociale e climatica. Siamo anche solidali con coloro che in Russia e Bielorussia rifiutano la guerra e lottano contro le dittature di Putin e Lukashenko nonostante la feroce repressione.

I futuri negoziati per una pace giusta dipenderanno dall’equilibrio di potere che si stabilirà sul campo. Sarebbe illusorio pensare che un cessate il fuoco intorno alle attuali linee del fronte garantisca la pace: al contrario, ratificherebbe l’annessione con la forza di gran parte del territorio ucraino. Inoltre, il governo russo vuole andare ancora oltre: i suoi obiettivi dichiarati (volutamente vaghi) restano la “smilitarizzazione”, la “denazificazione” e la “decomunistizzazione” dell’intera Ucraina. Il ritiro immediato delle forze di occupazione russe dal territorio ucraino è un prerequisito per l’autodeterminazione democratica di tutti i popoli dell’Ucraina. Questo ritiro dipende principalmente dalla capacità dell’Ucraina di resistere con successo all’invasione.

Contro l’escalation inter-imperialista

L’imperialismo occidentale persegue i propri interessi nel conflitto e non sostiene la resistenza ucraina per altruismo o per preservare la democrazia. Gli stati occidentali stanno conducendo le proprie guerre imperialiste in altre parti del mondo e sostengono, ad esempio, il colonialismo dello stato di Israele o il regime reazionario dell’Arabia Saudita, che sta conducendo una guerra nello Yemen. Se l’urgenza è quella di sconfiggere l’aggressione della Russia, occorre già pensare alle lotte future: l’UE e gli USA cercheranno di sfruttare l’Ucraina come stato periferico europeo. Anche in questo caso, la solidarietà con le organizzazioni di sinistra, femministe e sindacali in Ucraina aiuta a prepararsi a queste lotte. Inoltre, i nostri governi debbono cancellare il debito dell’Ucraina per aiutarla davvero nella sua resistenza e nella sua ricostruzione, altrimenti il suo rimborso metterà a dura prova le sue risorse disponibili a solo vantaggio dell’arricchimento dei suoi creditori occidentali.

La situazione comporta ovviamente dei rischi per la pace mondiale. C’è il rischio che la contrapposizione tra l’imperialismo occidentale e quello russo degeneri in un confronto diretto tra potenze nucleari. La NATO sta approfittando dell’invasione russa per rafforzarsi e riarmarsi, dopo decenni di fallimenti militari nella cosiddetta “guerra al terrorismo”. La NATO si sta espandendo (con la prossima integrazione di Finlandia e Svezia) e i suoi stati membri hanno aumentato drasticamente i loro bilanci militari. La NATO non è una forza per la democrazia, ma il braccio armato della dominazione imperialista occidentale attraverso gli investimenti di capitale e il commercio mondiale.

Sebbene l’Ucraina abbia tutto il diritto di armarsi per difendersi dall’invasione, questo non può mai essere un pretesto per un coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto, né per riarmare i suoi stati membri per prepararsi a guerre future. Al contrario, ci vogliono il disarmo globale, a partire dall’abolizione delle armi nucleari, e lo scioglimento delle alleanze militari della NATO in Occidente e dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) intorno alla Russia e ai suoi alleati.

Tuttavia, gli interessi della NATO non devono impedire agli internazionalisti di sostenere il popolo ucraino e la sua resistenza all’invasione del paese. Gli ucraini non hanno iniziato questa guerra e non hanno altra scelta che resistere militarmente contro l’esercito russo. In questo contesto, un semplice appello alla pace senza chiedere il ritiro immediato delle truppe russe dall’Ucraina significherebbe chiedere agli ucraini di essere vittime passive della violenza e della colonizzazione russa. Al contrario, sosteniamo il diritto del popolo ucraino all’autodeterminazione, che richiede la liberazione dal dominio coloniale russo.

Solidarietà con la resistenza del popolo ucraino contro l’invasione russa
Ritiro immediato delle truppe russe dall’Ucraina e fine immediata dei bombardamenti russi

Il 24 febbraio

Oggi è proprio il 24 febbraio. Da un anno le bombe russe cadono sulle città ucraine. Da un anno tantissimi civili e innocenti militari ucraini e russi cadono vittima dell’assurda guerra di aggressione messa in atto dall’autocrate del Cremlino e dal suo regime. Da un anno quella guerra sta commuovendo e indignando l’opinione pubblica democratica di tutto il mondo e in particolare in Europa. Da un anno quella commozione e quell’indignazione trovano solo una schifosa sponda nella furbesca operazione degli imperialismi occidentali statunitense ed europei di utilizzarle per legittimare la loro corsa al riarmo, una corsa al riarmo già decisa da tempo, ben prima dell’inizio dell’avventura putiniana.


Da un anno grandissima parte della sinistra, soprattutto in Italia, invece di mettersi in sintonia con quell’indignazione e con quella commozione e invece di raccoglierle, si è attivata per chiedere la cessazione delle sanzioni contro la Russia, e per chiedere la resa della resistenza ucraina. Una resistenza che ha colto di sorpresa Putin, che, come dice Berlusconi, pensava di arrivare in pochi giorni con i suoi tank a Kiev e di sostituire il governo Zelensky con un “governo di brave persone”. Ma è stata una resistenza che ha colto di sorpresa anche l’occidente che aveva consigliato a Zelensky di mollare e di scappare negli Stati Uniti prima che i russi arrivassero nella capitale ucraina.


Invece quella resistenza, popolare ed eroica come solo le resistenze popolari sanno essere, ha costretto tutti a cambiare i loro piani e i loro comportamenti. Ha costretto Putin a ripiegare su una guerra di posizione sanguinosa e che rischia di diventare sempre più interminabile. Ha costretto l’Occidente a tentare di usarla per i propri fini.


Ma non è riuscita a spingere la sinistra italiana a ridefinire le proprie posizioni che sono rimaste sempre e comunque orientate a sostenere la Federazione russa, ritenuta, nonostante le sue nefandezze, l’unico baluardo allo strapotere occidentale, e a difenderne, a volte senza neanche un malcelato imbarazzo, gli interessi e gli obiettivi.


Grandissima parte della sinistra italiana celebra oggi e in questi giorni questa ricorrenza manifestando “per la pace”, riuscendo a mettere Russia e Ucraina sullo stesso piano, tradendo il principio democratico di distinguere tra un esercito aggressore e un popolo aggredito, come tutta la sinistra aveva sempre fatto in tante occasioni distinguendo tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan e l’Iraq, tra Israele e i palestinesi, tra la Turchia e i curdi, al di là del giudizio anche negativo che può essere dato sui governi dei popoli aggrediti.


In un anno la sinistra (salvo rarissime e lodevoli eccezioni, vedi qui e qui) è riuscita a non dare mai la parola a chi in Russia si batte contro il regime criminale di Putin né tantomeno a chi in Ucraina sostiene e partecipa alla resistenza pur lottando contro il governo Zelensky e la sua politica neoliberale.

Viva la resistenza Ucraina, viva l’Ucraina libera e indipendente, viva l’opposizione democratica russa

Per l’immediato cessate il fuoco e per il ritiro delle truppe russe dai territori occupati

Ucraina, stop alla guerra

Comunicato del Nuovo Partito Anticapitalista-NPA (22 febbraio 2023)

Basta con la guerra di Putin! Le truppe russe fuori dall’Ucraina! Solidarietà con la resistenza ucraina!


Un anno fa il presidente russo Vladimir Putin ordinava alle sue truppe di invadere l’Ucraina. Nonostante la sproporzione delle forze, nonostante le centinaia di migliaia di morti militari e civili, nonostante la distruzione di città e infrastrutture (soprattutto energetiche), nonostante i crimini di guerra e i presunti crimini contro l’umanità commessi contro di loro, il popolo ucraino continua a resistere.

Eppure Putin si ostina. Sta continuando a mandare al massacro decine di migliaia di soldati della Federazione Russa, spesso provenienti da regioni povere, sta preparando le prossime offensive, insomma non c’è alcuna possibilità che fermi questa invasione contraria a tutto il diritto internazionale.

Difendere i diritti dei popoli contro l’aggressione

Troppi movimenti di sinistra nel mondo, pur condannando le politiche quotidiane di Putin, cercano di giustificare questa invasione come una “provocazione” della NATO, degli USA o degli stessi ucraini. Se conosciamo le turpitudini di lungo periodo dell’imperialismo dominante e delle potenze occidentali alleate, se denunciamo la loro responsabilità storica nella competizione generalizzata sulle merci che porta alle guerre, sappiamo anche che non ci può essere emancipazione senza difendere il diritto dei popoli a resistere all’aggressione. Sarebbe ingiusto e illusorio credere che la pace possa essere fatta sulle spalle degli ucraini per risolvere quello che è soprattutto un “conflitto inter-imperialista”. Per gli ucraini si tratta di una lotta di liberazione nazionale e democratica.

Putin è entrato in guerra nella sua logica di ex agente dei servizi di sicurezza diventato autocrate imperialista, che vuole ricostruire l’ex impero coloniale russo schiacciando tutti i diritti democratici che possono minacciare il suo regime predatorio. Ha pubblicamente annunciato e ripetuto di voler porre fine all’Ucraina come stato indipendente.

Sostegno alla resistenza ucraina armata e non armata

L’intera società ucraina si sta sollevando per difendere la propria libertà, con il sostegno degli oppositori dell’oppressione in tutta la regione. La resistenza ucraina armata e disarmata merita il sostegno della sinistra e degli anticapitalisti di tutto il mondo, al di là di ciò che si può pensare del governo ucraino, al di là dei secondi fini delle potenze occidentali – alle quali Zelensky continua a chiedere aiuti militari per consentire agli ucraini di respingere l’assalto dell’esercito di Putin e impedirne la vittoria. E questo non ci impedisce di rafforzare la nostra denuncia del riarmo globale nel mondo, né della vendita di armi di Macron alle dittature.

Con la Rete europea di solidarietà con l’Ucraina (RESU/ENSU), che abbiamo contribuito a costruire, l’NPA è impegnato nella solidarietà dal basso, indipendente da qualsiasi governo. Solidarietà e legami con le organizzazioni civiche, sindacali e femministe ucraine, ma anche con le organizzazioni antiguerra bielorusse e russe. Per consolidare una prospettiva anticapitalista e i legami con le forze di trasformazione sociale dell’Europa orientale, la sfida è quella di diffondere maggiormente queste azioni di solidarietà. È in questo quadro che, a un anno dallo scoppio di questa guerra iniqua, chiediamo la partecipazione a manifestazioni unitarie per il ritiro delle truppe di Putin dall’intera Ucraina.

Ucraina, 24 febbraio, un anno di guerra

Il 24 Febbraio sarà passato esattamente un anno dall’inizio della criminale invasione russa dell’Ucraina. Una guerra spaventosa, sia per la ferocia sul campo da parte dell’invasore che per le ripercussioni globali e le conseguenti inquietanti possibilità di estensione del conflitto.


Le morti sono già alcune centinaia di migliaia, i rifugiati sono oltre 10 milioni, in un conflitto che vede bruciare proiettili e bombe ad un ritmo che non si vedeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il popolo ucraino da un anno resiste riuscendo a fare saltare i piani di conquista di Putin, ma lo stallo sul campo e l’inasprimento della contrapposizione tra blocchi pone sempre più il problema del rischio di escalation globale e il potenziale uso di bombe nucleari da parte della Russia.


In questo scenario complesso ed estremo che non vede facili formule risolutive all’orizzonte, si è purtroppo vista l’assenza di un internazionalismo di sinistra anticapitalista a sostegno dellɜ oppressɜ dell’est Europa risucchiatɜ nel gorgo della guerra e del dispotismo. Le voci della sinistra dell’Est sono spesso ignorate, con conseguente sottovalutazione dell’imperialismo russo, e la narrazione è spesso tutta schiacciata sulla geopolitica, facendo scomparire i popoli, le classi sociali, l’oppressione eteropatriarcale, il dominio coloniale.

Abbiamo perciò deciso di dare voce a chi è direttamente coinvolt@ da questa terribile situazione, per parlare di cosa sta succedendo in Ucraina e in Russia, dell’opposizione di sinistra in questi paesi, della resistenza e della lotta dal basso dellɜ oppressɜ, della solidarietà internazionalista e delle prospettive future.

Domenica 26 Febbraio h17, presso la Libreria Alegre, circonvallazione Casilina 72, intervengono:

  • Oleksandr Pechenkin (Соціальний рух), militante della sinistra radicale ucraina
  • Alexander Bikbov (Centre d’études des Mondes Russe, Caucasien & Centre-Européen) sociologo russo

Ucraina, quale pace?

di Yorgos Mitralias


Chi poteva prevedere, il 24 o 25 febbraio 2022, che un anno dopo gli ucraini sarebbero stati sottoposti a una valanga di proposte di pace e di cessate il fuoco da parte dei loro nemici ma anche dei loro amici? La risposta non è difficile: praticamente nessuno, perché tutti, nemici ma anche amici, non credevano che un anno dopo ci sarebbe stato ancora un paese indipendente chiamato Ucraina in grado di negoziare seriamente qualcosa con l’onnipotente Federazione Russa. Insomma, se oggi si parla di pace, lo si deve alla resistenza eroica e del tutto “imprevista” del popolo ucraino all’aggressione dell’imperialismo della Grande Russia, che ha sconfitto i piani iniziali di entrambe le parti.

Detto questo, queste proposte di pace sono problematiche. Provenendo dai nemici dell’Ucraina, equivalgono a un chiaro ultimatum: incontrarsi ora per la pace oggi! O questa variante: incontrarsi per fermare l’inutile massacro di ucraini… di cui gli ucraini sarebbero gli unici responsabili. Pronunciato quasi giorno dopo giorno da eminenze del Cremlino come Medvedev, Soloviev o lo stesso Putin, questo ultimatum non fa che illustrare il cinismo e l’arroganza di questi sinistri personaggi. Ma ripetuto da persone che si definiscono di sinistra, non fa che scandalizzare qualsiasi persona normale: com’è possibile che una proposta di pace richieda che una delle due parti coinvolte accetti volontariamente la sua scomparsa? E, inoltre, come è possibile che una proposta di pace richieda che una delle due parti non si armi adeguatamente per affrontare la “seconda potenza militare” del mondo?

Ma l’ipocrisia di questi cosiddetti “pacifisti” appare in tutto il suo macabro splendore quando questi “sinistri” si dispiacciono per il tragico destino degli unici ucraini presumibilmente “inutilmente sacrificati” dai loro leader, e non dicono nulla sul massacro dei giovani russi che servono come carne da cannone per il padrone del Cremlino. Se volessero davvero la pace, potrebbero benissimo iniziare a chiedere a Putin di smettere di sacrificare i suoi compatrioti in una guerra imperialista e non agli ucraini che stanno solo difendendo il loro diritto più elementare: il diritto di esistere…

Se queste “proposte di pace” dei nemici degli ucraini sono pura propaganda per sciocchi, lo stesso non si può dire delle proposte di pace degli amici (o sedicenti tali) occidentali degli ucraini. Predicando – in un modo o nell’altro – la necessità di “non umiliare Putin”, la maggior parte di queste proposte di pace sono condizionate dalla necessità delle grandi potenze occidentali di non tagliare i legami con la Russia, il suo mercato e le sue materie prime. Ecco perché gli aiuti militari offerti dai paesi occidentali all’Ucraina ricordano impercettibilmente quelli offerti dai paesi del “socialismo reale” al Vietnam che combatteva contro l’aggressione americana: abbastanza per non essere sconfitti, ma non abbastanza per vincere…

Naturalmente, la resistenza (inaspettata) del popolo ucraino in armi ha una grande influenza sulla politica degli occidentali sull’Ucraina, costringendola a moderare o addirittura a “dimenticare” per un po’ la pressione su Kiev. Tuttavia, questa pressione riemerge periodicamente, soprattutto quando gli ucraini incontrano difficoltà con l’esercito russo. In questo caso assumono la forma di proposte (o piani) di pace che consigliano agli ucraini di “moderare” le loro ambizioni (ad esempio, cedendo la Crimea alla Russia) per non creare troppe difficoltà a Putin e al suo potere all’interno della Russia.

Lo scopo di tali proposte di pace è ovvio: ammorbidire Putin per renderlo più “ragionevole”! Purtroppo, questa tattica ha almeno due grandi punti deboli, che la rendono in definitiva inefficace. In primo luogo, non tiene conto delle popolazioni interessate (ad esempio i tatari di Crimea) e non se ne cura, con la logica conseguenza di incontrare il loro rifiuto e la loro resistenza. E in secondo luogo, che ignora i disastri a cui tali “politiche di appeasement” hanno portato nel XX secolo a tiranni come Hitler o addirittura allo stesso Putin in un passato molto più recente!

Sterili per queste ragioni, questi “piani di pace” sono anche e soprattutto immorali perché paternalistici e intrisi dell’arroganza della grande potenza. Volendo decidere il destino del popolo ucraino al posto suo, non fanno altro che confermare che, al di là degli accordi e delle alleanze temporanee, il popolo ucraino può contare solo sulle proprie forze. Esattamente come hanno fatto dall’inizio di questa guerra. E naturalmente sull’attiva solidarietà internazionalista degli oppressi e di “coloro che stanno in basso” in Russia e Bielorussia, in Europa e nel mondo intero…