Archivi tag: lavoro

Ucraina, i sindacati contro la guerra e il liberalismo

di Yves Sancey, giornalista e community manager della comunicazione del Sindacato svizzero dei trasporti pubblici SEV, da sev-online.ch

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8 marzo, sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo

del Collettivo femminista di inchiesta sociale “Ipazia”, da Facebook

Anche quest’anno scendiamo in piazza per la giornata dell’8 marzo per riaffermare la nostra volontà di lotta contro tutte le forme di oppressione, di sfruttamento e di razzismo che riguardano le donne.

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Il traffico aereo e l’industria dell’aviazione, contro il clima e contro i poveri 


di Code Rouge, movimento belga di disobbedienza civile creato da attivisti e sostenuto da varie organizzazioni e gruppi d’azione, tra i quali le/i compagne della Gauche Anticapitaliste, da code-rouge.be

Sebbene non sia un segreto che l’aviazione sia un disastro climatico, che imponga condizioni di lavoro incerte e abbia un impatto disastroso sulla natura, sull’agricoltura e sulla salute, questa industria beneficia ancora di numerose agevolazioni fiscali e sussidi per milioni di euro, che le permettono di crescere oltre i limiti planetari, a vantaggio dell’1% responsabile di oltre la metà delle emissioni dei voli passeggeri. 

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Palestina occupata, un’economia coloniale 


L’uso della manodopera palestinese in Israele è uno dei principali meccanismi di controllo coloniale dello stato sionista

di Fabrizio Burattini 

Lo sfruttamento del lavoro delle popolazioni indigene è stata una strategia chiave dello sviluppo economico nell’epoca del colonialismo.

Oggi, perlomeno fino al 7 ottobre, l’uso della manodopera palestinese occupata nell’economia israeliana ha rispecchiato questo approccio, con l’implicita affermazione che tutto ciò contribuirebbe alla “prosperità” dei palestinesi. 

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Produzione, lavoro e crisi ecologica

di Daniel Tanuro, da europe-solidaire.org. Il testo che segue è stato scritto per la rivista “l’Arrosoir” del “SITO-Students in Transition Office” dell’Université Libre de Bruxelles

Il rapporto tra umanità e natura è la causa della crisi attuale che, oltre a distruggere innumerevoli risorse naturali, espone l’umanità a minacce esistenziali. La canzoncina sui “poveri che fanno troppi figli” serve chiaramente a distogliere l’attenzione dal fatto che sono i ricchi (del Nord e del Sud) a creare la catastrofe climatica.


Il lavoro assume forme particolari a seconda dei modi di produzione sociale. Di fronte alla crisi climatico-ecologica, la battaglia può essere combattuta solo restituendo al lavoro il suo carattere di attività sociale che produce valori d’uso per soddisfare i bisogni umani reali (in opposizione ai bisogni umani alienati dal capitale produttivista/consumista).

La produzione dell’homo sapiens


“Produrre” significa “far apparire”, “far nascere”. La natura produce, e la biosfera in particolare produce. All’interno della natura, tuttavia, possiamo distinguere una forma di produzione specificamente umana. Essa è caratterizzata da cinque caratteristiche principali:

  1. L’homo sapiens individua le risorse nel suo ambiente, le estrae e le trasforma per soddisfare i suoi bisogni attraverso cose che, senza la sua azione, non apparirebbero spontaneamente.
  2. La specie umana mantiene un rapporto con il resto della natura mediato da un’attività specifica, il “lavoro”, che si avvale di strumenti.
  3. Il cervello adatta costantemente il lavoro al suo obiettivo, valuta il risultato e sviluppa la sua produttività attraverso nuovi strumenti e/o nuove forme di organizzazione; in questo processo emergono nuovi bisogni.
  4. Poiché la specie è sociale per natura, il lavoro è sociale fin dall’inizio, il che presuppone relazioni sociali, comunicazione e forme di organizzazione sociale.
  5. L’evoluzione del processo lavorativo spiega in ultima analisi l’evoluzione delle forme sociali, le cui caratteristiche principali permettono di distinguere i modi storici di produrre l’esistenza.

È ovvio che la produzione umana è emersa dalla produzione naturale come frutto di meccanismi evolutivi. È per questo che alcune delle caratteristiche citate esistono in forma embrionale nel resto della natura: alcuni animali creano strumenti, alcuni insetti vivono in società basate sulla divisione del lavoro e così via. Tuttavia, il linguaggio, il costante miglioramento della produttività del lavoro e il concatenamento dei modi di produzione storici sono tratti specificamente umani.


L’homo sapiens “produce la propria esistenza sociale”, per dirla con Karl Marx. La specie umana è ovviamente parte della natura, ma occupa una posizione molto speciale al suo interno. Il genetista Alain Prochianz ritiene che siamo allo stesso tempo nella natura e fuori di essa. La formula è paradossale, ma focalizza l’attenzione sul rapporto tra l’umanità e la natura, e ne abbiamo bisogno per riflettere sulla “crisi ecologica”.


I limiti superati

Ne abbiamo bisogno perché la grave interruzione del rapporto tra umanità e natura è la causa della crisi che, oltre a distruggere innumerevoli risorse naturali, sta esponendo l’umanità a minacce esistenziali.


Gli scienziati hanno identificato nove parametri per la sostenibilità della nostra specie sulla Terra. Per ognuno di questi parametri sono stati determinati dei limiti relativi. Sono stati superati in sei casi su nove (concentrazione di gas serra, declino della biodiversità, inquinamento atmosferico, avvelenamento da “nuove entità chimiche”, degrado del suolo, eccesso di nitrati e fosfati nell’acqua). 


Lo stato dello strato di ozono stratosferico è l’unico parametro in relazione al quale i governi hanno adottato misure che hanno migliorato la situazione. Gli ultimi due parametri sono le risorse di acqua dolce e l’acidificazione degli oceani.


È probabile che anche i loro limiti relativi vengano superati. Ad esempio, secondo l’IPCC, il 95% delle barriere coralline morirà se la temperatura aumenterà oltre 1,5°C a causa dell’acidificazione… e questa soglia sarà raggiunta in meno di 10 anni. Cosa accadrà quindi alle decine di milioni di persone il cui sostentamento dipende dalla ricchezza di queste barriere coralline?

L’allarmante aumento della catastrofe ecologica tende a fare il gioco di certe pseudo-spiegazioni essenzialiste: la produzione umana è intrinsecamente distruttiva, quindi siamo troppi sulla Terra.


Certo, non si può negare che l’Homo sapiens abbia un’impronta ecologica specifica, maggiore di quella di altre specie: ci vestiamo, costruiamo abitazioni, prepariamo il cibo, costruiamo macchine per muoverci e per comunicare tra noi…


Ambiente e disuguaglianze sociali


Eppure la demografia non è la causa della distruzione in atto. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC (AR6), i 3-3,5 miliardi di esseri umani che soffrono maggiormente gli impatti del cambiamento climatico sono proprio quelli che hanno la minore responsabilità storica per le emissioni (una buona parte non ne ha affatto!).


L’1% più ricco dell’umanità emette più CO2 del 50% più povero. Il motivetto “i poveri fanno troppi figli” serve chiaramente a distogliere l’attenzione dal fatto che sono i ricchi (del Nord e del Sud) a creare la catastrofe climatica. Con i loro jet privati, le auto di lusso, i palazzi faraonici, i consumi vistosi… e gli investimenti produttivistici degli azionisti motivati unicamente dal profitto.


In breve, le teorie essenzialiste cercano di nascondere le cause sociali della crisi. Fanno il gioco dell’estrema destra razzista e delle politiche barbare di respingimento dei migranti.

Quali sono queste cause? Perché il rapporto tra l’umanità e la natura si è interrotto fino a minacciare entrambe? Poiché l’Homo sapiens produce la sua esistenza sociale attraverso il lavoro, è inevitabilmente a questo livello che va cercata la risposta. Nel farlo, dobbiamo evitare una variante della pseudo-spiegazione essenzialista: non è il lavoro in sé a spiegare la distruzione ecologica, ma la forma storica che ha assunto nella storia recente. 


Questo è facilmente dimostrabile: la maggior parte degli scienziati ritiene che siamo passati dall’Olocene all’Antropocene. Secondo loro, i tre indicatori di questo cambiamento d’epoca sono il declino della biodiversità, la proliferazione dei nuclidi radioattivi e l’aumento del livello del mare.


Il lavoro e la catastrofe ecologica


Tuttavia, questi indicatori hanno iniziato a lasciare la loro impronta geologica solo dopo il 1945. Quindi la domanda “quali sono le cause sociali della crisi ecologica” porta a un’altra: qual è il cambiamento che ha interessato il lavoro nella storia recente e come questo cambiamento spiega l’esplosione della catastrofe ecologica nella seconda metà del XX secolo?

Le cinque caratteristiche distintive elencate all’inizio di questo contributo si applicano al lavoro umano in generale. Ma il lavoro assume forme particolari a seconda dei modi di produzione sociale. In linea di massima, per la maggior parte della storia umana, queste forme sono state determinate dal fatto che la funzione unica o principale del lavoro era quella di produrre valori d’uso (utilità destinate a soddisfare i bisogni umani).


Ma oggi non è più così: lo scopo del lavoro è produrre merci (valori di scambio) per il profitto di una minoranza che possiede i mezzi di produzione e che accumula denaro sfruttando il lavoro e saccheggiando le risorse.

Questa situazione è il prodotto di una lunga transizione in cui l’operazione economica del “vendere per comprare” è stata sostituita dall’operazione economica del “comprare per vendere”. Il punto chiave è che “comprare per vendere” ha senso solo se la quantità di denaro ricavata dalla vendita è maggiore di quella spesa per l’acquisto. La differenza è nota come “plusvalenza”.


Valore d’uso e valore di scambio


Questo valore aggiunto, a sua volta, ha senso solo se viene reinvestito per generare ancora più valore aggiunto. Di conseguenza, lo scopo concreto dello scambio – soddisfare un bisogno – viene gradualmente soppiantato da uno scopo astratto – accumulare denaro. Questa è la definizione di capitale: una somma di denaro che cerca di diventare altro denaro. È ovvio che questo capitale mira inevitabilmente a produrre sempre di più, il che significa anche consumare sempre di più. Questo modo di produzione è produttivista (e consumista) per natura.

Inizialmente limitata al commercio a lunga distanza e alla finanza, la dinamica produttivista del capitale è cresciuta in ampiezza e profondità nel corso della storia. Una fase decisiva è stata raggiunta quando il lavoro è diventato una merce. Questa mercificazione è stata imposta dall’appropriazione dei mezzi di produzione: le popolazioni contadine cacciate dalla terra sono state costrette a lavorare per i proprietari, in cambio di salari.


Così, in una lunga trasformazione iniziata nel XV secolo, il capitale uscì sempre più dalla sfera del commercio per assumere quella della produzione. Di conseguenza, furono gettate le basi sociali perché tutto, assolutamente tutto, diventasse merce.


Con la Rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, il capitale bulimico ha sposato i combustibili fossili, consentendogli di conquistare l’intera Terra. A questo proposito si veda Alain Bihr, Le premier âge du capitalisme (1415-1763), 3 volumi, (pubblicato da Editions Page deux e Syllepse, 2018-2019). È così che, in meno di due secoli, il produttivismo capitalista ha cambiato il volto del mondo e ha innescato la catastrofe ecologica globale che si sta svolgendo intorno a noi.

Questa catastrofe non può più essere evitata. Al massimo possiamo cercare di evitare che si trasformi in un cataclisma. Ma questo è possibile solo se si esce dalla logica del produttivismo, che significa emancipare il lavoro dai vincoli del capitale. Il problema è che questa logica organizza attualmente l’attività della grande maggioranza della popolazione mondiale. Privati di ogni autonomia, dipendono interamente dalla vendita della loro forza lavoro per il loro sostentamento.


La grande questione strategica della lotta ecologica è quindi una questione sociale, che può essere formulata come segue: come possiamo sottrarre il mondo del lavoro al vincolo capitalistico del profitto? Il problema è tanto più spinoso in quanto il mondo del lavoro è sulla difensiva e non basta più fermare la crescita capitalistica: la catastrofe ha raggiunto proporzioni tali da rendere indispensabile una riduzione globale della produzione materiale e dei trasporti, soprattutto per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, come deciso alla COP21 di Parigi.


I soggetti di una lotta anticapitalista


Come possiamo coinvolgere in questa lotta i lavoratori pesantemente segnati dall’individualismo, spinti sulla difensiva da 40 anni di brutale neoliberismo, e che temono – e a ragione! – che la cosiddetta “transizione energetica” capitalista avvenga a spese dei loro posti di lavoro e dei loro salari? Questa è la domanda…

I “Soulèvements de la Terre” non sono un’eccezione in Francia. Negli ultimi anni, le lotte radicali contro la distruzione ecologica capitalista sono sorte un po’ ovunque. Per una panoramica su questo tema, si veda Michael Löwy e Daniel Tanuro, Luttes écologiques et sociales dans le monde. Allier le vert et le rouge (Ed. Textuel, Paris, 2021).


Salvo rare eccezioni, i lavoratori e i loro sindacati sono assenti da queste lotte. Queste lotte sono portate avanti dai giovani, dalle popolazioni indigene e dai piccoli agricoltori – in particolare dalle donne, che sono in prima linea in questi tre gruppi sociali. Unendosi, queste componenti possono creare un equilibrio di potere e, in alcuni casi, spingere idietro i capitalisti e i governi che li servono.


Ma la battaglia può essere vinta solo ripristinando il carattere del lavoro come attività sociale che produce valori d’uso per soddisfare i bisogni umani reali (in contrapposizione ai bisogni umani alienati dal capitale produttivista/consumista).

Il “capitalismo verde” è un inganno. Per fermare la catastrofe occorre, al contrario, abolire il capitalismo. Sempre più persone comprendono questa necessità. L’anticapitalismo è una bussola strategica. Su questa base, i movimenti ecologisti radicali devono cercare di combinare il loro legittimo radicalismo con approcci volti a coinvolgere settori del mondo del lavoro in una lotta comune per un progetto sociale ed ecologico per la società. In generale, questi approcci hanno due aspetti:

  • in primo luogo, il sostegno sistematico ai lavoratori che lottano per le loro rivendicazioni sociali, perché è solo attraverso la lotta che si può sviluppare una coscienza eco-sociale comune a tutti i movimenti sociali;
  • in secondo luogo, l’ideazione di rivendicazioni che rispondano a esigenze sia sociali che ecologiche, come, ad esempio, la riduzione radicale dell’orario di lavoro senza perdita di salario, la socializzazione dell’energia e del credito e l’estensione dei servizi pubblici gratuiti.

La difficoltà è enorme, ma non c’è altra strada. La destra, in crisi di legittimità, sta scivolando sempre più verso l’estrema destra, in particolare etichettando demagogicamente gli attivisti dell’ecologia radicale come nemici del lavoro e del tenore di vita, o addirittura come “ecoterroristi” e “wokisti”.


In questo modo, spera di attirare gli elettori delle classi lavoratrici, in modo da poterli assoggettare ancora meglio alle sue politiche antisociali. Donald Trump, Gérard Darmanin, il ministro dell’Interno francese, Georges-Louis Bouchez, il presidente del Mouvement réformateur belga di destra, sono solo alcuni esempi di questo pericoloso fenomeno. Una strategia ecosocialista è essenziale per bloccarli.

La guerra e il futuro dell'Ucraina e del movimento di sinistra

Risoluzione adottata dalla Conferenza nazionale del 17 settembre dal Соціальний Рух (Sotsyalnyi Rukh “Movimento sociale”)

Il popolo ucraino ha affrontato sfide difficili, ma ha dimostrato la sua capacità di lottare per il diritto di decidere del proprio destino e la sua determinazione a difendere il paese e a porre fine alla guerra il prima possibile. Le autorità e i rappresentanti dell’ideologia fondamentalista del mercato, insieme alle grandi imprese, continuano a portare avanti un modello economico incentrato sul beneficio di una minoranza a scapito del benessere dell’assoluta maggioranza.

Il popolo ucraino ha affrontato sfide difficili, ma ha dimostrato la sua capacità di lottare per il diritto di decidere del proprio destino e la sua determinazione a difendere il paese e a porre fine alla guerra il prima possibile. Le autorità e i rappresentanti dell’ideologia fondamentalista del mercato, insieme alle grandi imprese, continuano a portare avanti un modello economico incentrato sul beneficio di una minoranza a scapito del benessere della maggioranza assoluta. In questo modello, i lavoratori sono completamente asserviti alla volontà dei loro datori di lavoro, mentre le funzioni sociali e normative dello stato vengono abolite in nome delle “esigenze aziendali”, della “concorrenza” e del “libero mercato”.

Il nostro paese merita un assetto postbellico, in cui un lavoro dignitoso, un sistema affidabile di protezione sociale, un’istruzione, un alloggio e una medicina a prezzi accessibili diventino una priorità. Gli ucraini hanno già visto quanto possano essere essenziali per la sopravvivenza imprese pubbliche come l’Ukrzaliznytsia (le Ferrovie statali, ndt), di proprietà dello Stato, e hanno anche provato quanto possa essere dolorosa la deregolamentazione dei prezzi di cibo, case e carburante.

È necessario un partito che attui una visione alternativa dell’Ucraina – democratica, sociale e socialista. Questo partito dovrebbe proteggere e unire la classe operaia e i non privilegiati, coloro che oggi non hanno rappresentanza politica e subiscono continui abusi. Questo partito deve proteggere la maggioranza assoluta della popolazione attiva dalle imposizioni dei datori di lavoro.

L’obiettivo finale di questa forza politica deve essere l’emancipazione dell’umanità e la radicale democratizzazione della vita economica, politica, nazionale e sociale. Il partito dovrebbe sostenere il trasferimento del potere sull’economia dai proprietari privati e dalla gestione aziendale ai collettivi di lavoro e alle comunità. Il processo decisionale e la distribuzione dei beni economici devono essere nell’interesse dell’intera comunità, non dei proprietari del capitale. A tal fine, l’economia deve essere costruita sulla base della proprietà pubblica anziché privata.

Con lo scoppio della guerra, gli oligarchi e gli altri grandi capitalisti sono fuggiti dallo stato. È stata la gente comune, compresi i lavoratori organizzati, che rappresentano la parte più consistente della società civile, ad ergersi per difendere il Paese. Purtroppo, nonostante la classe operaia costituisca il nucleo della resistenza ucraina all’imperialismo russo, le nostre autorità continuano ad approvare leggi volte a limitare il suo coinvolgimento nel processo decisionale, provocando così ulteriori conflitti sociali, minando le capacità di difesa e attaccando i diritti democratici della maggioranza per la protezione della minoranza dominante. Le decisioni antisociali sono giustificate dalla necessità militare, anche se in pratica la maggior parte delle esperienze di “economia di guerra” che hanno avuto successo nel mondo si basava sui principi dello Stato sociale e del dialogo sociale.

La guerra ha creato nuove forme di auto-organizzazione e di politica di base. La mobilitazione della nazione per la guerra di liberazione ha rafforzato il senso di causa comune e ha fatto capire che è grazie alla gente comune, non agli oligarchi o alle imprese, che questo Paese esiste. La guerra ha cambiato radicalmente la vita sociale e politica dell’Ucraina e non dobbiamo permettere che queste nuove forme di organizzazione sociale vengano distrutte, ma dobbiamo, al contrario, ampliarle.

Un segnale positivo è stato l’ampio sostegno alla richiesta di cancellare il debito estero dell’Ucraina, che ha portato al suo congelamento, e il sostegno dei più grandi sindacati del mondo e dei partiti della sinistra democratica alla richiesta di fornire all’Ucraina armi e di lottare contro le leggi antioperaie.

È giunto il momento di cambiare la politica ucraina. Vogliamo un nuovo partito di massa che rappresenti il lavoro organizzato, i movimenti popolari e democratici uniti intorno a un progetto radicale di trasformazione della società sulla base della liberazione integrale, della proprietà pubblica e della democrazia.

Fino a poco tempo fa, molti nel mondo sottovalutavano l’Ucraina e trascuravano la soggettività del suo popolo. Ora che il paese, in tutta la sua diversità linguistica, etnica e culturale, si è unito in una lotta armata per il diritto di decidere del proprio destino attraverso le proprie forme di auto-organizzazione, è giunto il momento di spiegare alle nostre élite economiche e politiche che non sono loro, ma il popolo del lavoro che costituisce la nazione ucraina a dover decidere come costruire il nostro Paese.

Risoluzione

“Sotsialnyi Rukh” ritiene che le priorità nella lotta per questo debbano essere:

1. Vittoria completa e sicurezza per l’Ucraina

L’esercito russo deve essere sconfitto ora, questo è un prerequisito per lo sviluppo democratico e sociale del nostro Paese e del mondo.

Per preservare l’indipendenza e la democrazia sarà necessario, innanzitutto, sviluppare le proprie capacità di difesa. Su questa base, deve essere costruito un nuovo sistema di sicurezza internazionale per contrastare efficacemente qualsiasi manifestazione di aggressione imperialista nel mondo. L’Ucraina ha bisogno di un programma per ripristinare la produzione industriale e la difesa ad alta intensità scientifica e le industrie correlate.

2. Ricostruzione dell’Ucraina orientata alla società

Le forze neoliberali stanno cercando di imporre la loro visione dell’Ucraina del dopoguerra, un paese che appartiene alle grandi imprese, non al suo popolo, e che non ha né protezione sociale né garanzie. A differenza di ciò, noi crediamo che sia necessario sostenere una ricostruzione che enfatizzi il progressivo sviluppo degli standard di vita della maggioranza della popolazione e delle nostre infrastrutture sociali, fornendo garanzie economiche. La ricostruzione deve essere ecologica, sociale, decentrata e democratica, inclusiva e femminista.

In particolare, è necessaria la nazionalizzazione delle imprese chiave sotto il controllo dei lavoratori e del pubblico. Inoltre, riteniamo fondamentale e sosteniamo l’attuazione di una contabilità aperta in tutte le imprese, indipendentemente dalla proprietà, il coinvolgimento dei lavoratori nella loro gestione, la creazione di organismi e comitati eletti separati per esercitare questo diritto. Gli schemi corrotti di trasferimento offshore dei profitti derivanti dall’esportazione di minerali di ferro, metalli e prodotti agricoli devono essere tassati. In generale, la tassazione deve essere progressiva per finanziare la sfera sociale e lo sviluppo dell’economia. Un altro passo dovrebbe essere l’introduzione di una pianificazione indicativa e diretta per uno sviluppo strutturato, stabile e più completo dell’economia.

Il segreto commerciale deve essere abolito. In Ucraina può esistere solo un tipo di segreti, quelli militari, il cui accesso è regolato dallo stato, mentre tutte le altre informazioni sull’operato di imprese, organizzazioni e agenzie statali dovrebbero essere aperte a tutti i cittadini.

Non meno importante è superare il mobbing e il bullismo sul lavoro, garantire la disponibilità di rifugi per le vittime di violenza domestica, combattere la violenza di genere, lottare per condizioni di vita sicure e stabili per le donne, le persone trans e le persone non binarie, garantire l’uguaglianza nelle forze armate e sul posto di lavoro, rendere più rigorosa la responsabilità per i crimini d’odio e aumentare la rappresentanza di tutti i gruppi sociali nel governo.

3. Democratizzazione sociale

Democratizzazione di tutti i livelli della vita, eliminando l’influenza del denaro e delle grandi imprese sulla politica, aumentando la rappresentanza e l’importanza dei sindacati, delle minoranze nazionali e delle comunità al potere e il loro pieno coinvolgimento nel processo decisionale. I proprietari di capitali e le persone da loro finanziate non possono essere deputati del popolo o ricoprire incarichi nei servizi pubblici e municipali.

La guerra rende necessario limitare alcuni diritti e libertà per proteggere l’indipendenza e la democrazia. Tuttavia, dobbiamo esigere che tali limitazioni siano chiaramente giustificate, in modo che non vengano utilizzate per l’abuso di potere quando non vi è alcuna necessità militare.

I rappresentanti delle comunità locali, in particolare delle unità di difesa territoriale, devono essere direttamente coinvolti nel garantire la sicurezza e l’ordine pubblico, mentre la loro attività deve essere regolata in modo democratico e trasparente nell’interesse pubblico.

Democratizzazione sociale significa anche tutela dei diritti del lavoro secondo i migliori standard esistenti nei paesi europei, limitazione della durata della giornata lavorativa e adozione della legge sull’ispezione del lavoro.

È necessario trasformare le politiche migratorie per facilitare l’accesso alla residenza e impedire un trattamento indegno degli stranieri.

Sono indispensabili alloggi sociali ed efficienti dal punto di vista energetico, la tutela dei diritti degli inquilini, il controllo degli affitti, lo sviluppo delle infrastrutture urbane e la trasformazione ecologica delle città. L’espansione dell’autogoverno nelle città, l’introduzione di elementi di democrazia diretta, lo sviluppo del trasporto pubblico e la limitazione dell’uso di quello privato sono altri passi essenziali da compiere.

Inoltre, lo sviluppo dell’autogoverno degli studenti è fondamentale. Gli studenti dovrebbero essere coinvolti nel processo decisionale delle università e degli altri luoghi di studio e sviluppare una rete di sindacati studenteschi indipendenti.

Altrettanto importante è la conservazione e lo sviluppo del sistema sanitario ucraino. Le riforme basate sulla concorrenza e sui principi di mercato piuttosto che sull’accessibilità e sulla qualità dei servizi devono finire. I finanziamenti devono essere aumentati insieme alla modernizzazione e alla garanzia di salari stabili e dignitosi per i dipendenti del settore. L’accesso ai farmaci deve essere gratuito, la commercializzazione dei farmaci deve cessare.

4. Identità e inclusione

La nuova identità ucraina, che sta nascendo sotto i nostri occhi, è multietnica e multiculturale, perché la maggior parte degli ucraini, che ora difendono il nostro paese, sono almeno bilingui. Il multilinguismo e la diversità della cultura nazionale ucraina devono essere preservati e sviluppati, puntando sul fatto che la lingua ucraina diventi un mezzo universale di scambio e produzione di conoscenza in tutti i settori della vita pubblica, della cultura, della scienza e della tecnologia. L’intero patrimonio culturale dell’umanità non dovrebbe essere disponibile solo in ucraino, ma l’ucraino dovrebbe essere utilizzato per produrre opere avanzate di letteratura e arte, conoscenze scientifiche e tecniche di livello globale.

È necessario garantire lo sviluppo della cultura e della lingua ucraina in tutta la loro diversità, un’ucrainizzazione socialmente orientata, basata su finanziamenti pubblici dignitosi e competenti per l’istruzione, l’editoria, la divulgazione della scienza, i festival, i progetti culturali, il cinema, ecc.

L’influenza della lingua ucraina dovrebbe essere alimentata in tutti i campi del sapere, per evitare che venga soppiantata dalle lingue internazionali più diffuse al mondo. Fortunatamente, l’ucraino non è solo la lingua della nostra storia, ma anche la lingua della scienza moderna, della tecnologia, della produzione e della difesa. La rinascita nazionale dell’Ucraina è impossibile senza lo sviluppo completo di tutte le sfere della vita sociale, comprese quelle della produzione ad alta tecnologia, dell’ingegneria e della ricerca fondamentale.

Certamente, il coinvolgimento delle minoranze nazionali nella politica e la garanzia dei loro diritti culturali, lo sviluppo e la protezione delle culture che hanno un minore numero di proseliti devono essere parte della rinascita nazionale. La lotta per la liberazione e la politica di “corenizzazione” (l’indigenizzazione, la pratica utilizzata nei primissimi anni del potere sovietico di valorizzare le etnie non russe, ndt) per tutte le etnie dell’Ucraina, che comprende il coinvolgimento delle loro comunità negli organi rappresentativi con una reale influenza politica, il finanziamento proporzionale delle istituzioni culturali e lo sviluppo della lingua con una notevole compensazione per la mancanza di uno stato-nazione.

5. Solidarietà internazionale contro l’imperialismo e la catastrofe climatica

Pur essendo il paese più grande del continente europeo, l’Ucraina è gettata alla periferia della politica regionale. Non avendo alcuna influenza sul processo decisionale, è ridotta a un mercato per gli stati europei.

Le crescenti contraddizioni tra i centri di accumulazione del capitale nel sistema capitalistico mondiale non si fermeranno nemmeno dopo la completa distruzione del potere imperialista russo. La sinistra in Europa e nel mondo si è rivelata impotente e disorientata di fronte all’aggressione russa in Ucraina. Se il movimento socialista internazionale non si renderà conto degli errori commessi e non costruirà una nuova cooperazione e un nuovo coordinamento veramente internazionalista, non avremo alcuna possibilità di impedire la crescita della lotta inter-imperialista in futuro.

La catastrofe climatica che si sta svolgendo sotto i nostri occhi richiede un’azione urgente. L’umanità deve mobilitare le risorse per il rifiuto immediato e completo degli idrocarburi. Il rifiuto completo del petrolio e del gas naturale russo deve essere accompagnato dallo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, ma anche dell’energia nucleare, senza la quale l’umanità non può farcela. Tutti i trasporti devono essere convertiti alla trazione elettrica il più rapidamente possibile, ponendo l’accento sullo sviluppo del trasporto pubblico e via cavo, piuttosto che di quello privato e a batteria. È necessario implementare ampiamente i sistemi di riscaldamento elettrico, come le pompe di calore. È necessario ridurre l’uso del legno e adottare misure per la protezione delle foreste.

In generale, i passi necessari includono una revisione radicale del rapporto tra uomo e natura, la regolamentazione ambientale delle imprese, un deciso abbandono dei principi dello sviluppo illimitato a favore di uno sviluppo sostenibile orientato all’ambiente, un finanziamento significativo delle misure volte a migliorare le condizioni dell’ambiente e a combattere la catastrofe climatica.

6. Un mondo libero per la creatività e la conoscenza

L’accesso alla conoscenza deve essere libero e disponibile per tutti. Tutti devono avere le migliori condizioni possibili per imparare e perseguire i propri interessi creativi e di ricerca. Il sistema di privatizzazione dei diritti di proprietà intellettuale deve essere completamente abolito e sostituito da un sistema di autori pubblici, di riconoscimento pubblico e di remunerazione dei creatori piuttosto che di imprenditori che si appropriano di opere altrui. Dovrebbe essere sviluppata un’istruzione di massa di qualità con metodi tradizionali e online e classi di dimensioni ridotte. L’istruzione superiore dovrebbe essere gratuita per tutti. L’istruzione privata dovrebbe essere vietata e si dovrebbero invece motivare gli investimenti nell’istruzione pubblica. È necessario aumentare i finanziamenti, espandere la ricerca e lo sviluppo, soprattutto nelle industrie tecniche e della difesa.

Proteggiamo la vittoria del popolo ucraino dalla sua privatizzazione da parte degli oligarchi!

Sul lavoro invisibile delle comunità di migranti ucraini


di Daria Krivonos, da lefteast.org

Daria Krivonos è sociologa e ricercatrice post-dottorato presso l’Università di Helsinki. La sua ricerca esplora la migrazione all’intersezione tra razzializzazione, lavoro, classe e genere. Il suo attuale progetto di ricerca esamina il lavoro dei giovani migranti ucraini e la precarietà nel contesto dell’economia dei servizi polacca. Twitta come @KrivonosDaria

Una delle principali stazioni ferroviarie di Varsavia, che funge da punto di informazione per gli ucraini in fuga dall’invasione russa, era piena di gente. Era l’inizio di maggio e la folla si era ridotta perché il numero di coloro che attraversavano il confine tra Polonia e Ucraina era diminuito. Tuttavia, c’era un estremo bisogno di volontari che parlassero ucraino e russo, pronti a fornire assistenza. I volontari sono rimasti alla stazione 24 ore su 24, fornendo informazioni su documenti, cibo, alloggi e trasporti. 

Ciò che spesso non viene detto in queste descrizioni ampiamente diffuse del sostegno ai rifugiati di guerra[*] dall’Ucraina nel contesto dell’invasione russa è che la stragrande maggioranza di questi volontari – almeno nel caso dei principali punti di Varsavia – erano ucraini, molti dei quali erano fuggiti dalla guerra. Poiché la recente discussione sull’arrivo dei rifugiati ucraini è incentrata sulla rapida mobilitazione della solidarietà nelle comunità locali delle “società ospitanti”, è importante chiedersi chi sia riconosciuto come parte di queste “comunità locali”. Sebbene la risposta immediata e il sostegno della maggioranza polacca debbano essere applauditi, in questa sede vorrei chiedere chi sosterrà i costi della riproduzione sociale nella migrazione dei rifugiati ucraini in una prospettiva a lungo termine, una volta che le “società ospitanti” saranno affaticate dalla guerra e i sentimenti umanitari svaniranno. Abbiamo già osservato come le “comunità locali” siano meno disposte a ospitare gli sfollati e gli Stati (quello polacco, per esempio) ritirino gli aiuti a chi accoglie i rifugiati nelle proprie case. Poiché fin dall’inizio questa solidarietà si è basata in gran parte sulla costruzione instabile della “europeità” e della “bianchezza”, ci si può porre una domanda, formulata in modo appropriato da uno dei miei interlocutori di ricerca ucraini: “Quanto durerà questa solidarietà? Quando inizieranno a trattarci (gli ucraini) come i rifugiati siriani?”. Con una protezione temporanea che non dà accesso a diritti più ampi in materia di protezione dei rifugiati e di welfare, insieme a una stanchezza delle “società ospitanti”, la domanda da porsi è chi ricostruirà le vite degli ucraini in fuga dalla guerra, visto che è improbabile che la guerra finisca presto.

Per rispondere a queste domande sarebbe necessario riconoscere oltre un milione di cittadini ucraini che vivevano già in Polonia quando è iniziata la guerra e che ora sosterranno i costi della riproduzione sociale ospitando i loro familiari, parenti e amici in piccoli appartamenti in mezzo all’aumento vertiginoso del costo della vita. Come molti altri, Andrii, fresco di laurea in un’università polacca e impiegato in un magazzino di un supermercato, mi ha raccontato di aver ospitato sua nonna e suo fratello minore in un piccolo monolocale per un periodo di tempo indefinito. Nel proseguire le conversazioni sull’accoglienza dei rifugiati ucraini in Europa, è essenziale astenersi dal ricollocare una figura europea bianca “al fianco dell’Ucraina” – con tutte le sue risorse distribuite in modo ineguale per la solidarietà razziale – e tenere presente il lavoro dei migranti ucraini che da tempo alimenta le economie dell’UE. Questo lavoro svolto da corpi apparentemente bianchi e in gran parte invisibilizzati è stato a lungo necessario nella UE come l’aria. Pur rimanendo ampiamente trascurati dagli studiosi di migrazione a livello internazionale, i cittadini ucraini sono stati tra i primi destinatari dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro che alimentano le economie della UE, mentre la Polonia è diventata il primo destinatario della migrazione per motivi di lavoro nella UE dal 2014. Ogni anno sono stati rilasciati oltre 500.000 primi permessi di soggiorno a cittadini ucraini, quasi esclusivamente dallo Stato confinante, la Polonia. È solo con l’interruzione della “normalità” durante la pandemia COVID-19 che la dipendenza dell’Europa da questa manodopera migrante è diventata pubblicamente visibile, poiché questi lavoratori non hanno potuto raggiungere i loro posti di lavoro, per essere nuovamente dimenticati quando l’emergenza è “finita”. L’onere dell’assistenza nel contesto dello sfollamento ricade anche sulle comunità di migranti ucraini e su persone come Andrii, troppo spesso impiegate in un’economia precaria e poco retribuita.

L’invisibilità del lavoro migrante ucraino continua a riprodursi nell’attuale spettacolo dell’accoglienza nell’UE. Anche se spesso il tono autocelebrativo della UE di “stare dalla parte dell’Ucraina” passa in secondo piano, molti ucraini hanno lavorato nelle principali stazioni di Varsavia per giorni interi, fornendo informazioni, spostando i bagagli, trovando itinerari di viaggio verso altri Paesi, aiutando con i documenti, i biglietti del treno e dell’autobus, traducendo e compilando le domande di visto. Alcuni di loro erano studenti-lavoratori ucraini, che avevano già vissuto in Polonia prima dell’invasione su larga scala e i cui contratti di alloggio e visti per studenti stavano per scadere. Una di queste studentesse, Anna, ha preso in considerazione l’idea di tornare in Ucraina per l’estate, poiché trovare e pagare un alloggio a Varsavia è diventato ancora più difficile. Non era facile nemmeno prima della guerra per coloro che avevano “accento ucraino”, nomi e cognomi, quando si rispondeva alle offerte di alloggio “per soli polacchi”. A differenza di altri cittadini ucraini che hanno attraversato il confine della UE dopo il 24 febbraio, le persone come Anna non hanno diritto alla protezione temporanea e ad altri benefici (ad esempio, trasporti pubblici e ferroviari gratuiti). Prima che i benefici venissero rimossi, all’ingresso delle mense gratuite e delle biglietterie veniva controllato il timbro sul passaporto ucraino che attestava l’attraversamento del confine dopo l’inizio della guerra, dividendo la linea di demarcazione tra gli ucraini meritevoli di maggiore sostegno e quelli che si aspettavano di essere sistemati.

Le teoriche femministe della riproduzione sociale sostengono da tempo come il lavoro invisibile per sostenere la vita quotidiana sia stato esternalizzato alle comunità operaie razzializzate. Questa concezione mette in discussione la nozione di lavoro come sinonimo di retribuzione e occupazione, spostando l’attenzione su forme di lavoro non retribuite e non riconosciute. Come in altri casi, con il lavoro dei volontari che viene riformulato come non-lavoro, la storia di queste forme di lavoro riproduttivo è la storia dell’abbandono e del non riconoscimento. Il lavoro dei volontari è stato recentemente teorizzato e problematizzato come “non lavoro”, come atti d’amore e di servizio, opportunità di formazione ed esperienza. Vorrei anche suggerire che queste forme di non lavoro hanno un riconoscimento e un valore di scambio diversi a seconda del corpo lavorativo che svolge questo “non lavoro”. Il volontariato e la solidarietà ottengono un riconoscimento pubblico e un valore diverso a seconda dei meccanismi socioculturali legati alla razza, al genere, alla nazionalità e alla cittadinanza. Alcuni volontari della stazione di Varsavia, che provenivano dal Nord America, hanno parlato del volontariato come di un “aiuto” spinto dall’incapacità di rimanere fermi di fronte a un disastro; ma molti avevano anche capitali economici e di tempo che potevano impiegare per trascorrere diverse settimane alla stazione, considerando che per loro il costo della vita a Varsavia era più che accessibile. Alcuni lavoravano per ONG occidentali, il cui funzionamento è stato possibile solo grazie all'”aiuto” di traduttori ucraini, il cui lavoro era prevalentemente non retribuito ma disponibile “naturalmente”. Alcuni volontari provenienti dall’estero erano studenti di studi sull’Europa orientale, di lingua russa e ucraina, che stavano acquisendo un’importante esperienza e pratica linguistica per il futuro. 

Nel frattempo, una giovane ucraina che faceva volontariato alla stazione ha detto: “È un peccato che non avrò nemmeno un certificato o un’altra prova del fatto che ho fatto volontariato qui”. Lo ha detto mentre preparava il suo curriculum per una serie di domande di lavoro. Oltre alla fatica emotiva e alle competenze nella ricerca di informazioni, il sostegno a lungo termine della vita quotidiana attraverso la fornitura di informazioni si basa ampiamente sulle competenze linguistiche, troppo spesso ignorate come “naturali” per il semplice fatto di “venire dall’Ucraina”. L’esperienza di volontariato degli ucraini come “non-lavoro” ha poco valore di scambio ed è piuttosto vista come naturalmente disponibile semplicemente in virtù del fatto di “essere ucraini” e di avere una competenza linguistica naturale. Questo lavoro è reso invisibile perché è svolto da una “rifugiata ucraina” stessa. Mentre stavo al banco informazioni e le nostre conversazioni venivano interrotte da persone che facevano domande su alloggi, visti e trasporti, ho trascorso molte ore a parlare con i giovani volontari ucraini delle loro strategie per trovare un lavoro retribuito che permettesse loro di guadagnarsi da vivere nella UE. Molti non immaginavano una permanenza a lungo termine in Polonia a causa delle deprimenti opportunità del mercato del lavoro per chi si era appena trasferito, mentre la migrazione in altri Paesi era spesso vista come un’opzione solo da chi aveva parenti e amici che già vivevano lì. 

A differenza di altri volontari, molte di queste persone – per lo più giovani e soprattutto donne – non avevano un posto dove tornare, e il loro lavoro non è applaudito come una risposta della “comunità locale”, né ha un valore di scambio come nel caso di altri volontari non ucraini. Il lavoro degli ucraini – sia pagato che non pagato – rischia di essere trascurato ancora una volta nelle narrazioni autocelebrative dell’Europa, che inquadrano gli ucraini solo come destinatari degli aiuti, come è accaduto in altri contesti di sfollamento. 

*Anche se qui uso il termine “rifugiati”, è importante ricordare che a queste persone non è stato riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951.  

Ucraina, il diritto di resistere (manifesto femminista)

Noi, femministe dell’Ucraina, chiediamo alle femministe di tutto il mondo di schierarsi in solidarietà con il movimento di resistenza del popolo ucraino contro la guerra predatoria e imperialista scatenata dalla Federazione Russa.

Le narrazioni di guerra spesso ritraggono le donne come vittime. In realtà le donne svolgono anche un ruolo fondamentale nei movimenti di resistenza, sia in prima linea che sul fronte interno: dall’Algeria al Vietnam, dalla Siria alla Palestina, dal Kurdistan all’Ucraina.  Le autrici del manifesto Feminist Resistance Against War negano alle donne ucraine questo diritto alla resistenza che costituisce un atto fondamentale di autodifesa de* oppress*. Al contrario noi consideriamo la solidarietà femminista come una pratica politica di ascolto delle voci di coloro che sono direttamente colpit* dall’aggressione imperialista. La solidarietà femminista deve difendere il loro diritto di determinare autonomamente i loro bisogni, i loro obiettivi politici e le strategie per raggiungerli.

Le femministe ucraine hanno lottato contro la discriminazione sistemica, il patriarcato, il razzismo e lo sfruttamento capitalistico per molto tempo prima del momento attuale. Abbiamo lottato, stiamo lottando e continueremo a lottare sia in tempo di guerra che in tempo di pace.

Tuttavia l’invasione russa ci costringe a concentrare il nostro impegno sullo sforzo di difesa generale della società ucraina: la lotta per la sopravvivenza, per i diritti e le libertà fondamentali, per l’autodeterminazione politica.

Chiediamo una valutazione informata riguardo una situazione specifica invece di un’analisi geopolitica astratta che ignora il contesto storico, sociale e politico. Il pacifismo astratto che condanna tutte le parti che partecipano alla guerra porta nella pratica a soluzioni irresponsabili. Insistiamo sulla differenza essenziale tra la violenza come mezzo di oppressione e quale legittimo strumento di autodifesa.  L’aggressione russa mina le conquiste delle femministe ucraine nella lotta contro l’oppressione politica e sociale. Nei territori occupati l’esercito russo utilizza lo stupro di massa e altre forme di violenza di genere come strategia militare. L’insediamento del regime russo in questi territori comporta la minaccia della criminalizzazione delle persone LGBTIQ+ e della depenalizzazione della violenza domestica. In tutta l’Ucraina il problema della violenza domestica si sta aggravando. La distruzione delle infrastrutture civili, le minacce ambientali, l’inflazione, la penuria e lo spostamento della popolazione mettono a rischio la riproduzione sociale. La guerra intensifica la divisione del lavoro sulla base del genere spostando ulteriormente il lavoro di riproduzione sociale – in condizioni particolarmente difficili e precarie – sulle donne. L’aumento della disoccupazione e l’attacco del governo neoliberista ai diritti del lavoro contribuiscono ad aggravare i problemi sociali. In fuga dalla guerra molte donne sono costrette a lasciare il Paese e si trovano in una posizione vulnerabile a causa delle barriere nell’accesso all’alloggio, alle infrastrutture sociali, a un reddito stabile e ai servizi medici (compresi contraccezione e aborto). Sono anche a rischio di essere vittime di tratta.

Chiediamo alle femministe di tutto il mondo di sostenere la nostra lotta.

Noi rivendichiamo:  

  • il diritto all’autodeterminazione, alla protezione della vita e delle libertà fondamentali e il diritto all’autodifesa (anche armata) per il popolo ucraino – così come per altri popoli – contro l’aggressione imperialista;  
  • una pace giusta basata sull’autodeterminazione del popolo ucraino, sia nei territori controllati dall’Ucraina che in quelli temporaneamente occupati, in cui si tenga conto degli interessi dei lavoratori, delle donne, delle persone LGBTIQ+, delle minoranze etniche e di altri gruppi oppressi e discriminati; 
  • giustizia internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante le guerre imperialiste della Federazione Russa e di altri Paesi;  
  • garanzie di sicurezza effettive per l’Ucraina e meccanismi efficaci per prevenire ulteriori guerre, aggressioni, escalation di conflitti nella regione e nel mondo;  
  • libertà di movimento, protezione e sicurezza sociale per tutt* l* rifugiat* e sfollat* intern* di qualsiasi origine;  
  • protezione ed espansione dei diritti del lavoro, opposizione allo sfruttamento e al supersfruttamento e democratizzazione delle relazioni industriali;  
  • priorità alla sfera della riproduzione sociale (asili, scuole, istituzioni mediche, assistenza sociale, ecc.) nella ricostruzione dell’Ucraina dopo la guerra;  
  • cancellazione del debito estero dell’Ucraina (e di altri Paesi della periferia globale) per  finanziare la ricostruzione postbellica e prevenzione di ulteriori politiche di austerità;  
  • protezione contro la violenza di genere e garanzia dell’effettiva attuazione della Convenzione di Istanbul;  
  • rispetto dei diritti delle persone LGBTIQ+, delle minoranze nazionali, delle persone con disabilità e di altri gruppi discriminati;  
  • garantire i diritti riproduttivi delle ragazze e delle donne, compresi i diritti universali all’educazione sessuale, ai servizi medici, ai farmaci, alla contraccezione e all’aborto;  
  • garantire la visibilità e il riconoscimento del ruolo attivo delle donne nella lotta antimperialista;  
  • l’inclusione delle donne in tutti i processi sociali e decisionali, sia in tempo di guerra che in tempo di pace, in condizioni di parità con gli uomini.  

Oggi l’imperialismo russo minaccia l’esistenza della società ucraina e colpisce il mondo intero. La nostra lotta comune contro di esso richiede principi condivisi e sostegno globale. Facciamo appello alla solidarietà e all’azione femminista per proteggere le vite umane, i diritti, la giustizia sociale, la libertà e la sicurezza.  Noi sosteniamo il diritto di resistere.  

Se la società ucraina depone le armi, non ci sarà più la società ucraina. Se la Russia depone le armi, non ci sarà più la guerra.  

Per sostenere questo manifesto, potete firmarlo qui.

Lavoratori ucraini rifugiati sfruttati nei Paesi Bassi

dal sito del a CNV, 8 giugno 2022


Abbiamo ricevuto dall’Olanda e pubblichiamo questa segnalazione di un evidente caso di vero e proprio caporalato che coinvolge un gruppo di rifugiati ucraini scappati in occidente. Purtroppo non abbiamo notizia di analoghi sforzi di monitoraggio qui in Italia sull’uso nel mercato del lavoro di coloro che sono stati costretti a lasciare il proprio paese in seguito all’invasione russa.

“Completamente immorale e condannabile”. Henry Stroek della CNV Vakmensen, la Federazione nazionale olandese dei sindacati cristiani, non ha buone parole per i “contratti di lavoro” di un gruppo di dipendenti ucraini, che attualmente lavorano nel vivaio Vreugdenhil Bulps & Plants di ‘s-Gravenzande (Westland). “Non si può credere ai propri occhi quando si vede quello che c’è scritto”. Il documento stabilisce, ad esempio, che in caso di violazione delle regole, i dipendenti possono essere espulsi in Ucraina. “Depotarcia”, deportato, è scritto letteralmente lì!

Il team del CNV ha ricevuto una segnalazione su un gruppo di oltre 30 lavoratori ucraini della Westland. “Abbiamo visitato le persone a casa. All’inizio si sono nascosti ed erano terrorizzati”, racconta Stroek. “Grazie alle donne di lingua polacca del nostro team, siamo finalmente riusciti a conquistare la loro fiducia. Siamo rimasti scioccati dai testi degradanti contenuti nei contratti che hanno firmato”.

Multe e minacce

Il team del CNV dispone di contratti (e relative traduzioni) che gli ucraini hanno firmato in Polonia con la società JANPOL. Questa azienda ha dato – secondo i dipendenti 1.000 Zl (pari circa a 220 euro) di aiuto – per il viaggio verso i Paesi Bassi, dopodiché sono stati messi al lavoro attraverso l’AUB Van Bergen Personeelsdiensten presso Vreugdenhil Bulbs & Plants intorno al 1° maggio. I contratti contenevano numerose clausole repressive (detrazione del 20% della retribuzione in caso di errori), un avvertimento per aver parlato con persone nei Paesi Bassi delle loro condizioni di lavoro (multa di 500 euro) e la minaccia di “deportazione” in Ucraina in caso di violazione delle clausole contrattuali. Inoltre, per tutto il tempo in cui lavorano nei Paesi Bassi, gli ucraini – che nei contratti vengono sistematicamente definiti “appaltatori” e non “dipendenti” – devono pagare alla JANPOL una tassa amministrativa mensile di 50 euro. […]

Situazione di emergenza

Il CNV Vakmensen ritiene che questa situazione sia un’emergenza umanitaria che deve essere risolta al più presto. Stroek spiega: “La gente ha paura e non ha quasi più soldi. Riceveranno il primo pagamento solo il 20 giugno. Chiediamo che Vreugdenhil Bulbs & Plants – che è l’appaltatore principale – offra immediatamente a queste persone un contratto decente, almeno per sei mesi. E fornire un anticipo di 250 euro, in modo che le persone siano fuori dai guai peggiori. Per quanto ci riguarda, i contratti che hanno firmato devono finire direttamente nel tritacarne”.

Spostamento di altri lavoratori

Ora che il governo olandese ha deciso che gli ucraini possono rimanere e lavorare nei Paesi Bassi, diverse aziende vedono in questo un’opportunità, osserva Stroek. La carenza di personale è un forte incentivo a reclutare ucraini. Non conoscono ancora le regole dei Paesi Bassi e, a causa della guerra nel loro paese, dipendono ancora di più dal datore di lavoro olandese. Il risultato è che i lavoratori migranti che si presentano oggi si sentono dire che i loro contratti sono stati rescissi, non prorogati o che sono stati intimiditi. Oltre al lavoro, perdono anche l’alloggio. […]

Combattere le situazioni illegali

Il CNV Vakmensen chiede anche l’intervento del governo attraverso l’Ispettorato del lavoro/SZW, del governo regionale e dei comuni. È incomprensibile che gli ucraini possano lavorare in questo modo nel comune di Westland. Ci aspettiamo che il governo si assuma la responsabilità di reprimere questo tipo di situazioni illegali. Purtroppo siamo convinti che non si tratti di un caso isolato.