Archivi tag: dittatura

Tunisia, verso un ritorno alla dittatura

di S. Mousakaran, da internationalviewpoint.org

Continua a leggere Tunisia, verso un ritorno alla dittatura

Brasile 1964-2024, il rischio della rimozione

di Fabrizio Burattini

Continua a leggere Brasile 1964-2024, il rischio della rimozione

Brasile 1964-2024, il madornale “errore” di Lula

di Fabrizio Burattini

Continua a leggere Brasile 1964-2024, il madornale “errore” di Lula

Navalny e i crimini di Putin

di Germano Monti, da settimananews.it

Continua a leggere Navalny e i crimini di Putin

Uruguay 1973, una sconfitta strategica

Continua a leggere Uruguay 1973, una sconfitta strategica

1924-2024, Vladimir Lenin, la statura e gli errori di un leader che non cercava il culto di sé

di Fabrizio Burattini, da MicroMega+

Continua a leggere 1924-2024, Vladimir Lenin, la statura e gli errori di un leader che non cercava il culto di sé

Stato, democrazia e rivoluzione, uno sguardo indietro su Lenin e sul 1917

Valore, limiti ed errori del leninismo

di Daniel Bensaïd

Continua a leggere Stato, democrazia e rivoluzione, uno sguardo indietro su Lenin e sul 1917

Cile-Brasile, un evento per ricordare le vittime


L’11 settembre, nei giorni immediatamente precedenti e in quelli successivi, a Santiago e in tante altre città minori del Cile, si sono svolti decine di eventi per ricordare il golpe di 50 anni fa, i suoi misfatti e le sue vittime e per gridare “Nunca mas”.

Ho già pubblicato in particolare un video-foto reportage sulla grande manifestazione indetta dal movimento femminista cileno di fronte al palazzo della Moneda per la serata del 10 settembre.

Tra i tanti eventi, per motivi affettivi che chi mi conosce personalmente capisce benissimo, scelgo di segnalare quello svoltosi nella mattinata del 12 settembre a Santiago a Plaza Brasil, dove è stata apposta una targa per ricordare le vittime che il golpe ha fatto tra i rifugiati brasiliani internazionalisti che avevano scelto il Cile per sfuggire alla repressione della dittatura del loro paese.

Su questo evento pubbico anche il video tratto dalla pagina Instagram del ministro brasiliano dei Diritti umani e di cittadinanza, Silvio Almeida (anche se mi dissocio dall’ultimissima sequenza, quando un brasiliano presente attacca inopinatamente a cantare l’inno nazionale che è lo stesso da oltre un secolo e che fu in vigore anche durante il ventennio della dittatura dei generali – 1964-1985). 

La cerimonia si è aperta con le testimonianze di tre rappresentanti di “Viva Chile!”: Sílvia Whitaker, Flávia Quintiliano e Naná Whitaker (da sinistra a destra nella foto qui a lato), in rappresentanza del gruppo “Viva Cile!” che lo ha promosso e che era rappresentato in questi giorni nella capitale cilena da oltre 160 ex esuli brasiliani in Cile. All’evento erano presenti inoltre i ministri brasiliani della Giustizia e dei Diritti umani e di cittadinanza, rispettivamente, Flávio Dino, e Silvio Almeida, il Consigliere speciale del governo brasiliano per la Difesa della Democrazia, della Memoria e della verità, Nilmário Miranda.

Flavio Dino, nel suo intervento a nome del governo di Brasilia, ha dichiarato: “Siamo qui a chiedere scusa al popolo cileno perché la dittatura brasiliana ha contribuito al colpo di stato militare. E’ una macchia nella storia brasiliana che merita di essere ricordata affinché non accada più”

E’ intervenuta anche la sindaca di Santiago, Irací Hassler, del Partito comunista cileno, figlia di un brasiliano.

Dopo le immagini e il video è possibile leggere il testo dell’intervento di Silvia Whitaker, che all’epoca del golpe a Santiago era una bambina di pochi anni.

Testimonianza di Sílvia Whitaker 

Grazie per avermi dato la parola. 
Parlo a nome di Viva Chile, un gruppo di esuli brasiliani che si sono riuniti ora, 50 anni dopo il colpo di stato, per esprimere il loro sostegno alla democrazia cilena e la loro gratitudine al presidente Allende e al popolo cileno per averli accolti quando erano perseguitati dalla dittatura brasiliana. 

Ero una bambina in Cile. E, come molti, ho smesso di esserlo l’11 settembre 73. Ero uno dei tanti bambini brasiliani che sono stati felici in Cile durante quegli anni speciali di Unidad Popular. Un’infanzia in cui i ricordi della catena montuosa, del Condorito e delle manifestazioni in cui saltavamo come rane – perché non eravamo “momios” (reazionari, ndt)! – felici in mezzo a tante persone che insieme costruivano un mondo migliore. 

Questa è stata la culla in cui abbiamo avuto la fortuna di crescere prima di essere investiti dalla violenza e dallo stupore. Tutti sapevano cosa sarebbe successo, ma noi no: eravamo bambini. Ci è piombato addosso nel modo più imprevisto e drammatico. 

Per alcuni l’impatto fu molto più forte, ma tutti fummo colpiti duramente. 

Siamo stati strappati bruscamente dalle nostre vite – la nostra casa, i nostri amici, il nostro cane, la nostra innocenza – e abbiamo portato con noi, nelle diverse parti del mondo in cui abbiamo seguito l’esilio dei nostri genitori, la ferita del Cile e anche la consapevolezza che era nostro dovere essere quegli “altri uomini e donne che sarebbero venuti dopo i tempi grigi” per aprire le “grandi strade della democrazia” in Cile, in Brasile e in tutta la nostra grande patria latinoamericana, e continuare a lottare per tenerla aperte. 

Siamo stati figli del Cile e non smetteremo mai di esserlo. Da qui il significato speciale di questa cerimonia in cui i nostri due paesi si abbracciano. 

I compagni brasiliani che hanno perso la vita qui, ai quali rendiamo omaggio oggi, non sono stati dimenticati dai cileni. Su ognuno di loro sono state avviate indagini giudiziarie alla fine della dittatura – e nel caso di uno di loro, Tulio Quintiliano, la condanna dei suoi assassini è attualmente all’esame della Corte Suprema, dove dovrebbe essere decisa molto presto. 

I morti e gli scomparsi della dittatura brasiliana non hanno ancora avuto questo diritto alla giustizia, e noi continuiamo e continueremo a lottare perché un giorno lo abbiano. 

Ecco perché la cerimonia di oggi ha diverse dimensioni di enorme importanza. 

In primo luogo, perché questa cerimonia, con la partecipazione dell’ambasciata brasiliana e dei nostri ministri della Giustizia e dei Diritti umani, rappresenta finalmente, dopo 50 anni, il riconoscimento da parte dello stato brasiliano della memoria dei nostri connazionali ai quali all’epoca, quando venivano braccati, imprigionati e uccisi per il semplice fatto di essere brasiliani, non solo negava l’assistenza ma addirittura collaborava alla loro persecuzione. Questo passo avanti, anche a distanza di 50 anni, è enorme. 

Questa cerimonia ha anche il significato di un atto funebre che è stato negato ai parenti di questi compagni, i cui corpi non sono stati consegnati alle famiglie o sono ancora oggi dispersi. 

Infine, questa cerimonia è anche un momento di grande emozione, in cui la canzone di Pablo Milanés, che ci ha accompagnato per tutti questi anni, diventa letteralmente realtà: 

“yo pisaré las calles nuevamente de lo que fue Santiago ensangrentada, y en una hermosa plaza liberada me detendré a llorar por los ausentes”. 
(“Calpesterò di nuovo le strade di quella che fu Santiago macchiata di sangue, e in una bella piazza liberata mi fermerò a piangere gli assenti”). 

Molte grazie.

Cile 1973-2023, una lezione da non dimenticare

Il blog “Il refrattario” ha voluto e vuole ricordare con forza la vicenda cilena di 50 anni fa. Essa ebbe un’importanza del tutto eccezionale in un subcontinente, l’America Latina, che in quel periodo era segnato da un contesto di lotte molto importanti: in Argentina (dove la sinistra rivoluzionaria stava mettendo a frutto la crisi del populismo peronista), in Bolivia (paese tradizionalmente segnato dalle lotte della classe operaia delle miniere), nel Perù (con il grande risveglio contadino e popolare) e nell’Uruguay (dove la guerrilla tupamara e l’ascesa operaia e sindacale si confrontava con le aspirazioni golpiste della classe dominante).

Nel Cile, tra il 1970 e il 1973 si è prodotta una grande prova della forza della classe operaia e dei suoi alleati, le classi povere urbane e rurali e alcuni settori delle classi medie. Mai, in precedenza i lavoratori cileni avevano lottato così duramente, con tanta forza e con tanta radicalità.


Fin dall’insediamento del governo Allende, l’imperialismo statunitense ha cospirato per rovesciarlo. Questa comprovata verità non va mai rimossa perché occorre tenere presente che un pericolo analogo grava anche su qualunque processo di lotta che si sviluppi ora e in futuro nel cosiddetto “cortile di casa” degli USA.


Il governo di Unità Popolare è stato il punto culminante di quasi un secolo di lotte in un paese nel quale l’organizzazione politica dei lavoratori era forte e radicata con il Partito Socialista e il Partito Comunista, che, insieme al resto della sinistra, contavano oltre 300.000 militanti.


Durante quelle lotte anche la Democrazia Cristiana conobbe il distacco da essa di importanti organizzazioni di sinistra e di estrema sinistra come il Movimiento de Acción Popular Unitaria (il MAPU), la Izquierda Cristiana e i Cristiani per il Socialismo.


Il primo anno del governo di sinistra vide grandi progressi, sia in campo sociale sia nella riappropriazione delle ricchezze naturali e nella nazionalizzazione delle imprese monopolistiche, la classe operaia voleva di più di quanto il governo fosse disposto a decidere. I lavoratori volevano andare ben al di là dei limiti più che mai evidenti  del programma di UP. 


Dall’altra parte, l’opposizione di destra iniziò a contestarlo direttamente, con ripetute serrate dei trasporti, nel 1972 la serrata si prolungò per quasi un mese. La reazione delle masse fu estremamente forte e sconfisse lo sciopero padronale, apertamente finanziato dall’imperialismo statunitense e dalla grande borghesia cilena.


I limiti di Unidad Popular, messi di fronte alla pressione dal basso, erano sempre più evidenti. Il governo non fu all’altezza delle speranze che aveva suscitato. I partiti della sinistra, in particolare il PC, iniziarono a cercare una soluzione di “conciliazione” con la pressione della destra e i comandanti delle forze armate vennero chiamati a far parte del governo. Fu come chiamare in casa gli assassini. Questa grave scelta permise alle forze di destra di riprendersi dalla sconfitta che avevano subito nella serrata.


L’elemento più critico fu l’idea, sostenuta soprattutto dal gruppo dirigente del Partido Comunista, di fare irresponsabilmente affidamento sulla presunta “lealtà” costituzionale e sul presunto “carattere professionale” delle forze armate, evitando accuratamente di sostenere i fermenti di sinistra che avevano cominciato a manifestarsi tra i soldati di base dell’esercito, della marina e dell’aviazione.


L’esito di queste scelte fu terribile e drammatico. Ancora oggi le immagini dell’aviazione cilena che bombarda il palazzo presidenziale fanno inorridire su quello che fu l’inizio della sanguinosa dittatura che uccise più di 3.000 persone, compresi tanti esuli latinoamericani scappati dalle altre dittature e che avevano trovato rifugio nel Cile che era divenuto “l’asilo contro l’oppressione”.


Un momento di un’iniziativa
svolatsi a Santiago negli scorsi giorni
tra ex profughi brasiliani presenti
in Cile al momento del golpe

Erano più di 3.000 i brasiliani in esilio in Cile, alcuni dei quali furono arrestati, torturati e uccisi, come Tulio Quintiliano. Proprio in questa ricorrenza del cinquantenario molti ex esuli brasiliani e di altri paesi latinoamericani che vissero l’esperienza dell’11 settembre 1973 si sono ritrovati in Cile per ricordare e commemorare quelle vicende.

Dopo quel golpe, peraltro, si sviluppò un’ondata di dittature militari in tutta l’America del Sud, con la famigerata “Operazione Condor”: in ordine cronologico, in Bolivia, Uruguay, Cile, Perù e Argentina (il Brasile era governato da una dittatura militare fin dal 1964), la reazione borghese e imperialista assassinò decine di migliaia di militanti di sinistra.


Nei decenni successivi, in tutti questi paesi le libertà democratiche sono state riconquistate e, da questo, le lotte operaie hanno tratto forza e incoraggiamento, ma dovunque stanno riemergendo correnti neofasciste.


E la cosa ci impone di guardare con grande attenzione alla lezione dell’esperienza cilena.