In questo 8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, la mobilitazione contro una riforma pensionistica che penalizza le donne e la lotta per una reale uguaglianza tra donne e uomini è più che mai attuale. Chiediamo il ritiro del progetto di riforma delle pensioni che penalizza particolarmente le donne!
Le nostre organizzazioni ribadiscono che la parità professionale è un requisito di giustizia sociale e un mezzo per finanziare il nostro sistema di protezione sociale. Piuttosto che una riforma pensionistica punitiva, questa esigenza richiede un vero attacco alle disuguaglianze tra donne e uomini. Le donne vanno in pensione con, in media 40,5% in meno rispetto agli uomini.
Disuguaglianza salariale = disuguaglianza pensionistica
Le donne guadagnano in media il 22% in meno degli uomini.
Sono in maggioranza tra gli impiegati e le professioni intermedie, ma restano in minoranza tra i dirigenti.
Non possiamo più accettare che, a parità di qualifica, i lavori svolti prevalentemente dalle donne siano sistematicamente pagati meno dei cosiddetti lavori maschili. Il fumo negli occhi della pensione minima di 1.200 euro non inganna più nessuno.
Più della metà delle donne partono con una pensione inferiore a 1.000 euro e non beneficeranno dell’aumento di 100 euro della pensione che il governo è così ansioso di promuovere.
Ed è un calo anche per chi ha scelto di andare oltre l’età pensionabile per migliorare l’importo della propria pensione. Lavoreranno fino a 64 anni senza il beneficio della maggiorazione.
Donne dimenticate
I quattro criteri di difficoltà eliminati nel 2017 non sono stati ripristinati nel “conto personale di difficoltà C2P” (che elenca i lavori più gravosi), di cui già beneficia una grande maggioranza di uomini. Il disagio vissuto dalle lavoratrici di prima e seconda linea, tanto decantato durante la crisi Covid, rimane chiaramente sottovalutato, se non addirittura ignorato.
Doppia giornata = mezza pensione
Non accettiamo più che la maternità e l’onere dei compiti domestici siano un freno all’uguaglianza e una pesino esclusivamente sulla carriera delle donne. Chiediamo un vero e proprio servizio pubblico per la prima infanzia e una revisione delle modalità per incoraggiare la genitorialità condivisa. Il 12% delle donne va in pensione a 67 anni, a causa della mancata progressione di carriera per non aver convalidato un numero sufficiente di trimestri.
Riforma delle pensioni = perdita dei trimestri legati alla maternità
Infine, denunciamo l’effetto più perverso di questa riforma pensionistica, presuntamente favorevole alle donne. L’aumento dell’età pensionabile a 64 anni comporta per le donne la perdita totale o parziale del beneficio dei trimestri convalidati per la maternità e l’educazione dei figli. Questo meccanismo di compensazione delle disuguaglianze subite durante la vita lavorativa va a vantaggio innanzitutto e legittimamente alle madri, consentendo loro di andare in pensione prima. La riforma la sta mettendo a repentaglio. È inaccettabile!
I sindacati interprofessionali e giovanili invitano i lavoratori a cogliere l’8 marzo per denunciare ovunque la grave ingiustizia sociale di questa riforma pensionistica per le donne.