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Unione europea, con il “nuovo patto di stabilità”, si persevera nell’errore

I nostri leader non hanno imparato nulla?

di Olivier Bonfond, economista del Centre d’Éducation populaire André Genot, attivista antiglobalizzazione, e del CADTM, della piattaforma per l’audit del debito in Belgio e della Commission pour la Vérité sur la dette publique de la Grèce, e Laurent Pirnay, segretario generale della CGSP, il sindacato dei dipendenti pubblici aderente alla FGTB, da cadtm.org

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E’ necessario un grande fronte internazionale contro l’estrema destra

Sergio Ferrari intervista Éric Toussaint al Forum sociale mondiale di Kathmandu (Nepal, 15-19 febbraio 2024), da counterpunch.org

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Russia, dal neoliberismo al neomercantilismo

di Alexander Bikbov, sociologo e intellettuale russo, docente presso la École des Hautes Études en sciences sociales di Parigi, da a.bikbov.ru

Il regime politico ed economico della Russia è ancora troppo spesso visto attraverso il prisma degli anni ’90: stato debole, criminalità dilagante, corruzione diffusa. Fenomeni politici di grande portata, tragici come l’invasione dell’Ucraina o sorprendenti come la tenuta dell’economia russa di fronte alle sanzioni internazionali, mancano di una spiegazione che tenga conto della natura composita del capitalismo di stato russo, costruito in più fasi negli ultimi 30 anni.

La dimensione patrimoniale e violenta è certamente caratteristica di questo regime, ma la sua costruzione istituzionale va ben oltre l’effetto di una piccola banda, essendo globalmente sincronizzata, negli anni Duemila, con i ritmi mondiali e rappresentando addirittura nel 2022, in questa tragica svolta, una versione di “ultramodernità arcaica”.

Negli anni Duemila, gli alti funzionari russi erano ossessionati da una tentazione neoliberista che, come in tutto il mondo, cercava di aumentare la produttività attraverso la concorrenza, di sfruttare settori non redditizi come l’istruzione e la cultura e di valorizzare i beni comuni.

Le strutture burocratiche sono dominate da economisti liberali come Alexei Kudrin, da alti amministratori con pretese intellettuali come Vladislav Sourkov e da propagandisti con il gusto della filosofia occidentale come Gleb Pavlovsky.

Verso la fine degli anni 2010, questa ossessione è stata soppiantata da un’altra, quella neomercantilista, che, senza mai abbandonare l’idea del profitto, attribuisce il benessere del paese alle risorse sovrane, e in particolare al territorio, al surplus della bilancia commerciale, all’autonomia monetaria e all’aumento della natalità.

In risposta alle proteste popolari (2011-2012), i ministri occidentalizzati e gli amministratori “intellettuali” sono stati sostituiti da lealisti e spesso da “patrioti”; il ruolo del parlamento è stato ridotto all’organizzazione delle decisioni dell’amministrazione presidenziale. All’interno di quest’ultima, i “grandi censori” Vyacheslav Volodin e Alexei Gromov hanno preso il posto di Sourkov, mentre i maestri manipolatori dil tipo intellettuale come Pavlovsky sono stati sostituiti da sottomessi “fatti in casa” senza scrupoli come Yevgeny Prigozhin.

Di fatto, queste due tendenze della pubblica amministrazione russa, quella neoliberale (performance e produttività) e quella neomercantilista (sovranità territoriale e autarchia economica), sono state giustapposte per tre decenni, alternandosi nelle trasformazioni istituzionali.

Queste alternanze si riflettono chiaramente nei cliché dell’ideologia dominante, in cui gli slogan della democrazia e dello stato di diritto vengono abbandonati a favore della singolare “missione storica e morale” della Russia e della specifica giustizia russa in opposizione alla decadenza occidentale.

Ma non si tratta solo di forme simboliche e della cultura dominante adottata dalla classe politica. Gli indicatori oggettivi su scala macro chiariscono notevolmente il corso del cambiamento.

Qui sotto alcuni diagrammi e commenti che accompagnano l’intervista “Radiographie de l’État russe” pubblicata da lundimatin, che rivelano più dettagliatamente i temi trattati.

Il principale obiettivo delle riforme neoliberali, il settore pubblico, rivela molto chiaramente la coesistenza e l’alternanza delle due tendenze. Nel settore dell’istruzione universitaria, soggetto a riforme simili alla LRU (cioè la legge francese del 2007 sull’autonomia delle università, ndt), la tendenza neoliberista ha raggiunto il suo apice tra la fine degli anni 2000 e l’inizio degli anni 2010.

Il numero di università private (la linea verde nel grafico sottostante, con l’asse di riferimento a destra) e la percentuale di studenti che pagano per i loro studi (la linea rossa, con l’asse di riferimento a sinistra) hanno raggiunto il loro picco. Alla fine del 2010, il governo ha “tagliato i rami” e ridotto notevolmente lo spazio per l’istruzione privata.

Il paradosso di queste operazioni bidirezionali è che modificano solo leggermente il numero totale di studenti che pagano per la loro istruzione. Ciò significa che la commercializzazione dello spazio universitario non avviene attraverso il settore privato, ma soprattutto attraverso le università pubbliche, che costringono metà degli studenti e delle loro famiglie a coprire l’intero costo della loro istruzione. E la svolta moralista e nazionalista del mondo accademico alla fine degli anni 2010 non fa nulla per invertire questa tendenza.

Fig. 1 – L’evoluzione del settore universitario russo, 1990-2020

In modo ancora più marcato, la sovrapposizione di una tendenza neoliberista (rendimento a tutti i costi) e di una neomercantilista (garanzia delle funzioni regali dello stato) si può osservare nella gestione dell’apparato statale.


Le riforme neoliberiste attuate in nome della produttività e della riduzione delle spese non redditizie hanno ridotto il numero di dipendenti degli uffici pubblici (linea blu nel grafico sottostante), dell’esercito (linea verde) e della polizia (linea rossa) negli anni 2010. Contrariamente agli stereotipi, i governi Putin e Medvedev sono più interessati a risparmiare sui costi della burocrazia, compresa la polizia.


Dal 2017 si è verificata una controtendenza che ha interessato l’apparato della violenza, a differenza del servizio pubblico generalizzato, che continua a registrare una stagnazione del personale. L’intensificazione della repressione degli oppositori e, chiaramente, l’invasione massiccia dell’Ucraina stanno rinvigorendo le forze armate, che in precedenza dovevano sottostare alla disciplina delle prestazioni professionali. Il piano per il 2025 riflette il rafforzamento di questa deriva regale.

Il mercato della sicurezza e delle milizie private di ogni tipo si è stabilizzato alla fine degli anni 2000. La linea marrone (nel grafico sottostante) rappresenta il numero di dipendenti certificati delle agenzie di sicurezza privata, dove probabilmente non sono incluse le milizie Wagner e altre di questo tipo.

Dalla metà degli anni ’90 in poi, il corpo di sicurezza privata ha raggiunto le stesse dimensioni del corpo di polizia statale, contribuendo a una generale paramilitarizzazione della vita quotidiana nelle città russe (come per le cifre relative alla polizia e all’esercito, sono presi in considerazione solo gli ufficiali regolari, escludendo i servizi tecnici, la manutenzione, ecc.).

Fig. 2 – Dipendenti pubblici, esercito, polizia e sicurezza privata, 2000-2023 (in migliaia)

Le riforme neoliberali degli anni 2000 e in parte del 2010, la riduzione della burocrazia, lo stimolo della concorrenza, a volte molto brutale, nei settori della cultura e dell’università, hanno avuto l’effetto desiderato sull’economia russa?


Chiaramente non così tanto, forse per nulla. L’indicatore di produttività, in nome del quale sono state attuate queste riforme, lo dimostra molto chiaramente. Fino alla fine degli anni 2000, e in particolare prima della crisi finanziaria globale del 2008, la produttività cresceva più rapidamente (la Russia è rappresentata dalla linea marrone nel grafico sottostante).


Tuttavia, il decennio successivo ha visto un aumento molto più lento, nonostante il significativo accumulo di risorse economiche nelle mani del governo russo. Nella media dei paesi OCSE (linea verde), l’aumento della produttività è stato più pronunciato nello stesso periodo.


Fig. 3 – Produttività (PIL per ora lavorata), in dollari USA a prezzi costanti


Quali sono le condizioni che frenano la crescita della produttività, nonostante la continua capitalizzazione dell’economia russa? Una risposta condivisa da molti economisti è chiara: è la natura rentier dell’economia.


Anche gli investimenti di capitale nella Crimea annessa e la guerra nell’Ucraina orientale hanno avuto un ruolo dal 2014, ed è indirettamente visibile nel rallentamento della produttività. Sarebbe possibile specificare queste variazioni in termini di economia politica? Penso che sia del tutto possibile e molto rilevante. È qui che la categoria del nuovo mercantilismo chiarisce ancora meglio le basi dell’attuale politica russa.

Storicamente, il mercantilismo è un modello di collegamento tra commercio e potere che attribuisce agli interessi sovrani e all’autosufficienza economica un ruolo predominante sul territorio nazionale:

“il principe, il cui potere poggia sull’oro e sulla sua riscossione attraverso la tassazione, deve appoggiarsi alla classe mercantile e incoraggiare lo sviluppo industriale e commerciale della nazione in modo che un’eccedenza commerciale permetta l’ingresso dei metalli preziosi” (da Claude-Danièle Echaudemaison, Dictionnaires d’économie et des sciences sociales, Paris, Nathan, 1993). 

Per rendere operativa questa definizione sintetica negli indicatori economici, come requisito minimo dovremmo esaminare la bilancia commerciale, la riserva aurea nazionale e il debito pubblico estero.

Ed è qui che vediamo che le fondamenta mercantiliste della politica economica propriamente detta del governo russo sono state gettate già a metà degli anni Duemila.


La riserva aurea, insieme al fondo sovrano russo, è aumentata notevolmente a partire dal 2008-2009 (si veda il grafico sottostante). Questo può essere giustamente visto come una risposta del governo alla crisi finanziaria globale, e quindi esogeno all’economia nazionale.


È importante notare che l’annessione della Crimea e la prima ondata di sanzioni economiche internazionali non hanno cambiato radicalmente questa tendenza, ma l’hanno semplicemente accelerata. L’accumulo di oro è piuttosto graduale, con un picco nel 2023 ma già vicino al picco del 2020.


L’ascesa dell’ideologia sovranista nella cultura russa e nel discorso governativo è quindi concomitante con l’aumento del fondo sovrano e con la sovranizzazione della moneta russa a partire dal 2014 (attraverso il sistema di pagamento Mir).

Fig. 4 – Dinamica della riserva aurea russa, 1997-2023

L’eccedenza della bilancia commerciale, una delle principali preoccupazioni del mercantilismo, è una caratteristica dell’economia russa che era già visibile negli anni Novanta e che si è accentuata negli anni Duemila e successivamente (il grafico qui sotto, in blu).


Nel 2022, anno dell’invasione dell’Ucraina, il saldo è il più alto in termini assoluti, nonostante le sanzioni internazionali. La guerra è quindi vista come una manifestazione mercantilista per eccellenza, che corrisponde al fenomeno storico delle guerre coloniali in Europa occidentale durante l’era mercantilista. 


Il modello di autonomia economica basato sul surplus della bilancia commerciale non è l’unico possibile. Esso contrasta con il modello degli Stati Uniti, la cui economia era basata su un deficit commerciale negli stessi decenni (si veda lo stesso grafico, in giallo). Questo non priva l’economia statunitense della sua autonomia, ma riflette la sua posizione dominante nel sistema del libero scambio.


In questo senso, le strategie economiche russe e americane sono diametralmente opposte. Vale la pena ricordare che la riserva aurea statunitense è la più grande al mondo tra gli stati nazionali ed è 3,5 volte più grande di quella russa.

Fig. 5 – Bilancia commerciale Russia-USA, 1990-2023 (in miliardi di dollari)

Infine, la riduzione del debito estero è un altro fattore e un altro strumento per rendere più autonoma l’economia nazionale.


Anche in questo caso, il governo russo è impegnato nella sovranità finanziaria. Una delle principali sfide degli anni Duemila, quella di ripagare tutto il debito estero sovietico, è stata completata entro la metà del decennio. Da allora, questo indicatore è molto più basso (vedi grafico sotto).


La spesa di bilancio causata dall’annessione della Crimea è stata compensata dalla ridistribuzione interna, in particolare dal congelamento di parte dei risparmi pensionistici della popolazione. Ciò ha contribuito all’aumento delle disuguaglianze sociali in Russia, ulteriormente accresciute dagli effetti dell’invasione del 2022.

Fig. 6 – Debito pubblico estero del governo russo (in miliardi di dollari)

Per saperne di più su questa combinazione di tendenze neoliberali e neo-mercantiliste nella gestione della popolazione russa (e degli attori coinvolti in queste politiche), ecco tre miei scritti che offrono una panoramica:

  1. Il quarto capitolo del volume (in inglese) Russia – Art Resistance and the Conservative-Authoritarian Zeitgeist, curato da Lena Jonson e Andrei Erofeev, intitolato “Neo-traditionalist fits with neo-liberal shifts in Russian cultural policy”, analizza la dualità della politica culturale russa e le sue figure emblematiche; 

  2. Un’analisi (in inglese) della riforma neoliberale delle università russe “How Russian Universities Became the Future of World Education”;

  3. Un’intervista (in italiano) intitolata “Disuguaglianze e resistenza nella Russia di Putin”, che riassume la gestione neo-mercantilista della guerra e le sue conseguenze dal punto di vista delle disuguaglianze sociali, e fornisce una breve panoramica delle tattiche russe di resistenza alla politica di guerra.