Grecia, la destra, la sinistra e la catastrofe climatica

Tra il 4 e il 7 settembre la regione greca della Tessaglia è stata colpita da una spaventosa inondazione (quasi 1000 millimetri di acqua in tre giorni), causando una terribile devastazione e numerose vittime. L’inondazione della Tessaglia era legata al passaggio dell’uragano Daniel, lo stesso che con conseguenze ancor più devastanti e tragiche ha colpito la costa libica giorni fa. Pubblichiamo qui sotto l’intervento del nostro amico e compagno greco Yorgos Mitralias che denuncia tutta l’inadeguatezza della sinistra “radicale” greca di fronte a questa emergenza.

di Yorgos Mitralias

Il primo ministro greco Mitsotakis invoca – per l’ennesima volta – la crisi climatica come alibi per nascondere la sua responsabilità per le successive catastrofi naturali che hanno colpito la Grecia, e la sinistra greca, con alla testa la sinistra “radicale”, denuncia – anch’essa per l’ennesima volta – questo gioco di prestigio: il panorama politico che emergerà dalle rovine del prossimo “fenomeno meteorologico estremo” lo conosciamo già. 

Mitsotakis invocherà (di nuovo) il cambiamento climatico e ancora una volta ne uscirà indenne, poiché nella sua bocca, come in quella dei suoi avversari, questo “cambiamento climatico” è qualcosa di simile a un… fenomeno naturale, totalmente al di fuori del controllo degli esseri umani, che non possono farci nulla. 

Con l’inevitabile conseguenza che a loro non resta che subire fatalisticamente questo cambiamento climatico, limitando lo scambio di argomenti e accuse ai soliti… scarichi fluviali che non vengono ripuliti, alle infrastrutture che non vengono mantenute e all’insensibilità di chi è al potere, che se ne frega sistematicamente dei poveri martiri.

Naturalmente, tutto sarebbe completamente diverso e Mitsotakis non uscirebbe quasi indenne da questa nuova catastrofe naturale se la sinistra proponesse il seguente argomento: il cambiamento climatico che Mitsotakis invoca non solo non lo aiuta a sfuggire alle sue responsabilità, ma le aggrava terribilmente. Perché tutte le azioni di cui è già stato giustamente accusato sono semplici misfatti, rispetto al vero crimine che sta commettendo quando non solo non fa nulla per la crisi climatica, ma la aggrava costantemente con le sue politiche. 

E tutto questo di concerto e in piena collaborazione con i suoi amici capitalisti di tutto il mondo. I quali, con il loro sistema capitalistico, hanno creato e continuano ad aggravare la crisi climatica, al punto da renderla la più grande minaccia che la razza umana abbia mai affrontato nella sua storia.

Ma anche dicendo tutto ciò, un’organizzazione, un movimento o un partito non sarebbe di sinistra – e ancor meno radicale – se non sostenesse le sue parole con i fatti, le sue proposte con le sue critiche, per dimostrare in modo tangibile che la sua opposizione alla catastrofe climatica non è una parola vuota senza significato pratico. 

Ad esempio – e questo è solo uno dei tanti doveri fondamentali – chiedendo apertamente l’immediato abbandono e il divieto di tutte le esplorazioni e le ricerche di idrocarburi nel paese. E lottando per questo, mobilitando i cittadini, creando movimenti contro i combustibili fossili o partecipando attivamente a quelli già esistenti in Grecia e nel mondo.

Tuttavia, la cosa più importante – e così cruciale per il nostro futuro – che un collettivo di sinistra dovrebbe fare oggi è di natura diversa, qualitativamente diversa: convincere almeno gran parte della popolazione, e in particolare i salariati e gli oppressi, che al punto in cui siamo arrivati – non più con la catastrofe climatica galoppante, ma con la catastrofe climatica ormai scatenata – anche le misure più corrette e radicali proposte nel 1990, nel 2010 o addirittura… l’anno scorso, sono del tutto inadeguate, superate. 

D’ora in poi, l’unica risposta realistica ed efficace alla crisi climatica “dev’essere radicale – e cioè deve occuparsi delle radici del problema: il sistema capitalista, la sua dinamica di sfruttamento ed estrattivismo, il suo perseguire ciecamente ed ossessivamente la crescita”, il che implica che è impossibile affrontare la catastrofe climatica senza cambiare radicalmente sia il modo in cui produciamo che quello in cui consumiamo. 

In altre parole, non ci sarà salvezza se non cambieremo radicalmente il modo in cui la vita umana è organizzata e vissuta come l’abbiamo conosciuta finora. Questo sta accadendo in tutto il mondo, ma ciò non significa che non si debba cominciare per esempio dalla Grecia.

Se non facciamo tutto questo, cioè se continuiamo a ignorare le conclusioni e gli avvertimenti sul clima dell’IPCC e, soprattutto, quelli del movimento ecologista radicale internazionale, ma anche la realtà sempre più da incubo, allora le conseguenze saranno disastrose per la sinistra stessa e per quel poco di credibilità che le è rimasta. 

Primo esempio (tra i tanti): su quale base si dovrebbero pianificare le grandi opere di prevenzione e protezione dalle alluvioni difese da tutta la sinistra, se non si tiene conto della crisi climatica e dei relativi studi scientifici (ad esempio quelli dell’IPCC) sulla sua futura evoluzione e intensità? Se la crisi climatica non è altro che l'”alibi” di Mitsotakis, la conclusione logica dovrebbe essere che la progettazione di queste misure deve basarsi sui dati e sui modelli esistenti – che sono completamente obsoleti e quindi del tutto inutili – come, ad esempio, il Partito Comunista Greco (KKE) ha costantemente proposto.

Secondo esempio: sulla base di quali previsioni, se non quelle derivanti dallo studio scientifico della crisi climatica, il movimento antirazzista – e di fatto tutta la sinistra – dovrebbe organizzarsi per prepararsi ad affrontare la spinosissima questione dei milioni di “rifugiati climatici” nordafricani che presto attraverseranno il Mediterraneo, provocando inevitabilmente enormi sconvolgimenti nell’attuale equilibrio politico e sociale? 

Secondo le Nazioni Unite, sono già 884.000 i sopravvissuti alla mostruosa catastrofe causata dall’uragano mediterraneo Daniel in Libia, molti dei quali cercheranno naturalmente rifugio sulle sponde europee del Mediterraneo. In altre parole, innanzitutto in Grecia e in Italia, che, per chi non l’avesse ancora capito, si trovano proprio di fronte alla Libia. 

Ed è chiaro che presto ci saranno altrettanti, se non di più, “rifugiati climatici”, compresi i cittadini greci della Tessaglia, colpiti duramente da questo stesso uragano Daniel (oltre 830 mm di pioggia in 46 ore e oltre 1085 mm in tre giorni), perché ormai sappiamo che non solo la frequenza, ma anche l’intensità di quelli che chiamiamo “eventi meteorologici estremi” è in forte aumento. E questo senza considerare gli effetti distruttivi a lungo termine della crisi climatica, come la desertificazione, che sta già avanzando in Grecia, in particolare nella parte orientale di Creta e nel Peloponneso orientale…

Senza dimenticare le conseguenze immediate – e forse più prosaiche e comprensibili – della situazione attuale, dobbiamo notare che i grandi vincitori di questa storia che si ripete continuamente sono Mitsotakis e i suoi simili. E perché? Perché continueranno a non pagare il prezzo delle loro (enormi) colpe, sia alle urne che nella reputazione delle masse. E soprattutto, perché continueranno a non fare nulla per la galoppante crisi climatica che ci promette nuovi disastri di ogni tipo, ancora più grandi e frequenti. 

O peggio ancora, perché continueranno a fare di tutto per peggiorarla. E senza essere seriamente perseguitati da quasi nessuno, perché quasi tutti in Grecia, compresa la maggior parte delle organizzazioni e dei partiti di sinistra, o si dichiarano ardenti difensori dei combustibili fossili, o rimangono vistosamente in silenzio, evitando opportunamente di prendere posizioni che potrebbero rappresentare un problema per loro, oppure riconoscono l’esistenza della crisi climatica ma si astengono dal partecipare ai movimenti globali che la combattono, e difendono con le unghie e con i denti i “nostri” giacimenti di petrolio, che ancora non si trovano da nessuna parte, o, infine, arrivano a denunciare la crisi climatica come… “la più grande frode dell’imperialismo” (Sia detto tra parentesi, anche nella “sinistra” italiana ci sono espliciti negazionisti, ndt).

Se c’è un problema, non dovremmo cercarlo nella parte di Mitsotakis e dei suoi amici, che stanno solo facendo il loro lavoro di capitalisti in modo coerente, ma piuttosto nella parte della sinistra greca, che non sta facendo il proprio lavoro. Una sinistra greca che non prende a modello i movimenti ecologici radicali del “Nord ricco” (che detesta), ma anche quelli dei “los pobres de la tierra”, come la maggior parte dei milioni di membri del movimento contadino internazionale Via Campesina

Una sinistra greca che tace, finge di non capire, trascura la lotta contro la catastrofe climatica o addirittura arriva a dire – almeno alcuni dei suoi componenti – esattamente le stesse cose della reazione capitalista più estrema, delle multinazionali dei combustibili fossili e dei loro vari rappresentanti politici di estrema destra. 

In breve, sta disertando la lotta contro il problema esistenziale più grande, più urgente e più immediato che si trovano ad affrontare in particolare i lavoratori, i poveri e i popoli oppressi di tutto il mondo, cioè l’umanità stessa!

Con il tempo che scorre e il tempo perso che si misura ormai in decenni, la sinistra greca deve rendersi conto che è praticamente impossibile credere di poter sopravvivere senza offrire una risposta completa, chiara, credibile e tangibile allo tsunami della catastrofe climatica che sta ormai interessando ogni “dettaglio” della vita quotidiana delle persone. 

In altre parole, senza offrire un programma e, allo stesso tempo, una visione dell’organizzazione e degli obiettivi delle nostre società che siano alternativi all’attuale modello capitalistico, quello stesso modello che ha portato l’umanità sull’orlo della catastrofe.

Quindi, volente o nolente, la sinistra greca sarà molto presto costretta dagli eventi a partecipare al dibattito internazionale sui contenuti di questo “programma e visione alternativi”. E, naturalmente, a posizionarsi rispetto alla proposta alternativa di portata storica contenuta nel testo-manifesto “Per una decrescita ecosocialista” di Michael Lowy, Giorgos Kallis, Bengi Akbulut e Sabrina Fernandes, da cui il seguente estratto che chiude questo testo:

“La decrescita ecosocialista è una tale alternativa, direttamente opposta a capitalismo e crescita. La decrescita ecosocialista richiede l’appropriazione sociale dei principali mezzi di (ri)produzione e una pianificazione [economica] democratica, partecipativa ed ecologica. Le principali decisioni sulle priorità della produzione e dei consumi vanno prese dalle stesse persone, per soddisfare i veri bisogni sociali nel rispetto dei limiti ecologici del pianeta. Questo significa che le persone, alle varie scale, esercitano direttamente il potere, determinando democraticamente che cosa bisogna produrre, come, e in che quantità. Decidendo inoltre come remunerare diversi tipi di attività produttive e riproduttive che sostengono noi ed il pianeta. Garantire un benessere equo per tutte non richiede crescita economica ma piuttosto di cambiare radicalmente come organizziamo l’economia e distribuiamo le “risorse”.

 

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