Unione europea, con il “nuovo patto di stabilità”, si persevera nell’errore

I nostri leader non hanno imparato nulla?

di Olivier Bonfond, economista del Centre d’Éducation populaire André Genot, attivista antiglobalizzazione, e del CADTM, della piattaforma per l’audit del debito in Belgio e della Commission pour la Vérité sur la dette publique de la Grèce, e Laurent Pirnay, segretario generale della CGSP, il sindacato dei dipendenti pubblici aderente alla FGTB, da cadtm.org

Dopo diversi anni di “whatever it takes”, durante i quali gli stati membri hanno speso in modo sfarzoso per affrontare varie crisi (crisi sanitaria, guerra in Ucraina, crisi energetica, inflazione), ora gli si chiede di affrontare “seriamente” i loro bilanci e ridurre il deficit e il debito, o rischiano di essere penalizzati dalla Commissione europea.

Ma questo approccio è già stato sperimentato molte volte e i risultati sono ben noti: l’economia si contrarrà, peggiorando il deficit e il debito, per non parlare delle disastrose conseguenze sociali, di cui probabilmente beneficerà ancora una volta l’estrema destra.

Nuove regole europee, identiche alle precedenti

Il 10 febbraio, dopo due anni di discussioni, il Consiglio dell’UE ha raggiunto un accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Si parla qua e là di un allentamento delle vecchie regole in vigore. Su pressione di Germania e Olanda, i piccoli allentamenti che erano in discussione (traiettorie di bilancio adattate che tengano conto delle caratteristiche specifiche e delle esigenze di investimento di ciascun paese) sono stati accantonati a favore di criteri numerici rigidi e indifferenziati, che impongono a ciascun paese un aggiustamento di bilancio minimo.

Senza entrare nel dettaglio, le nuove regole sono le seguenti: i paesi con un deficit superiore al 3% dovranno ridurlo dello 0,5% ogni anno. Per quanto riguarda il debito, i paesi il cui debito supera il 90% del PIL dovranno ridurlo di 1 punto percentuale ogni anno (0,5 punti percentuali per i paesi il cui debito è compreso tra il 60% e il 90% del PIL).

I due criteri di base – un deficit del 3% e un livello di debito del 60% del PIL – sono sempre più considerati obsoleti, ma rimangono pienamente in vigore. E nessun paese li ridurrà, compresi quelli con un debito inferiore al 60% del PIL. Prendiamo ad esempio la Polonia, con un debito del 55% del PIL ma un deficit previsto del 4,6% nel 2024. Nel 2025 dovrà ridurre il deficit di 0,4 punti, portandolo al 4,2%.

Inoltre, è stata rafforzata l’introduzione di sanzioni per il mancato rispetto delle regole, il che in realtà significa che questo patto è peggiore del precedente. Infatti, mentre le norme precedenti erano – leggermente – più esigenti in termini di sforzi da compiere, non sono mai state applicate sanzioni.

Per quanto riguarda la presa in considerazione degli investimenti necessari nei settori della giustizia sociale e della transizione ecologica, la cosa sarà affrontata in un’altra sede.

Decine di miliardi di tagli in vista

In questo nuovo contesto, gli aggiustamenti di bilancio richiesti a molti paesi, in particolare a quelli con un debito superiore al 100% del PIL, sono enormi.

Il Belgio (con un debito del 106% del PIL) dovrà “risparmiare” 5 miliardi di euro in più all’anno per i prossimi 7 anni per rispettare gli standard europei. Alexia Bertrand, segretaria di stato al Bilancio e grande capitalista, ha approfittato della situazione per annunciare che Belfius, BNP Paribas ed Ethias dovranno essere vendute, alla faccia di ogni cosa.

La Regione Vallonia, che ha già attuato un programma di austerità dal 2022 (con 150 milioni di risparmi aggiuntivi ogni anno), dovrà senza dubbio fare “sforzi” ancora maggiori nei prossimi anni.

In Francia (debito al 111% del PIL), dopo l’annuncio di un deficit del 5,5% (150 miliardi di euro) nel 2023, il governo ha annunciato tagli di emergenza alla spesa per 10 miliardi di euro per il 2024 e altri 20 miliardi di euro per il 2025.

Oltre ai tagli di spesa previsti, il governo italiano (debito al 140% del PIL) sta preparando un grande piano di privatizzazioni. Tutto potrebbe essere coinvolto nel piano di privatizzazione: la banca Monte dei Paschi, la compagnia aerea ITA Airways, le Poste Italiane, l’azienda ferroviaria nazionale, ecc. L’obiettivo è recuperare 20 miliardi di euro, pari all’1% del PIL.

Denunciare con forza questa politica

Questo approccio è assurdo sotto molti aspetti:

1. E’ una decisione puramente politica. Questa improvvisa ossessione per il risparmio è semplicemente il risultato di una scelta politica. Nulla ci obbligava a farlo qualche mese fa e nulla ci obbliga a farlo oggi. Per esempio, se domani si verificasse un’altra grave crisi che richiedesse un intervento pubblico importante, queste regole cadrebbero immediatamente nel dimenticatoio. Inoltre, contrariamente all’opinione prevalente, i governi non hanno difficoltà a ottenere finanziamenti sui mercati finanziari. Ad esempio, nel gennaio 2024, l’Agenzia del debito francese ha emesso un titolo di stato a 10 anni con un tasso di interesse del 2,85% per 7 miliardi di euro. I mercati hanno rapidamente offerto 70 miliardi di euro. Un mese dopo, a febbraio, l’Agenzia del debito belga ha emesso un titolo di stato trentennale (OLO) con una cedola del 3,5% per 5 miliardi di euro. Dopo poche ore, il portafoglio ordini superava già i 62 miliardi di euro… Con una domanda di gran lunga superiore all’offerta, ci si aspetterebbe – soprattutto dai difensori del mercato e del rigore di bilancio – che gli stati abbassassero i tassi promessi per ridurre il costo del loro debito. Ma non è così.

2. Sono criteri obsoleti. Va ricordato che questi criteri (un debito del 60% e un deficit del 3%) non hanno alcuna giustificazione economica: sono vecchi di oltre 30 anni (sono stati fissati a Maastricht nel 1992) e il contesto è cambiato radicalmente. All’epoca, la crescita media del PIL era del 2% all’anno e il problema del clima non era così pressante come oggi. Mantenere questi criteri è un grave errore politico.

3. I Mea culpa sono ingannevoli. Negli ultimi anni molti politici hanno ammesso che le politiche di austerità applicate negli anni 2010 sono state un errore e hanno peggiorato la situazione. Per citare Jean-Luc Crucke, ministro del Bilancio e delle Finanze della Vallonia belga: “Il problema è stato il 2010 e il 2011, perché abbiamo stretto le viti troppo in fretta e ci siamo imbarcati in politiche di austerità che hanno rotto lo slancio (…) In nome del dogma del bilancio, questo ha reso la situazione molto più difficile”. Le dichiarazioni e gli impegni degli ultimi mesi dimostrano che questi mea culpa sono molto lontani dall’essere sinceri.

4. “Non si tratta di austerità, ma di responsabilità”. Incapaci di negare il comprovato fallimento delle politiche di austerità, i governi cercano vanamente di convincere i cittadini che i loro piani di austerità non sono austerità. Parlano di scelte responsabili volte a evitare una vera e propria austerità in futuro, di creare un margine di manovra per il futuro, di riorientare le scelte di bilancio, di migliorare l’efficienza della spesa pubblica, affermando al contempo che queste scelte non avranno alcun impatto sui servizi pubblici e sulla vita delle persone…

5. Ridurre la spesa aumentandola: una contraddizione totale. Parallelamente a questi imperativi di riduzione del deficit, i politici non esitano ad affermare che occorre investire nella formazione, nella transizione ecologica, nella tecnologia digitale, nella difesa nazionale, nella lotta contro l’esclusione sociale… Insomma, che occorre spendere molto di più, spendendo meno…

6. Non pensate nemmeno di aumentare le entrate! Sebbene il potenziale sia enorme (tasse sui superprofitti, tasse sulle grandi fortune, evasione fiscale, ecc.), non sembra emergere alcuna volontà politica di ridurre i deficit facendo pagare i proprietari dei capitali. Ancora una volta, saranno i lavoratori a pagare: taglio dei sussidi di disoccupazione, allungamento dell’età pensionabile, tagli alla spesa sanitaria e alla transizione ecologica.

7. Non è il momento! È noto e dimostrato da tempo: non è quando le cose vanno male (un periodo di rallentamento economico) che è il momento giusto per tagliare la spesa pubblica. Al contrario, è proprio in questi momenti che occorre sostenere l’attività (non qualsiasi attività, ovviamente) attuando politiche anticicliche. Olivier Blanchard, ex capo economista del FMI, ha dichiarato: “Le previsioni di crescita per l’Europa sono state appena riviste al ribasso. Dobbiamo quindi essere pronti a sostenere ulteriormente l’economia, anche se questo significa un deficit maggiore”.

8. Questo non andrà bene. Tagliare la spesa pubblica e gli investimenti in un momento in cui l’economia europea sta rallentando è la scelta peggiore dal punto di vista economico. Esacerberà l’effetto recessivo e aumenterà il debito pubblico e il deficit. Tanto più che tutti gli stati europei si stanno preparando a fare la stessa cosa nello stesso momento. Cosa succederà ora? Un altro ciclo di austerità? I nostri leader non hanno imparato nulla dalle lezioni del passato?

Il buon senso non governa il mondo

Nonostante i mea culpa e la totale negazione dei fenomeni economici, la Commissione europea, i leader europei e gli stati membri continuano a commettere gli errori del passato. Quali conclusioni dobbiamo trarre da questa situazione? I cittadini europei sono guidati da istituzioni e governi che agiscono in buona fede, ma sono totalmente ciechi e schizofrenici? Oppure dobbiamo ammettere che né il buon senso né l’interesse generale guidano questo mondo e che oggi, come in passato, l’obiettivo non è quello di risanare le finanze pubbliche, ma di accelerare lo smantellamento dei diritti sociali che abbiamo conquistato e di servire gli interessi dei poteri economici e finanziari, il cui appetito sembra non conoscere limiti? Porre la domanda significa rispondere.

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